Simona Atzori, la ballerina con le “mani in basso”: “Il limite è nello sguardo degli altri”

Simona Atzori è una ballerina professionista, una pittrice e una scrittrice. Fin da bambina non ha avvertito nemmeno per un secondo il fatto di essere senza braccia come un limite, ma come uno dei tratti tratti che caratterizzavano il suo corpo: “La diversità è in tutti noi, ma diventa un limite negli occhi di chi no è pronto ad accettarla”. Ci ha raccontato la sua storia, dai primi passi su un palco all’esibizione a Sanremo, e come la danza e la pittura sono diventate le sue “mani in basso”.
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Rubrica a cura di Maria Teresa Gasbarrone
3 Novembre 2023

"Ho imparato a non definirmi per ciò che mi manca, anzi ciò che gli altri vedono come una mancanza è la mia vera forza". Simona Atzori, 48 anni, balla e dipinge da quando era solo una bambina.

Quella che è sempre stata la sua più grande passione, la danza, è diventata la sua professione, nel modo più naturale possibile, quasi come se non l'avesse nemmeno mai deciso. "Semplicemente ho fatto quello che sentivo di voler fare, passo dopo passo, sono diventata quella che sono", ha raccontato a Ohga, parlando della sua carriera e della sua storia.

"Sono Simona Atzori – si presenta così –, danzo, dipingo, scrivo e condivido la mia arte e la mia vita con il mondo. Lo faccio in un modo speciale, usando ciò che ho, due piedi e un sorriso". Sì, perché Simona è nata senza braccia, ma questo per lei è soltanto uno dei tanti tratti che caratterizzano il suo corpo, non di certo un limite. Qualcuno la definirebbe una "diversità", ma la sua storia è la prova (l'ennesima) di come il concetto di "diversità" non esista nella realtà, ma solo "nello sguardo di chi guarda" e non è pronto ad accogliere ciò a cui non è abituato.

Nella seconda puntata de "Il corpo degli altri" Simona ci ha raccontato la sua storia, dagli inizi nella danza, ai successi più grandi. Come la collaborazione con Roberto Bolle in due tappe del suo tour "Bolle and Friends", l'incarico di ambasciatrice della danza nel Giubileo del 2000, la partecipazione alle Paralimpiadi invernali del 2006 o l'esibizione in apertura della quarta serata del 62esimo Festival di Sanremo, nel 2012.

"La diversità è in tutti noi"

"Fin da piccola la mia famiglia mi ha insegnato che la diversità è qualcosa che abbiamo accomuna tutti. C'è chi ha i capelli lunghi, chi ci li ha corti, chi è alto, chi è basso, io semplicemente non avevo le braccia e mi andava bene così".

Simona Atzori ha iniziato a danzare all'età di sei anni. La passione per il ballo l'accompagna da sempre, da quando da bambina chiese ai suoi genitori di voler iscriversi a una scuola di danza. Alla sua famiglia – racconta la ballerina – deve molto, soprattutto la consapevolezza di avere un corpo come tanti, senza nessun limite, ma con infinite potenzialità: "Non ho mai percepito il fatto di non avere le braccia come qualcosa di "manchevole". Non è mai stato un limite, anche quando ho incontrato persone per le quali non era così, ma appunto era il loro sguardo, non il mio".

Nella danza Simona ha raggiunto grandi traguardi. Nel 2010 ha fondato la sua compagnia di danza, la "Simonarte Dance Company", in cui la ballerina-pittrice ha dato forma alla sua idea di arte, in cui alla danza si mescola la pittura, l'altra espressione artistica che Simona coltiva da quando aveva soli 8 anni.

Danza e pittura, due attività che agli occhi di chi si fa guidare da ciò che è convenzionale, non potrebbero essere svolte senza braccia. O, quanto meno, non immondo professionale. Anche in questo caso, però, la storia di Simona dimostra che il pregiudizio della normalità è una delle più grandi trappole in cui possa finire la mente umana.

"In fondo – racconta –  ogni corpo è diverso, io non ho le braccia, ma ciò non mi ha impedito di esprimermi attraverso la danza e la pittura, che sono diventate le mie "mani in basso", come una volta mi ha detto una bambina.

"La chiave del mio percorso è stata sentirmi bene nella mia diversità, perché questa è ciò che in un modo o in un altro caratterizza tutti noi. Anzi ciò che gli altri vedevano come un limite è stato ciò che mi ha reso me stessa".

