“Non ci vedo, ma il mio sogno non è riacquistare la vista”: Cecilia e il suo racconto della cecità oltre ogni tabù

Questa è la storia di Cecilia Soresina, che sui social (e nella vita di tutti i giorni) smonta con ironia gli stereotipi legati alla cecità. Non vedente dalla nascita, oggi 25enne, Cecilia racconta di sentirsi limitata non dalla sua cecità, ma dal fatto di vivere in una società che vuole rimuovere la disabilità, piuttosto che accoglierla e integrarla: “La maggior parte delle persone è più concentrata a sperare di restituire la vista ai ciechi che a lavorare per rendere il mondo a loro più accessibile”.
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Rubrica a cura di Maria Teresa Gasbarrone
3 Ottobre 2023
Intervista a Cecilia Soresina Divulgatrice sul tema della cecità e della disabilità

Cecilia Soresina ha 25 anni. Cecilia si è laureata in Lettere all'Università di Bologna e poi si è specializzata all'Università di Lugano. La letteratura è una delle sue più grandi passioni e vorrebbe proseguire la carriera accademica in questo ambito. Cecilia è ironica e si diverte a raccontare la sua vita sui social, le piace andare al cinema e viaggiare, ma non le dispiacciono nemmeno le sere trascorse sul divano a divorare serie tv.

Da quando ha ottenuto un certo seguito sui social, negli articoli che parlano della sua storia, ma anche prima, nei discorsi di amici e conoscenti, Cecilia si sarà sentita presentare tante volte, ma forse quasi mai qualcuno avrà detto così tante cose di lei senza prima specificare un fatto che la riguarda da sempre. Cecilia è non vedente dalla nascita, ma a differenza di quanto vorrebbe la narrazione stereotipata della disabilità ancora tanto diffusa nella nostra società, per lei la sua cecità non è una mancanza, una menomazione o un ostacolo.

Lo è diventata a causa del mondo in cui vive, che, ancora arroccato nella contrapposizione "abile"-"disabile", non le riconosce le stesse opportunità che avrebbe avuto se fosse nata vedente. O, gliele riconosce, ma a patto che sia disposta a fare sforzi da giganti, sicuramente maggiori di quelli richiesti a chi è nato vedente.

Con Cecilia inizia il viaggio de "Il corpo degli altri", la rubrica in cui vi racconteremo le storie di persone che a causa di una società incapace di accogliere ciò che differisce dallo stereotipo di "corpo normale" costringe chi non rientra in questi standard in etichette limitanti come quella di "disabile" o "diverso". Il nostro obiettivo è provare a raccontare cosa significa vivere in un corpo non convenzionale direttamente dal punto di vista di chi ci vive dentro, contro ogni stereotipo, tabù o forma di pietismo.

Il mio corpo come lo vedo io

"Certo, sarei curiosa di vedere, ma non ne sento l'esigenza". Le prime parole di Cecilia sono inequivocabili, così come la trasparenza con cui si racconta sui social e nella vita off line.

"Quali sono le domande che hai sempre voluto fare a una persona cieca? Da oggi puoi chiederle. Ciao, mi chiamo Cecilia e faccio divulgazione sulla cecità, perché sono una ragazza cieca e mi diverto molto a raccontare come vivono le persone cieche dal mio punto di vista".

Si presenta così in uno dei suoi contenuti social. Lì, sui social, ha voluto – ci ha raccontato – iniziare a raccontare la cecità per sfatare qualche luogo comune e per superare quel racconto che ancora troppo spesso si fa della disabilità. Un racconto spesso compassionevole, quasi mai davvero inclusivo. La disabilità è infatti ancora descritta come uno svantaggio, una sfortuna, insomma qualcosa che non dovrebbe esistere. Ma siamo sicuri che chi la vive in prima persona sia d'accordo?

"Certo, a volte mi è capitato di desiderare di vedere paesaggi, quadri o persone, eppure – spiega Cecilia – la mia resta una semplice curiosità, una cosa ben diversa da quello che immagina la maggior parte delle persone. Non passo le mie giornate a struggermi perché non ci vedo, né la mia cecità è il mio unico pensiero o preoccupazione della vita. Più che per la mia cecità, mi preoccupo perché vivo in una società che non è pensata per i non vedenti, e, più in generale, per chi ha una disabilità".

