Nel mare dell’energia atomica: un primo giro di periscopio per conoscere i rischi e i vantaggi del nucleare  

Quando pensiamo a “nucleare” spesso è come se nelle nostre menti si accendesse un allarme rosso e si aprisse uno scenario fatto di paure e pericoli. Ma l’energia atomica è sinonimo anche di produzione di energia a basse emissioni o anche di tecniche di diagnosi e trattamenti terapeutici utilizzati quotidianamente nella medicina. Dagli incidenti agli impieghi virtuosi, ti porto a fare un giro tra le luci e le ombre dell’energia dell’atomo.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga

Il nucleare è la classica medaglia a due facce: c’è il lato che appare per primo e a cui molti si fermano e c’è l’altro, quello nascosto, che per essere osservato richiede lo sforzo di prenderla in mano e ruotarla di 180 gradi. Tradotto significa che molto spesso nelle nostre menti “nucleare” è come la luce rossa di un allarme. Fa rima con Three Mile Island, Chernobyl, Fukushima e poi ancora con radiazioni, nubi tossiche, bombe, scorie, morte. Un immaginario animato da paure e ombre piazzatoci sotto il naso nelle forme più diverse: dai racconti terrificanti dei nonni ai libri di storia, dai prodotti di entertainment come film o serie tv fino al linguaggio quotidiano, dove ogni sfumatura fra nucleare e morte si azzera e la comunicazione si lascia guidare dal più sensazionalistico “Attenzione!”. Lo stesso “impegno divulgativo” tuttavia non ha coinvolto anche l’altro lato del nucleare.

Quello che, per esempio, riguarda lo sfruttamento delle reazioni di fissione, o di fusione: produrre energia elettrica praticamente illimitata, a costi molto più bassi e con una netta riduzione delle emissioni inquinanti per correre verso la transizione a un'energia "clean". O ancora quello che è il nucleare “di tutti i giorni”, fatto di diagnosi mediche e trattamenti terapeutici per malattie oncologiche e neurologiche attraverso sostanze radioattive. Lascio da parte le esplosioni su Hiroshima e Nagasaki di cui ti ho già parlato qui e nelle righe che seguiranno ti racconterò questa dicotomia: gli incidenti, con cui l’umanità ha già dovuto fare i conti e che hanno contribuito alla cattiva fama del nucleare e poi gli impieghi virtuosi e i risvolti tecnologici, sanitari e ambientali reali o potenziali legati all’atomo. Due volti senza i quali, insomma, la medaglia non sarebbe una medaglia, un gioco di luci e ombre dentro cui vale la pena dare uno sguardo. Un po’ come i comandanti dei sottomarini che si vedono nei film sulla Seconda Guerra Mondiale: un giro di periscopio a 360 gradi per valutare, capire e conoscere il mare in cui si naviga.

Le prospettive di futuro

Dopo le pressioni da parte della comunità scientifica in seguito alle esplosioni atomiche e il test della bomba H sull’atollo di Bikini, il nucleare aveva già preso la sua svolta civile e pacifica. Negli anni ’50 diverse centrali a fissione erano già sorte negli Stati Uniti, in Unione Sovietica e in Europa, promettendo opportunità troppo interessanti per essere ignorate: energia praticamente illimitata e sostenibile senza lo sfruttamento dei combustibili fossili e composti a base di sostanze radioattive per applicazioni in campo agricolo e sanitario. Il nucleare era dunque sinonimo di progresso. Una centrale a fissione, come oggi, era in grado di fornire parte dell’elettricità di cui una città aveva bisogno. Grazie alle reazioni di fissione moderate all’interno del nocciolo di un rettore, vengono prodotte enormi quantità di energia che scaldando l’acqua circostante trasformandola in vapore: questo, a sua volta, mette in azione una serie di turbine che, con il loro vorticare, produce energia elettrica. Ad attirare gli investitori e i governi ma anche parte dell’opinione pubblica erano i vantaggi diretti della nuova forma di energia. Su tutti, la possibilità concreta del “carbon free”.

Di fronte al rischio di una scarsità di risorse, il nucleare rappresentava la via per un’indipendenza energetica. Soprattutto, prometteva di ridurre drasticamente l’inquinamento atmosferico: una centrale a fissione, infatti, non produce anidride carbonica o altri gas serra. Niente più combustibili fossili non significa, però, emissioni zero. Questo perché se è vero che le reazioni di fissione in sé non producono CO2, per valutare l’impatto ambientale di ogni singola attività dell’uomo è altrettanto necessario valutare ogni singola fase di quell’attività, dall’ideazione del progetto fino al suo smantellamento: quindi i costi di produzione per ogni vite o bullone, l’impatto dei mezzi di trasporto impiegato o quelli del personale che deve raggiungere il cantiere. Se dunque l’energia atomica non può considerarsi completamente green, è certamente una delle opzioni più vantaggiose e sostenibili per procedere verso la decarbonizzazione.

