L’eredità di Fukushima? Sturloni: “Ci sono crisi prevedibili, negare il rischio significa farsi trovare impreparati”

Con Giancarlo Sturloni, giornalista e comunicatore del rischio, non abbiamo solo ricostruito quel fatidico venerdì pomeriggio. A dieci anni dal disastro, abbiamo provato a capire qual è l’eredità di Fukushima e del nucleare italiano e quali sono le similitudini tra un incidente nucleare “che non poteva succedere” e una crisi pandemica come quella che stiamo attraversando.
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Kevin Ben Alì Zinati 11 Marzo 2021
Intervista a Giancarlo Sturloni Giornalista scientifico ed esperto di comunicazione del rischio

Fukushima, dieci anni fa oggi. Come tante altre date, l’11 marzo 2011 è uno di quei momenti della storia che finiscono per scandire anche la nostra storia.

Sforzandoti, probabilmente nei tuoi ricordi puoi trovare quel venerdì pomeriggio. Puoi ricordare cosa stavi facendo mentre dall’altra parte del mondo un gigantesco tsunami si abbatteva a tutta forza contro la centrale nucleare di Fukushima, al largo delle coste orientali del Giappone.

Giancarlo Sturloni si ricorda bene di quel venerdì di marzo. È un giornalista scientifico esperto di comunicazione del rischio e ha memoria dei telegiornali allarmati e dei reporter internazionali raccontare di onde alte e solide come muraglie. “Di fronte alla centrale di Fukushima c’era una barriera di protezione alta una decina di metri – ci ha spiegato Sturloni – ma le onde arrivarono a 13-14 metri e quindi neanche la videro. Si abbatterono sulla centrale provocando danni a molte strutture, abbatterono i piloni che portavano la corrente elettrica e la centrale rimase senza elettricità.

Insieme a Sturloni, abbiamo provato a ricostruire il venerdì di Fukushima. Che con Three Mile Island e Chernobyl fu tra i più grandi e gravi disastri nucleari della storia dell’uomo. Senza dubbio, il più vicino a noi. L’11 marzo 2011, infatti, non risiede in un passato lontano e offuscato, di cui rischiamo di dimenticarci: appartiene al nostro presente e, se ascoltato, può raccontarci qualcosa anche del nostro futuro.

L’incidente, tra ieri e oggi 

L’11 marzo di dieci anni fa un forte terremoto al largo delle coste orientali del Giappone provocò un gigantesco maremoto che mise fuori uso la centrale nucleare di Fukushima. Fu come se un muro di acqua fosse crollato sugli impianti nucleari. Gli edifici crollarono, il nocciolo cominciò a surriscaldarsi e “a causa dell’idrogeno rilasciato ci furono diverse esplosioni che coinvolsero gli edifici. La situazione fu drammatica e fuori controllo.

Secondo Sturloni, in quel venerdì di tragedia ci fu un’enorme fortuna, che di fatto salvò migliaia di vite umane: “Il vento soffiava verso l’oceano perciò ha portato l’80% delle radiazioni verso il mare e da lì non avrebbero incontrato nulla fino alle isola Hawaii. Questo ha salvato l’interno del Giappone e la città di Tokyo, a poco più di 100km a sud. Se avesse spirato verso sud, la tragedia sarebbe stata incommensurabile: stiamo parlando di una delle città più densamente popolate del pianeta.

Oggi, l’area di Fukushima è ancora un cantiere aperto e azioni di bonifica sono tuttora in corso. Sturloni ci ha spiegato che potremo riprenderne il controllo forse solo nel 2050.

La lezione del nucleare 

L’incidente del 1979 alla centrale di Three Mile Island, sull’omonima isola in Pennsylvania, negli Usa, non causò morti. La fusione del reattore IV di Chernobyl per le autorità sovietiche provocò una trentina di vittime anche se, come sai, la conta è ben più alta se consideriamo tutte le morti causate dall’effetto delle radiazioni che soverchiarono l’Europa dall’aprile del ’86. Secondo i registri ufficiali del governo, l'esposizione alle radiazioni dell’incidente di Fukushima costò la vita “solo” a una persona.

Seppur con dinamiche ed esiti diversi, secondo Giancarlo Sturloni, tuttavia, tutti e tre gli incidenti lasciano una lezione comune: “Non c’è nessuna tecnologia umana che sia sicura e non lo possono essere nemmeno le centrali nucleari”.

Senza demonizzarlo, ci ha spiegato Sturloni, i tre incidenti hanno dimostrato che il nucleare, seppur in luoghi diversi, in nazioni diverse e per motivi diversi, può generare incidenti che lasciano un segno profondo.

