Se il nucleare fosse davvero dalla parte della rivoluzione green, lo sarebbero anche i tempi e i costi?

Assodato che le rinnovabili da sole non basteranno per la transizione energetica, è giusto vagliare il potenziale ruolo del nucleare indagandone la fattibilità. Tradotto, significa capire se le tecnologie atomiche abbiano dei tempi e dei costi sostenibili.
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Spoiler: stiamo aumentando. Ogni giorno la popolazione mondiale cresce e secondo le stime dell’Onu, entro il 2050 saranno quasi 10 miliardi le persone strette fianco a fianco sul pianeta Terra.

Più gente vorrà dire più richieste, in particolar modo di energia. E la sfida sarà dunque soddisfare questa crescente domanda in modo sostenibile, rispettando i parametri imposti dagli accordi di Parigi sul clima e quelli di Glasgow della Cop26. Quindi decarbonizzando e tagliando il 45% delle emissioni di CO2 rispetto al 2010 per arrivare a quota zero emissioni nette entro – guarda un po’ – la metà del secolo.

Per riuscirci dovremo affidarci alle fonti rinnovabili, su questo non ci sono dubbi. Queste tecnologie non solo promettono un futuro più sostenibile ma sono in grado di garantirlo per davvero. Non da sole, però.

Ormai è chiaro che l’eolico, il solare, il fotovoltaico e tutte le altre fonti di energia che non attingono da combustibili fossili non possono sopportare autonomamente il peso della transizione energetica. Ci sono ancora gap tecnologici da colmare e il loro approvvigionamento resta tutt’oggi instabile e intermittente in alcune zone e alcuni periodi.

Domandandoci dunque come riuscire a soddisfare una richiesta di energia globale oggi già elevata e destinata ulteriormente a salire, ecco che torna di moda il dibattito sul nucleare.

Quello che cerchiamo di fare lungo questa rubrica è capire se l’atomo potrebbe rispondere a un’eventuale chiamata da parte dell’imminente – si spera – rivoluzione green e in questa sede è tempo di provare a sciogliere il nodo sui suoi tempi e sui costi.

Te lo dico subito, non è una storia semplice. Soprattutto per quanto riguarda l’Europa e più in generale l’Occidente, dove l’esperienza del nucleare recente non è molto positiva.

“Se andiamo a vedere l’impianto di Olkiluoto in Finlandia, i reattori Epr in Francia o anche quelli americani in Georgia e in Carolina del Sud, notiamo che nessuna di queste storie è andata bene dal punto di vista economico. Non ce n’è una di successo per quanto riguarda i tempi e i costi” ha rimarcato con amarezza Marco Enrico Ricotti, ordinario di impianti nucleari al Politecnico di Milano, membro designato dell’Agenzia per la Sicurezza Nucleare ed ex presidente di Sogin, la società statale che si occupa del decommissioning delle centrali nucleari italiane.

Ricotti ha sviscerato quello che secondo lui è il vero problema dell’Occidente: "l’allenamento al nucleare". 

Europa e Stati Uniti da troppo tempo non danno via libera a progetti per costruire nuovi reattori, l’ultimo risale infatti a più di 20 anni fa. L'ex numero uno di Sogin esemplifica l’impasse in cui ci troveremmo ricorrendo a una metafora rubata al mondo dello sporto: “Se perdo un mese di allenamento non posso pensare di giocare una partita da 90 minuti. Sarei fuori forma”. 

Se dopo 20 anni di “inattività” ci si ostinasse a ripartire con il nucleare mettendo in campo il reattore più avanzato possibile, si rischierebbe insomma di inciampare in ritardi e costi insostenibili.

“Non si tratta di una debolezza tecnica o manageriale di Usa ed Europa – continua Ricotti – Guardiamo la Cina. Qui, come in Corea del Sud e Russia, il nucleare non si è mai fermato, sono sempre rimasti allenati e hanno sempre continuato a costruire reattori nucleari con costi extra fisiologici e ritardi contenuti”. Se avessimo continuato a investire su questa tecnologia, insomma, oggi potremmo probabilmente trovarci un passo più avanti sulla potenziale tabella di marcia per un nucleare green.

In Occidente non ce una storia di successo per quanto riguarda i tempi e i costi del nucleare tradizionale

Marco Enrico Ricotti, ex presidente Sogin

Allo stato attuale delle cose, se davvero il nucleare deve diventare un alleato della transizione energetica – e secondo Ricotti può e dovrebbe – l’unica soluzione allora è un cambio di paradigma.