Le reazioni di fissione nucleare non producono grandi quantità di anidride carbonica. La fusione, invece, sarebbe completamente sostenibile

Un discorso diverso, invece, merita l’altra parte delle reazioni nucleari: la fusione. Se la fissione comporta la spaccatura di un atomo di uranio colpito da proiettili di neutroni e la conseguente produzione di energia, la fusione è l’opposto. Gli atomi si uniscono e si fondono in elementi nuovi originando una quantità di energia fino a 4 volte superiore a quella della reazione sorella. Ma se la fissione possiamo innescarla, controllarla e sfruttarla, la fusione è qualcosa che ancora sfugge al potere dell’uomo.

Il progetto Iter è in fase di costruzione a Saint–Paul–lès–Durance, nella regione della Provenza–Alpi–Costa Azzurra. Fonte: Iter.org

Il progetto internazionale Iter sta lavorando oggi alla costruzione di un mega reattore che possa mettere in atto la prima reazione di fusione controllata: per i primi risultati, però, passeranno decenni. Seppur spostata in là nel tempo, è la strada verso un futuro più green e sostenibile. Una volta che possederemo la fusione, saremo in grado di replicare la stessa produzione di energia che avviene nel Sole e nelle stelle, saremo quindi capaci di garantire al mondo una fonte di energia: pulita, perché vi sarebbero zero emissioni inquinanti; illimitata, perché i principali combustibili della fusione si troverebbero nell’acqua che, a meno di catastrofi, difficilmente si esaurirà; sicura, perché intrinsecamente la reazione di fusione è più stabile della fissione e gli incidenti, dunque, sarebbero ancora più limitati e poi perché, diversamente da quanto accade oggi, non vi sarebbero scorie o rifiuti radioattivi.

Proprio qui, nello spazio che divide la fissione dalla fusione si intravedono alcuni de i limiti del nucleare per come lo conosciamo oggi: incidenti, scarsa esperienza nella gestione degli impianti, difetti tecnici e la produzione di rifiuti radiaoattivi.

Three Mile Island

Il nome non è altisonante come quello degli altri, ma quella inaugurata il 19 settembre del 1978 sull’isola di Three Mile Island, nello Stato della Pennsylvania, fu la 73esima centrale nucleare sul suolo degli Stati Uniti attiva per la produzione di energia elettrica. Alle 4 del mattino del 28 marzo 1979, tuttavia, la storia dell’uomo con il nucleare prese la prima svolta. A causa di un mix di errori umani e difetti tecnici, per prima cosa si interruppe il flusso d’acqua all’interno del reattore. L’acqua è un componente fondamentale perché è ciò che “modera” le reazioni di fissione nucleare. In pratica i neutroni che come proiettili colpiscono gli atomi di uranio sono troppo veloci e per innescare la fissione devono diminuire la propria velocità. Questo fluido, come altri materiali quali la grafite, è in grado di farli rallentare e permettere quindi la reazione.

L’impianto nucleare di Three Mile Island, nello stato americano della Pennsylvania. Fonte: Wikipedia

L’impianto comunque si spense automaticamente ma la pressione al suo interno cominciò ad aumentare. Il sistema aprì una valvola di sicurezza per scaricare un po’ di pressione ma anziché richiudersi restò aperta. In sala di controllo nessuno degli operatori si accorse di nulla perché gli strumenti non diedero un segnale univoco e così, sotto gli occhi ignari dei tecnici, l'acqua di raffreddamento continuò ad uscire dalla valvola aperta sotto forma di vapore e il reattore, come un corpo ferito, perse enormi quantità di liquido di raffreddamento. L’acqua si riversò nella stanza del reattore e si trasformò in vapore, il nocciolo rimase così senza refrigerazione e cominciò così a fondersi. Dopo più di un’ora, le barre di uranio si sciolsero del tutto emettendo del materiale radioattivo. A quel punto l’allarme generale fu lanciato e il Governatore della Pennsylvania spinse per l’evacuazione della popolazione, donne incinte e bambini soprattutto.

Secondo la World Nuclear Association il rischio di sviluppare cancro è legato ad un assorbimento di dosi di radiazioni superiore a 100 millisievert in un arco di tempo molto breve: la media a cui furono esposti i cittadini che abitavano entro 10 miglia dal reattore fu di 0,08 millisievert, ovvero la dose di una radiografia al torace. Quello di Three Mile Island fu il primo serio incidente dovuto al nucleare utilizzato come fonte di energia elettrica nella storia dell’uomo, il più grande e grave avvenuto sul territorio degli Stati Uniti, ma per fortuna non causò dunque danni irrimediabili né all’uomo né all’ambiente circostante. Tuttavia ebbe un effetto fionda devastante sull’impiego del nucleare in sé.