Non c’è nessuna tecnologia umana che sia sicura e non lo possono essere nemmeno le centrali nucleari

Giancarlo Sturloni, comunicatore del rischio

Come Chernobyl. La zona del reattore oggi è ancora inavvicinabile, anche per i robot. “Non sappiamo che cosa ci sia lì dentro, oltre a un cuore radioattivo pulsate che resterà inavvicinabile per alcuni secoli. Se un giorno avremo le tecnologie per avvicinarci potremo provare a riprenderne il controllo, altrimenti resterebbe ben poco da fare: “Come un’infinita matrioska, dovremo costruire contenitori su contenitori per una zona che sarà perduta senza possibilità per gli esseri umani di avvicinarsi”. 

Un’eredità pesante

Se il referendum del 1987 aveva certificato la volontà dell’Italia di abbandonare il nucleare civile per la produzione di energia elettrica, l’incidente di Fukushima fu la condanna definitiva. Eppure, ancora oggi il nostro paese ha un conto in sospeso con il nucleare: le scorie delle nostre centrali.

“I rifiuti nucleari sono l’eredità di un’avventura anche breve del nucleare italiano. È un’eredità pesante, stiamo parlando di 100mila tonnellate di scorie radioattive che in parte sappiamo come gestire, con depositi di superficie come quello che vogliamo costruire e su cui oggi dibattiamo” ci ha raccontato Sturloni.

Se ti ricordi, ad inizio 2021 la Sogin aveva reso nota la Cnapi, la Carta delle aree potenzialmente idonee a ospitare il Deposito. Si tratta di una lista di 67 territori in cui potrebbero essere stoccati i rifiuti a bassa e media attività.

Sturloni ci ha spiegato che molti paesi hanno già depositi di questo tipo: ora è tempo per l'Italia di trovare una sistemazione in sicurezza, in zone geologicamente molto stabili, non esposte a frane o terremoti, dove stoccare questi rifiuti per circa 300 anni. “Non è poco tempo, perché se ci pensiamo, 300 anni fa non c’era ancora stata neanche rivoluzione francese, ma è un tempo ragionevole per mantenere in sicurezza un sito del genere”.

Questo vale solo per le scorie a bassa intensità. Discorso diverso per quelle a media e alta attività, ovvero le barre di combustibile, la cui radioattività durerà centinaia di miglia di anni e per cui oggi non c’è nessuna soluzione.

Le scorie sono un’eredità pesante del nucleare italiano: stiamo parlando di 100mila tonnellate di rifiuti radioattivi

Giancarlo Sturloni, comunicatore del rischio

“L’unica soluzione è metterle talmente tanto in profondità da dimenticarcene, in un luogo in cui nessuno possa più arrivarci. Un deposito di questo tipo lo si sta costruendo in Finlandia. Sarebbe il primo in Europa, l’unico esistente è negli Stati Uniti ma è di natura militare e non si conoscono dettagli”.

Il tempo di smaltimento di questi rifiuti è comunque di un'ordine di grandezza incomprensibile per l'uomo: “Stiamo parlando di un tempo in cui non possiamo nemmeno pensare a come comunicare a chi verrà dopo quello che ci sarà lì sotto. Le nostre lingue più antiche hanno solo 5mila anni”. 

Comunicare le crisi 

Ricordiamo Fukushima e il disastro nucleare giapponese oggi, mentre il mondo intero sta affrontando una pandemia. Crisi diverse per natura ed entità ma unite dalla stessa difficoltà di istituzioni, scienziati, giornalisti e ciascuno di noi a raccontarle e comunicarle.

Come comunicatore del rischio, Giancarlo Sturloni, è stato chiaro: mai negare il rischio. “Il nucleare ha sempre cercato di nascondere sotto il tappeto i rischi, nell’idea che fosse intrinsecamente sicuro e che il peggio non sarebbe mai successo”. 

Il secondo dogma, per Sturloni, è prepararsi in anticipo, in tempo di pace, prevedere ciò che prima o poi sai succederà. Cosa che, con il Coronavirus, è un po’ mancata. “Nonostante le pandemie siano fenomeni ricorrenti come terremoti e alluvioni, non avevamo gli strumenti per saperla gestire, nemmeno quelli comunicativi. La comunicazione è stata improvvisata”.  

Il terzo dogma lo aggiungiamo noi: il passato va ascoltato. L’11 marzo del 2011 di Fukushima va ascoltato.

Video girato e montato da Sara Del Dot