Abbiamo bisogno di parlare di nucleare, ma serve farlo in maniera sana, trasparente e costruttiva

Non serve a nulla un dibattito sul nucleare votato alla sorda polarizzazione, intriso di pregiudizi e vecchie paure. Quello di cui abbiamo bisogno è una riflessione aperta e costruttiva, onesta e trasparente, in grado di contribuire alla costruzione di una coscienza comune. E come si fa? Ne abbiamo parlato con Luca Carra, giornalista scientifico e comunicatore.
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Luca Carra dice di avere una visione molto laica rispetto al nucleare. Giornalista scientifico, saggista e comunicatore, ha dedicato più di una riflessione al tema e negli anni è giunto alla conclusione che difficilmente l’atomo avrà un (nuovo) rinascimento con lo stesso significato che ha avuto nel dopoguerra, dove rappresentava ciò che oggi sono invece le rinnovabili.

Guardando all’immane sfida per il Pianeta che abbiamo di fronte, però, è convinto che il nucleare dovrebbe quantomeno rientrare nella rosa dei potenziali alleati da valutare. “A determinate condizioni potrebbe diventare molto utile dice, se non altro perché è sempre più chiaro come per vincere questa partita servano tutte le fonti energetiche in grado di non emettere CO2.

Per ragionare davvero sulla strategia per un futuro sostenibile è necessario tuttavia superare uno dei grandi limiti che da sempre circondano il tema. Anche Carra, come noi, è convinto che il nucleare oggi più che mai abbia bisogno di essere raccontato bene, anzi meglio.

Non è una novità, certo, ma questi mesi di pandemia hanno messo ancora più in evidenza come la scienza, le crisi e quei temi non così facilmente riducibili a un «giusto o sbagliato» necessitino di una comunicazione giusta e trasparente, onesta e affidabile.

Abbiamo bisogno di parlare di nucleare, inserendolo però in un dibattito non votato alla sorda polarizzazione, intriso di pregiudizi e vecchie paure, bensì in una riflessione aperta, costruttiva e in grado di contribuire alla costruzione di una coscienza comune. D’altronde, la strada verso il futuro passa anche da qui.

Insieme a Luca Carra abbiamo quindi provato a capire come riportare serenità nella comunicazione sul nucleare; come il giornalismo e le istituzioni potrebbero avviare un racconto non incentrato solo sui problemi; come, insomma, liberare la narrazione dall’inquinamento degli ultimi 40 anni.

I problemi 

Rettificare la comunicazione del nucleare non è un’operazione facile, prima di tutto perché ci sono delle idee radicate da così tanto tempo e così in profondità nelle nostre coscienze che non permettono di aprire le porte a un dibattito onesto.

Su tutti, il nucleare sconta quello che Carra definisce un “effetto indignazione” molto forte e connesso “con il peso della memoria di avvenimenti come Chernobyl e Fukushima e della memoria storico-politica che ha segnato l’ambientalismo proprio sul tema del nucleare. Buona parte dell’ambientalismo italiano nasce proprio sulla scorta di questi episodi”. 

Ogni volta che senti parlare di nucleare, nella tua mente appariranno probabilmente il sepolcro sotto cui vive e sbuffa ancora il reattore IV ucraino, le donne e gli uomini evacuati dalle loro case, i corpi martoriati dalle radiazioni.

Immagini di disastri, scorie e paure che finiscono con l’oscurare, per esempio, le radioterapie che contrastano i tumori o la scintigrafia e i radio farmaci con cui i medici scovano le neoplasie ossee.

Non giocherebbe a favore di un dibattito sano nemmeno quella parte intrinseca alla sua natura, fatta di complessità e rischi, che ci ha spinti a configurare il nucleare solo come una tecnologia che “militarizza il territorio” diversamente dalle rinnovabili percepite invece come più democratiche e gestibili, “sebbene in parte sia anche vero”. 

Davanti al nucleare, secondo Carra, verrebbe alzato un “muro ideologico” di cui, tra l’altro, abbiamo avuto prova anche in tempi recenti.