Se ci è riuscita, è stato soprattutto grazie allo sguardo della sua famiglia: "Quello sguardo, con cui mi hanno sempre fatto capire che "Simona andava bene così" l'ho fatto mio ed è ciò che mi ha permesso di non sentirmi mai limitata, da nessun punto di vista, nemmeno quando, a volte, crescendo, dagli altri ho ricevuto uno sguardo diverso, perché ormai avevo introiettato e fatto mio quello della mia famiglia".

"Gli sguardi possono far male"

Nonostante quello scudo di amore che mi porto dietro da sempre, scontrarsi con lo sguardo di chi in te vede una mancanza può essere molto difficile. Soprattutto per chi non ha quell'autostima o quella forza che ti sostiene e ti tiene salda alle tue di consapevolezze, che quando sei un ragazzino o una ragazzina, difficilmente hai.

Immagino poi, quanto possa essere complicato per un adolescente di oggi confrontarsi con lo sguardo di chi ti etichetta come diverso per un tratto del tuo aspetto fisico. In una società basata sull'aspetto fisico, i corpi che differiscono da ciò che è lo standard del momento sono esposti a un giudizio costante.

Mostrare le cose per cambiarle

Eppure il mondo della danza ha canoni fisici piuttosto rigidi, che rischiano di scoraggiare (a volte, di estromettere) chi non li rispetta a pieno. Ma così non è stato per Simona: "Da bambina – racconta – mi sono avvicinata alla danza in modo molto naturale, semplicemente perché per me non c'era nessun ostacolo da superare: quella era io, quello era il mio corpo e non ho mai visto nessuna "diversità" o "anomalia". Volevo danzare, è bastato quello a farmi avvicinare al mondo della danza".

Agli inizi del suo percorso nella danza, sono stati soprattutto i suoi genitori a scontrarsi con lo "sguardo degli altri", o con le parole degli altri, magari in platea, durante un saggio: "Quando mia madre – racconta – mi iscrisse al mio primo corso di danza, a chi le chiedeva: "Ma è sicura di voler iscrivere sua figlia, perché lo fa?", mia madre rispondeva senza troppi giri di parole: "Perché a mia figlia piace fare danza". Non aveva l'obiettivo di farmi diventare una ballerina professionista, ma voleva che io potessi fare quello che desideravo, proprio come lo desiderava per mia sorella.

Il risultato è stato che fin dai miei primi passi, ho trovato il mio modo di danzare, di trovare il mio equilibrio, tanto che in poco tempo sono diventata brava. Così nelle parole degli altri genitori sono passata da essere "quella bambina" a "quella bambina brava". Quando mia madre si è resa conto di quello che stava succedendo, anche lei ha capito che per cambiare le cose, bisogna avere il coraggio di mostrarle, semplicemente".

"Non esiste un solo modo per fare le cose"

"Diventare ballerina professionista – ricorda Simona – è venuto da sé, come una cosa naturale: non ho mai mollato, senza mai voler ostentare nulla. Ho sempre pensato, e oggi ne sono ancor più consapevole, che esistono tanti modi per fare le cose, non ne esiste solo uno, e questo era ed è semplicemente il mio, senza volere competere con gli altri. Credo che sia stata questa mia perseveranza, quasi spontanea, a portare anche gli altri a credere in me e nelle mie capacità.

Insomma danza, pittura, e poi anche la scrittura, con i suoi tre romanzi. Simona ha sempre usato tutte le forme artistiche con cui sentiva e sente una connessione per raccontare la sua storia: "Non è la danza fine a sé, così come non è la pittura o la scrittura, ma è la mia storia ad attrarre gli altri: io non ballo per far vedere quanto sono brava, ma per raccontare la mia storia. Ovviamente lo faccio usando la mia arte, che a volte è la danza, a volte è la pittura".

Normalizzare la diversità

"Per combattere le difficoltà che spesso le persone provano di fronte a ciò che percepiscono come diverso è proprio normalizzare la diversità. La diversità fa paura ma solo finché e perché non la conosciamo. A volte le persone hanno paura a parlare con chi ha una disabilità, temono di offendere, ma non è così. Se a me qualcuno dice "prendi", neanche ci faccio caso. L'importante è come mi tratti, è considerarci tutte persone, allo stesso modo".

Se i ragazzi di oggi imparano a relazionarsi con gli altri in modo naturale, i loro figli faranno lo stesso, fino a quando – e spero accada il prima possibile – vivremo in una società in cui la stessa distinzione tra normale e diverso avrà perso significato. Certo, è un obiettivo difficile, forse lontanissimo, ma noi dobbiamo lavorare per riuscirci".

Credits: In copertina foto di Simona Atzori (Ph. Gabriele Rigon)

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