Fu il primo grave incidente nella storia del nucleare e ad oggi è il più grande mai avvenuto sul suolo statunitense

Da un lato i difetti tecnici portarono a galla la necessità di ammodernamenti tecnologici che fecero così aumentare i costi di gestione e manutenzione degli impianti. Dall’altro, invece, colpì così duramente l’opinione pubblica che negli Stati Uniti le centrali nucleari furono accantonate per i successivi 30 anni.

Chernobyl

Se guardato retrospettivamente, lo stop nucleare voluto dagli americani aveva il suo perché, ulteriormente giustificato la notte del 26 aprile 1986. Nell’impianto nucleare di Chernobyl, in Ucraina, andò in scena il più grave incidente nucleare mai registrato sul nostro pianeta. Tutto iniziò, paradossalmente, a causa di un test di sicurezza. Il diktat dalle alte sfere dell’Unione Sovietica era di verificare per quanto tempo sarebbero rimaste in funzione le turbine nel caso in cui il reattore avesse perso rapidamente potenza. Se dunque sarebbero state in grado di produrre la quantità di elettricità necessaria per tenere attivo il sistema di raffreddamento fino a quando non fossero subentrati i generatori di emergenza. Così dalla sala di controllo del reattore 4 della centrale, gli operatori dell'impianto di Chernobyl, che nel frattempo avevano lasciato il posto a colleghi meno esperti, arrestarono il sistema di raffreddamento di emergenza e iniziarono a ridurre la potenza del reattore. Il quale, intorno a mezzanotte e mezza, arrivò alla potenza di 30 Mega Watt, soglia decisamente al di sotto di quella di sicurezza per il test, valutata a 700 MWt.

L'incidente di Chernobyl iniziò paradossalmente per un test di sicurezza

I tecnici provano a rialzare la potenza ma il nucleo del rettore si "avvelenò" a causa dell’elevata produzione di Xeno. Estrassero completamente tutte le barre di controllo costruite in grafite, quel materiale che, come ti dicevo prima, è in grado di moderare la reazione di fissione nucleare. Intanto il test proseguì ma all’1:23 la potenza del reattore aumentò all’improvviso e la situazione sfuggì al controllo dei tecnici. In sala comandi un operatore tolse la sicura e alle 1:23:40 azionò l’AZ-5, un bottone di spegnimento di emergenza che avrebbe dovuto reinserire tutte le barre di controllo e quindi interrompere la reazione di fissione. Qui però successe qualcosa che solo pochi, si scoprì in seguito, sapevano: le barre non rientrarono fino in fondo, il combustibile nucleare interagì in modo instabile con l'acqua di raffreddamento, aumentò il vapore, aumentò la pressione e il tempo corse velocissimo. Alla 1:23:44 un’esplosione destabilizzò la struttura, un secondo dopo una seconda fu così potente che fece saltare la copertura da mille tonnellate sopra al reattore. Il nocciolo del reattore 4 di Chernobyl, scoperto, cominciò a bruciare producendo una colonna di fumo radioattivo che si alzò per oltre 1 chilometro nell’aria.

Il reattore 4 di Chernobyl esploso. Fonte: Wikipedia

Sul resto dell’edificio e tutt’intorno vennero sparati detriti di grafite, altamente radioattiva e i componenti più leggeri derivati dalla combustione vennero trasportati dal vento verso il resto del’Ucraina, la Bielorussia, la Russia e l’Europa. La tossicità della nuvola radioattiva fu 400 volte superiore a quella della bomba di Hiroshima. Gli oltre 40mila abitanti della cittadina di Pripyat, nata a due chilometri dalla centrale per ospitare il personale, furono evacuati il 27 aprile, entro il 14 maggio furono quasi 120mila le persone che vivevano in un raggio di 30 chilometri trasferite in zone più lontane. Ancora oggi, attorno alla centrale sorge la cosiddetta “zona di esclusione”, un’area di oltre 2600 chilometri quadrati altamente radioattiva e totalmente inabitabile.

In seguito all’incidente, sopra al reattore 4 scoperto fu costruito un "sarcofago" per contenere le radiazioni.