Investimenti di denaro e risorse, dunque, non nelle centrali tradizionali “poco sostenibili”, quanto, piuttosto, nella famosa IV generazione. “La Francia sta aprendo una finestra importante anche su un’altra tecnologia, quella degli Small Modular Reactors, i reattori modulari di piccola taglia”. 

Per Ricotti, gli SMR sono la risposta al tema della riduzione delle emissioni CO2, della sostenibilità e della fattibilità del nucleare. Prima di tutto dal punto di vista economico. “È vero, dal punto di vista dell’economia di scala, invece di avere 1,6 GW come le centrali classiche avremmo magari 100 MW, meno di un decimo di potenza. Ma anche meno di un decimo di costo. Vista la situazione in cui siamo, dal punto di vista industriale ed economico, forse è opportuno mettere nel portafoglio un reattore più piccolo”.

Queste tecnologie sarebbero poi anche facilmente accoppiabili con le rinnovabili, dal momento che potrebbero inserirsi nella rete elettrica ed essere utilizzati per la cogenerazione di energia, per esempio attraverso l’acqua desalinizzata o il teleriscaldamento.

I tempi del nucleare di IV generazione, inoltre, sarebbero tutti dalla parte della rivoluzione green. “Non stiamo parlando della fusione, per la quale servirà più di qualche decennio e a cui, una volta pronta, dovremo dare il tempo di dimostrare la propria fattibilità industriale e di raggiungere un livello economico competitivo. Il nucleare nuovo da fissione, che sia IV generazione o SMR, può diventare una soluzione per colmare il transitorio. E può essere pronti in pochi decenni, che per il nucleare è domani mattina”.

Vista l'attuale situazione industriale ed economica, forse è opportuno mettere nel portafoglio un reattore più piccolo

Marco Enrico Ricotti, ex presidente Sogin

Il pensiero di Marco Ricotti è chiaro: il nucleare non dev’essere demonizzato ma indagato in tutti i suoi aspetti e preso seriamente in considerazione per le sue risorse potenzialmente decisive. Non è un caso, insomma, se la Commissione europea l’ha inserito nella bozza della Tassonomia per la Finanza sostenibile.

Forse, dice l’ex presidente di Sogin, le ragioni stanno anche nei limiti economici oggettivi delle rinnovabili, che non andrebbero minimizzati come invece fa chi gira la testa dall’altra parte e fa finta di non vedere. “L’energia rinnovabile sarà sempre più competitiva, su questo non ci sono dubbi, ma non ci si fermi solo ai costi del pannello fotovoltaico o della turbina eolica”. 

Avviare una società basata al 100% rinnovabili oggi ha un costo molto significativo e per mantenere il passo necessario a raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione fissati al 2030 e al 2050, dovremmo “moltiplicare per 10” le attuali installazioni attive di impianti rinnovabili. “Non si fa con uno schiocco di dita”.

L’altra metà del problema te l’ho accennata all’inizio e riguarda un’evoluzione tecnologica che ad oggi non ci ha ancora consegnato un sistema di stoccaggio dell’energia sicuro ed efficace. “Ad oggi l’unico sistema è tramite le batterie, che tuttavia hanno un impatto ambientale notevole, sia in fase di produzione che di smaltimento”. A questa voce di costo andrebbe aggiunta poi quella che riguarda l’ammodernamento della rete, da adattare completamente al nuovo scenario produttivo.

A questo punto, dice Ricotti, il connubio tra rinnovabili e il nucleare appare la strategia migliore per produrre energia elettrica senza emettere CO2, o comunque emettendone in quantità molto basse.

Specialmente se si riflette anche sul cosiddetto Lca, ovvero l’intero ciclo di vita di un prodotto dalla produzione allo smaltimento. “Confrontando il Life Cycle Assessment di queste due tecnologie si vede che i grammi di CO2 equivalente emessi per kilowattora prodotto sono nell’ordine di alcune migliaia per i combustibili fossili, di decine di grammi per le rinnovabili e per il nucleare. Anzi, il nucleare ha un valore perfino più basso rispetto al fotovoltaico”. 

In attesa della fusione, Ricotti è dunque sicuro che a trascinarci alla volta saranno le rinnovabili e l’atomo. Le tecnologie ci sono e i tempi e i costi del nucleare "nuovo" potrebbero non rappresentare un ostacolo insormontabile, una montagna troppo alta da scalare.

Semmai, il problema è un altro: riusciremmo, eventualmente, ad accettarlo?

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Giornalista fin dalla prima volta che ho dovuto rispondere alla domanda “Cosa vuoi fare da grande”. Sulla carta, sono pubblicista dal altro…