Quando andare dallo psicologo e cosa aspettarsi dalla prima seduta

Se non indicato espressamente, le informazioni riportate in questa pagina sono da intendersi come non riconosciute da uno studio medico-scientifico.
Andare o non andare dallo psicologo? Non è una scelta facile, soprattutto quando si è influenzati dal pregiudizio, dalla diffidenza e dalla propria paura. Per approfondire queste tematiche abbiamo intervistato la Dottoressa Silvia Nava, psicologa.
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Gaia Cortese 10 Febbraio 2022

Paura, diffidenza, perplessità. A volte addirittura sospetto. Sono tanti i motivi che, spesso e volentieri, portano a pensare che andare dallo psicologo sia qualcosa di cui vergognarsi, qualcosa da nascondere, o semplicemente qualcosa di inutile, non necessario e soprattutto non risolutivo. Ma allora come si fa ad essere pronti a compiere un passo del genere? Quando si può essere certi che iniziare un percorso da un terapeuta sia la scelta migliore o non lo sia affatto?

Abbiamo provato a rispondere alcune domande, incontrando la Dottoressa Silvia Nava, psicologa, che ci ha raccontato le dinamiche che più spesso vengono a crearsi nel momento in cui si inizia ad andare dallo psicologo.

Come capire se si ha bisogno di uno psicologo?

Quando una persona inizia a chiederselo potrebbe essere già il momento giusto per rivolgersi a uno psicologo. Quando già ti stai chiedendo se sia il caso di rivolgerti a uno psicologo, infatti, già stai riflettendo su un problema e basterebbe fare il passo, anche solo per approfondire il momento di vita che stai vivendo.

O ancora, il momento giusto può coincidere con il momento in cui i nostri ambiti di vita vengono in qualche modo intaccati. Quello può essere il momento più giusto per muoversi e scegliere di rivolgersi a un esperto. Diversamente, il rischio che spesso si corre è quello di aspettare che del proprio disagio si manifestino i sintomi, come succede per esempio con gli attacchi di panico.

Come orientarsi nella scelta? Qual è il primo passo da fare?

Come arrivo a scegliere uno psicologo è una parte del processo di consapevolezza. C’è chi non ha mai masticato di psicologia e quindi non ha idea dei vari approcci possibili o ancora delle differenze che esistono tra uno psicologo o uno psicoterapeuta. C’è chi invece magari ha già ha avuto un’esperienza di questo tipo ed è in grado di fare un pensiero sul tipo di approccio che preferisce, più analitico, più dinamico o, quello che va per la maggiore, di tipo comportamentista. Insomma, dipende dalla persona.

Quello che ho potuto notare è che tra le persone che chiedono aiuto, per molti ha anche un peso se lo psicologo è una donna o un uomo: sicuramente è una scelta legata alla storia della persona, all’infanzia, ai legami con le persone importanti della vita, ma è sicuramente una richiesta avanzata molto spesso. Le persone hanno bisogno di essere rassicurate e, in tal senso, la maggior parte di queste sceglie il proprio esperto anche in base al passaparola, a quanto viene loro consigliato dalle persone di cui si fidano.

Altri parametri che vengono valutati nella scelta sono la zona in cui si trova lo studio dell’esperto scelto e ovviamente il costo, considerato che andare in terapia è impegnativo in termini di tempo e denaro, è comprensibile che anche questi aspetti vengano considerati.

Come si svolge una seduta?

La prima seduta è un po’ come un vestito che ti metti addosso e devi capire se ti va bene o no. Nei primi incontri si deve entrare in contatto l’uno con l’altro. Il piacere di raccontarsi e ascoltarsi reciprocamente arriva incontrandosi, anche se già parlando al telefono, ascoltando una voce, si capisce già molto dell’altra persona.

Nel primo incontro si raccolgono elementi: il terapeuta si presenta, spiega come lavora, il suo approccio. Questo passaggio è diventato obbligatorio perché c’è tutta una serie di adempimenti con tanto di consenso informato, per cui il terapeuta deve spiegare come svolge la sua professione.

Nel primo incontro ci sono persone che sono un fiume di parole, altre invece sono più smarrite e ti portano tutta la confusione che hanno in testa. Personalmente, quando incontro una persona per la prima volta la ascolto e cerco di capire cosa più mi incuriosisce, e poi mi concentro su quello. Quello che spero di aver creato in un primo incontro è un contatto e, naturalmente, di averlo restituito.

Molte persone arrivano ad essere consapevoli che in quell’ora di seduta si prendono cura di sé. Quell’ora è importante ed è un investimento. Senza dubbio il percorso che si intraprende con un terapeuta è una trasformazione: non sempre si arriva o si ottiene quello che magari si sarebbe atteso il paziente, ma può esserci anche uno switch importante, e lo scopriamo con meraviglia: persone che conducevano un certo tipo di vita si accorgono che non stavano bene, o capiscono quanto già ci fosse il desiderio di fare qualcosa per cambiare e con la terapia arrivano a farlo. Senza dubbio, una trasformazione c’è sempre.

Quali sono le più comuni paure nell’andare da uno psicologo?

C’è sempre il pregiudizio, la paura di essere giudicati, di mostrare debolezza o anche il timore di non farcela da soli. Tutti questi aspetti derivano da un sociale che oggi non accoglie bene la figura dello psicologo, basti pensare che fino a pochi anni fa il lavoro del terapeuta in questo ambito non era nemmeno riconosciuto come un lavoro sanitario.

C’è poi anche la paura di iniziare un percorso di cui non si vede la fine, ma andare dallo psicologo non significa che si debba andarci tutta la vita, può invece essere di aiuto per “farsi una registrata”, vale a dire per comprendere meglio quale sia il blocco che stiamo affrontando e quali risorse possono essere messe in campo in quel momento. Chiaro che poi c’è tutto il discorso della patologia, se presente, e si passa ad un livello di terapia più importante.

Infine, alcune paure sono anche legate al discorso dei farmaci. Molte persone temono che andare in analisi significhi prendere farmaci come ansiolitici, anti depressivi e via dicendo.

C’è qualcosa da sapere prima di iniziare un percorso di questo tipo?

Deve esserci la consapevolezza che si sta facendo un percorso e non ci sono bottoni da schiacciare, nel senso che non basta una seduta per risolvere un problema. Un percorso prevede un coinvolgimento e anche tanta fatica, il tempo necessario può essere lungo ma non c’è persona che non valga tutta la cura che serve.

È un impegno, ma mettersi in gioco può migliorare la qualità di vita. Non è infatti detto che anche un problema non patologico non abbia ripercussioni su altre aree di vita: se non stai bene a casa, potresti non rendere sul lavoro o non avere facilità nel mantenere buone relazioni sociali.

Concedersi poi un momento in cui potersi fermare, rallentare per comprendersi meglio è un atto dovuto, ancora di più in una società in cui sembra non essere concesso poter stare male. Ma per trasformarti, per cambiare qualcosa, devi lasciare il “vecchio”, è comunque una forma di “lutto” e quindi un processo doloroso.