Il nucleare paga un “effetto indignazione” legato al peso della memoria di Chernobyl e Fukushima

Luca Carra, giornalista scientifico e comunicatore

Negli ultimi mesi, come sai, il dibattito è tornato prepotentemente sulla scena dopoché il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani ha più volte messo l’atomo insieme nella stessa frase con la rivoluzione green.

Subito gli sono piombate addosso piogge di critiche, molte delle quali riguardanti gli enormi ritardi legati ai problemi di sicurezza degli impianti e gli ingenti costi per sistemarli.

Tutto vero, dice Carra, se pensiamo però al nucleare cosiddetto «di III generazione», così costoso e complesso che è effettivamente difficile considerarlo un alleato.

Ciò a cui si riferisce Cingolani sono invece un nucleare diverso, quello modulare e di taglia più piccola, e tutto ciò che rientra nella famosa IV generazione. “Eppure si è subito screditata questa possibilità senza lasciarle appello. L’antinuclearismo moderno verso queste ipotesi si arricchisce anche di pregiudizi che ricordano quelli irrazionali dei no vax”.

Le potenziali soluzioni 

Il parallelo con l’attuale situazione pandemica è inevitabile ma efficace. Comunicare il nucleare, sostiene il giornalista, è difficile tanto quanto fare una comunicazione sul vaccino che vinca le resistenze di chi a priori decide di considerarlo inutile o peggio.

Ci si deve però provare. Come? Per prima cosa, dice Luca Carra, non bisogna preoccuparsi in maniera eccessiva delle reazioni avverse della gente. “Se come nel caso del vaccino sono molto radicali, irrazionali e minoritarie dobbiamo darle per scontate. Il primo obiettivo non può essere quello di convincere tutti perché non succederà mai”. 

Dando troppo spazio a quella fetta estrema di contrari si finisce con il commettere l’errore proprio di una polarizzazione, ovvero reagire a degli attacchi sconsiderati prendendo posizioni altrettanto sconsiderate.

“Qualche anno fa – ricorda – è uscito un libro su come il nucleare «salverà» il mondo. Queste estremizzazioni fanno male al dibattito. La agenzie internazionali lo ritengono una delle fonti che potrebbe contribuire con le altre al mix energetico, non l’unica”. 

Non basta ripristinare l’equilibrio comunicativo e ideologico del dibattito, serve anche ridefinirne i contorni inserendo l’opzione nucleare in un contesto più complesso.

Le estremizzazioni fanno male al dibattito e rafforzano la polarizzazione

Luca Carra, giornalista scientifico e comunicatore

Abbiamo bisogno, in sostanza, di una comunicazione totalizzante e trasparente, capace di rendere conto dei pro e dei contro, dei vantaggi e dei limiti del nucleare in modo da dare al cittadino tutto il pacchetto e non solo una porzione.

Carra ci ha fatto degli esempi. Per prima cosa, si potrebbe mettere più in evidenza il lato che riguarda la ricerca di soluzioni più compatibili con l’ambiente. “Quello delle scorie e dei tempi lunghi per gestirle è un problema che esiste e fare una comunicazione su come si potrebbero minimizzare lo ritengo un buon modo per guardare al tema con maggiore verticalità”. 

Si dovrebbe poi rivedere la narrazione finora fatta sugli incidenti nucleari, di cui avevamo già parlato anche con Giancarlo Surloni, comunicatore del rischio.

Prendiamo Fukushima. Molti hanno letto ciò che accadde l’11 marzo del 2011 come la definitiva pietra tombale sul nucleare, perlomeno in Italia dove a seguito dell’incidente abbiamo ribadito il nostro «no» all’atomo con un altro referendum.

Il fatto che il disastro giapponese sia avvenuto a causa di uno tsunami e il generatore abbia sì messo in crisi una centrale nucleare senza tuttavia aver prodotto un numero di vittime nell’immediato secondo Carra spingerebbe qualcuno a leggere l’incedente anche come un successo. “Varrebbe quindi la pena riprendere quanto accaduto, analizzarne gli studi e valutare qual è stato il reale impatto dell’incidente, le sue conseguenze politiche e psicologiche”. 

In seguito all’incidente, sopra al reattore 4 scoperto fu costruito un "sarcofago" per contenere le radiazioni.

