
Avresti mai detto che il 40% dei bambini pensa che hamburger, hot dog e pancetta arrivino dalle piante e che la maggior parte di loro smetterebbe di mangiarli se sapesse che si tratta di animali uccisi?
Il problema della mancanza di consapevolezza alimentare sull'origine di ciò che mangiamo, soprattutto per quanto riguarda carne e derivati, non riguarda solo i bambini. Pensa che secondo un altro studio, condotto da Faunalytics, una no-profit che si occupa di animali, basterebbe una sola visita in un rifugio di animali a rendere una persona più propensa a ridurre il consumo di carne.
Si tratta di un fenomeno complesso, in cui alla quasi totale assenza di educazione alimentare nelle scuole e a casa si mescola una volontà, più o meno inconscia, di "oscurare" la reale provenienza di ciò che mangiamo.
Gli studi appena citati rimandano a un fenomeno psicologico piuttosto diffuso che diversi studiosi hanno dimostrato governare le scelte alimentari in fatto di carne e derivati. Stiamo parlando della contraddizione per cui molte persone mangiano questi prodotti pur provando forte empatia per gli animali e la loro sofferenza.
Si tratta di una forma di "dissonanza cognitiva", che come società tendiamo a rimuovere con una serie di processi psicologici e pratiche culturali, come convincerci che gli animali non siano in grado di soffrire oppure nascondere del tutto il "dietro le quinte" della produzione di carne e derivati. Questo insieme di atteggiamenti e credenze, inconsce e consce, individuali e collettive, è stato riassunto nel concetto di "paradosso della carne", dall'espressione inglese "The meat paradox".
In sostanza, stiamo parlando di quel fenomeno psicologico per cui una persona è disposta a mangiare agnello anche se non sarebbe mai pronta ad ammazzarne uno, e sarebbe perfino inorridita nel vedere qualcun altro farlo. Insomma applichiamo il "meat parodox" ogni volta che mangiamo una bistecca e la dissociamo dalla mucca da cui proviene.
Secondo lo studioso che per primo la teorizzò negli anni '50, Leon Festinger, la dissonanza cognitiva è definita come il disagio derivante dalla contraddizione tra i valori e il comportamento di una persona. Di fronte a questo "disagio" le persone possono reagire in tre modi:
La terza strada è proprio quella attuata nel "paradosso della carne", da chi pur provando empatia per la sofferenza degli animali continua a consumare carne e derivati.
Non solo, è anche la strategia applicata dall'industria di questi prodotti nel pubblicizzarli. Avete mai visto uno spot di un hamburger in cui si mostra un animale al macello? No, a livello di marketing si tende a mostrare animali al pascolo su un montagne verdi e incontaminate, o, più semplicemente, si decide di mostrare il prodotto finito, già nel piatto o in padella.
A fronte di questo paradosso, si capisce perché molte associazioni o organizzazioni che fanno attivismo e sensibilizzazione a difesa degli animali puntino proprio sull'informare le persone, anche facendo vedere i lati più terribili degli allevamenti intensivi.
Tra queste, AgireOra Network da anni porta avanti una campagna di sensibilizzazione che punta proprio sulla consapevolezza, attraverso attività di volantinaggio e diffusione di materiali informativi.
"Riteniamo – spiega Marina Berati di AgireOra – che l’informazione faccia moltissima differenza. Innanzitutto perché fa riflettere: tutti sanno che la carne non è altro che il corpo di animali uccisi, ma non ci si sofferma mai a pensarci, in quanto mangiare carne è così “normale” e diffuso che non lo si mette in discussione".
"Il secondo motivo – prosegue l'attivista – è mostrare la sofferenza che esiste in ogni allevamento (di qualsiasi tipo, anche perché ormai quasi tutti gli allevamenti sono intensivi), spiegare come sono trattati gli animali e come sono uccisi, non solo per la carne, ma anche per la produzione di formaggio e uova".
Far tornare evidente il legame carne-animale ucciso tende infatti a disincentivare le persone al consumo di carne. Uno studio realizzato nel 2016 dal dipartimento di Psicologia dell’Università di Oslo, pubblicato sulla rivista scientifica Appetite, ha analizzato attraverso diversi esperimenti i modi in cui le persone tendono a dissociare la carne di cui si nutrono dalle sue origini animali. Ne è emerso che siamo più o meno disposti a mangiare carne in base a come viene stimolata la nostra empatia e il nostro disgusto, ad esempio accettiamo con più facilità di mangiare un hamburger se ci viene presentato già pronto piuttosto che una fetta di arrosto di maiale mostrato prima intero con tanto di testa.
"Mostrare la sofferenza – conferma Berati – è un metodo molto efficace, perché la maggior parte delle persone non pensa mai a quello che accade negli allevamenti e non sa quali orrori vi si nascondano. Inoltre, vedere coi propri occhi animali che soffrono è estremamente utile per accendere l’empatia e decidere di fare qualcosa per non essere più parte del problema, ma della soluzione".
A testimonianza di ciò, AgireOra riporta i dati di un'iniziativa di sensibilizzazione avviata nel 2020, il "Vegan Discovery Tour", un percorso in 20 passi che guida gli iscritti alla scelta vegana: "gli iscritti – spiega Berati – ricevono una mail al giorno, per 20 giorni, piena di informazioni utili e pratiche", sulla scelta vegana e sulla realtà della produzione di carne.
"Sono oltre 41 mila le persone che hanno partecipato finora e abbiamo ottenuto risultati importanti nel loro modo di approcciarsi al consumo di carne: molti dei partecipanti passano da onnivori a vegan o da vegetariani a vegani, alcuni da onnivori passano a vegetariani, ma per lo più con l’intenzione di non fermarsi lì e anche chi rimane onnivoro dichiara di aver diminuito il consumo di carne".