Il mio corpo come lo vedono gli altri

Lo stesso concetto di disabilità nasce dalla presunzione di definire in cosa consiste l'abilità. Non a caso si parla di "abilismo" per indicare quegli atteggiamenti, anche inconsci, discriminatori e svalutativi verso le persone con disabilità, non considerate alla pari di chi rientra in ciò che culturalmente è considerato "normale". Questo vale anche per la cecità.

Non passo le mie giornate a struggermi perché non ci vedo, né la mia cecità è il mio unico pensiero o preoccupazione della vitaPiù che per la mia cecità, mi preoccupo perché vivo in una società che non è pensata per i non vedenti, e, più in generale, per chi ha una disabilità.

Cecilia Soresina

"Quando qualcuno recupera la vista spiega Cecilia – grazie a particolari interventi chirurgici, la notizia è data dai giornali e accolta dall’opinione pubblica come un miracolo, qualcosa per cui vale la pena festeggiare. Ma non ho mai percepito lo stesso entusiasmo per notizie che riguardassero l'introduzione di dispositivi che rendessero la società più accessibile ai non vedenti, come che ad esempio è sta l’introduzione dei cartelli stradali in Braille".

Questo esempio – prosegue la 25enne – è la prova di come la "maggior parte delle persone sia più concentrata a sperare di restituire la vista ai ciechi che a lavorare per rendere il mondo a loro più accessibile". Ma, per rispondere alla domanda di prima, da chi arriva questa richiesta di rimuovere la disabilità?

"È la società ad avere questo bisogno costante di allontanare la disabilità, che per gli "altri" è percepita come una mancanza. Per me la disabilità non lo è, così come non è un dono. Dal mio punto di vista, la disabilità semplicemente una caratteristica come altre. È  piuttosto la società che, non accogliendo una certa caratteristica, propria di una minoranza di persone, la ingabbia nell’etichetta del “diverso” o del “disabile”. Lo stesso discorso si può fare per qualsiasi altra forma di corpo che non rientri nello stereotipo del “normale”.

Le discriminazioni nei confronti dei disabili si fa più fatica a riconoscerle perché si nascondono – anche inconsciamente – dietro la maschera del buonismo e del pietismo.

Cecilia Soresina

La contrapposizione tra normale e diverso, abile e disabile, esiste davvero o è un pregiudizio prodotto del punto di vista di chi è nato dalla parte dalle maggioranze e non di quella delle minoranze?

“Rispetto ad altre minoranze però mi sento di dire che il discorso per la disabilità è più difficile. Mi spiego meglio: con questo non voglio dire che non esistano altre forme di discriminazioni, ma che quelle attuate nei confronti dei disabili si fa più fatica a riconoscerle perché si nascondono – anche inconsciamente – dietro la maschera del buonismo e del pietismo”.

Le mie paure non sono le vostre

Nel racconto che la società attuale realizza della disabilità, il problema di una persona disabile è soprattutto la sua stessa disabilità. Rimarrete stupiti nel sapere che la verità è quasi sempre un’altra.

Chi come Cecilia è nata con un corpo che per qualche caratteristica – nel suo caso è la cecità – non corrisponde a quei canoni che la società ha elevato al rango di requisiti di un corpo normale, teme soprattutto gli effetti che la propria disabilità possono avere negli altri, sia da un punto di vista professionale che umano.

“Quando penso al mio futuro – ci racconta Cecilia –, la cosa che mi spaventa di più è vedermi precluso qualcosa per come gli altri percepiscono la mia cecità. Questa è la mia paura più grande da quando sono piccola. Certo, io posso avere una vita sociale soddisfacente, posso avere degli amici, ma resta il fatto che per riuscirci devo essere io ad andare verso gli altri, ad impegnarmi più degli altri per costruire dei rapporti.

Tanti danno per scontato che siccome io ho una disabilità non voglio uscire, non voglio andare alle feste. Devo essere io chiarire agli altri che invece ne avrei voglia. Resta la paura della disabilità, l’incapacità di accoglierla, ma non è un dovere della persona con disabilità rimuovere le difficoltà degli altri ad accogliere la persona con disabilità".

Se vi relazionate con una persona che ha una disabilità, non date per scontato che non voglia fare le stesse cose che fanno tutti gli altri. Piuttosto chiedete. Deve essere compito di tutti, non solo delle persone che hanno una qualche forma di disabilità, sdoganare questo blocco. Il tabù della disabilità esiste e spesso è un ostacolo maggiore della disabilità stessa". 

Credits: In copertina foto di Cecilia Soresina

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Dopo la laurea in Editoria e scrittura all’Università di Roma La Sapienza sono approdata a Milano per fare della passione per altro…