O le conseguenze ambientali, come il problema delle acque contaminate sul quale è stata fatta un’informazione un po’ allarmista poi sbugiardata. “Parlare con trasparenza dei limiti e dei rischi di questa tecnologia, ma anche delle prospettive che sono tese ad eliminare queste problematiche mi sembra un’operazione che la popolazione potrebbe comprendere”. 

In poche parole, per Carra, bisognerebbe dare maggior voce alla scienza.

Microfono agli scienziati

Anche il giornalismo spesso cade nella trappola di comunicare il nucleare collegandolo a quell’immaginario comune che arriva facilmente al cittadino ma che rischia di ridarne un ritratto imparziale e fuorviante.

Un giornalista che deve scrivere di nucleare, poi, spesso non ha nemmeno il tempo per approfondire come vorrebbe. Colpa di quel perenne senso di urgenza, di una necessità di pubblicazione scandita dal ritmo dei social, di un meccanismo che premia l’istantaneo e troppo poco l’approfondimento. (Non è una giustificazione, semmai un rimprovero al sistema del giornalismo italiano, che anche Carra sente come un limite importante ad una miglior comunicazione del nucleare).

Fatto sta che per ripristinare un dibattito sano e fare una buona informazione è fondamentale dare spazio a coloro che fanno ricerca in campo nucleare. “È un’operazione un po’ di parte, certo, ma allo stesso tempo bisogna anche intervistare chi la pensa diversamente. In ogni caso, dice, non deve essere mai un giornalismo a tesi, che parte con un’idea preconcetta.

C’è da fare comunque attenzione. Anche dare voce alla scienza può trasformarsi in un’operazione rischiosa e controproducente. Il confronto con la pandemia torna ancora una volta protagonista perché il pericolo dietro alla sovraesposizione degli esperti – pensa ai virologi, infettivologi, immunologi in tv – è la spettacolarizzazione della scienza.

Parlare con trasparenza dei rischi e delle prospettive è un’operazione che la gente potrebbe comprendere

Luca Carra, giornalista scientifico e comunicatore

L’idea di Carra è quindi un giornalismo dotato di un approccio più totalizzante e trasparente, fatto di esperti adeguati e giornalisti scientifici che raccontino revisioni e studi e facciano il punto su queste tecnologie. In questo modo, il giornalismo diventa anche un supporto alle istituzioni.

La scienza al Governo

Una comunicazione di questo tipo è tuttavia ciò di cui si dovrebbero dotare anche le istituzioni stesse per parlare di nucleare.

Luca Carra, in questo senso, è stato tra i promotori di «Scienza in Parlamento», un appello portato avanti da un gruppo di ricercatori, scienziati e giornalisti per dare vita a un ufficio “permanente e politicamente imparziale” in grado di fornire consulenza scientifica e tecnologica al Parlamento Italiano.

Un pool di esperti, insomma, con cui il Governo possa confrontarsi su tematiche come il climate change, i big data, l’editing genetico, l’intelligenza artificiale, il 5G e, perché no, anche il ruolo del nucleare nella transizione energetica.

Può sembrarti un’idea rivoluzionaria ma molti parlamenti del mondo possono già fare affidamento su gruppi come questo.

“Questa situazione di emergenza dimostra che la scienza sta diventando imprescindibile per la politica. E che però deve essere comunicata ai politici e ai decision maker in modo neutrale, trasparente ed equilibrato senza rivendicare il diritto di dare essa stessa le soluzioni” dice Carra.

Con un organo come la Scienza in Parlamento si strutturerebbe un comitato fatto di politici, parlamentari e comunicatori capaci di agire con più consapevolezza nell’operazione di mediazione, conclude Carra.

Eppure il progetto, anche a causa della pandemia da Covid-19, oggi in Italia è fermo al palo. Mentre il dibattito sul nucleare, e sul futuro, continua.

(Questo è l'ultimo capitolo della rubrica, che è stata concepita e realizzata in collaborazione con Federico Turrisi)

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Giornalista fin dalla prima volta che ho dovuto rispondere alla domanda “Cosa vuoi fare da grande”. Sulla carta, sono pubblicista dal altro…