Calcolare il numero delle vittime dovute all’incidente di Chernobyl non è semplice. Certi sono i 31 morti registrati ufficialmente, tra cui vi furono tecnici dell’impianto rimasti coinvolti nell’esplosione o esposti a una dose devastante di radiazioni, come successe del resto ai primi vigili del fuoco che intervennero per domare le fiamme. Le dosi ricevute dai pompieri e dagli operatori provocarono loro sindromi da radiazione acuta, che si verificano in seguito ad un’esposizione di oltre 700 milligray in un lasso di tempo breve. Le dosi ricevute dai vigili del fuoco deceduti furono stimate intorno ai 20mila mGy. La portata effettiva dei danni non è calcolabile: la nube radioattiva raggiunse diverse zone d’Europa con intensità diverse, esponendo la popolazione a dosi differenti. Le stime passano da 4mila a 600mila persone contaminate a causa dell’incidente nucleare di Chernobyl.

Fukushima

Marzo-aprile non sembra essere un buon periodo per l’energia nucleare. L’ultimo incidente grave che ha coinvolto una centrale a fissione si verificò l’11 marzo del 2011 nell’impianto di Fukushima Daichi, un’isola del Giappone. Quella mattina una scossa di terremoto di magnitudo 9 scombussolò la terra generando uno tsunami con onde altre oltre 10 metri. Queste si abbatterono sulla costa con una violenza spaventosa causando almeno 15mila vittime e più di 100mila sfollati. La corsa dello tsunami fu inarrestabile e arrivò sull’isola, superò le barriere protettive alte oltre cinque metri e si infranse contro la centrale nucleare. Come a Chernobyl, anche a Fukushima si verificò “l’incidente che non poteva succedere”.

Non appena fu rilevata la scossa i sistemi di sicurezza reinserirono tutte le barre di controllo all’interno del nocciolo per bloccare la reazione di fissione e gli impianti furono spenti. Ma l’acqua mandò in tilt i sistemi di raffreddamento che avrebbero dovuto smaltire il calore residuo dell’attività del reattore e il nocciolo cominciò a surriscaldarsi.

Ogni incidente nucleare è considerato come "qualcosa che non poteva succedere"

Anche in questo, come ha ricostruito la World Nuclear Association, caso il rivestimento di zirconio del combustibile interagì con l’acqua generando un aumento di pressione e un’enorme quantità di idrogeno. I tecnici smaltirono parte del vapore, disperdendo l’idrogeno che, però, causò una serie di esplosioni  a catena. Il destino fu lo stesso di Chernobyl: i noccioli noccioli dei reattori 1, 2 e 3 della centrale si fusero e inevitabilmente venne emesso materiale radioattivo.

Una delle esplosioni alla centrale nucleare di Fukushima. Fonte: Enviromental Justice Atlas

Nonostante sia stato calcolato che la contaminazione ambientale post Fukushima fu quasi un decimo di quella rilasciata dal disastro ucraino, le conseguenze furono serie. Nell’oceano Pacifico finì una grande quantità di acqua contaminata e gli elementi radioattivi a lunga vita vennero assorbiti dalle piante e dagli animali. Fu evacuata la zona contenuta in un raggio di chilometri, comportando così lo spostamento di circa 80mila persone. Nel dicembre dello stesso anno, il governo ha dichiarato che avrebbe aiutato i residenti a tornare alle proprie case in quelle zone dove la dose annuale di radiazioni sarebbe stata inferiore a 20 millisievert per anno: dove invece fossero state superiori, la zona sarebbe stata inaccessibile fino alla completa decontaminazione.

Le scorie

Se gli incidenti ci sono stati e, per certi versi, sono imprevedibili, il risvolto meno piacevole e noto del nucleare di oggi, quindi delle centrali a fissione, è la produzione delle famose scorie. Ovvero il combustibile nucleare esausto che viene originate dall’esercizio “normale” dell’impianto, dalle attività di mantenimento in sicurezza e anche dai successivi lavori di smantellamento. Ti parlerò in modo più approfondito della scorie in uno dei prossimi appuntamenti della rubrica, qui però ti anticipo che si tratta di rifiuti altamente radioattivi che, in base al grado di radioattività, si dividono in scorie altamente radioattive e debolmente o mediamente radioattive.

Questi rifiuti generano molto calore a causa del decadimento radioattivo dei materiali che li compongono e la diminuzione della radioattività necessita di tempo lunghissimi, anche migliaia di anni. Oggi le scorie nucleari vengono stoccate in sicurezza all’interno di appositi depositi temporanei e trattati internazionali come il London Dumping Convention del 1972 o il successivo Barcellona Dumping Protocol vietano lo smaltimento dei rifiuti in mare. Come purtroppo puoi immaginare, però, prima di questi accordi e anche dopo, non sono mancati atti criminali e folli enormi quantità di rifiuti nucleari gettati nelle acque dei nostri mari e degli oceani.

L’energia di oggi e quella di domani

Da dove arriva l’energia che utilizzano oggi? Oltre l‘80% del consumo di energia primaria proviene dalla combustione di petrolio, gas e carbone, combustibili fossili a cui si lega una serie di reazioni a catena devastanti: emissioni inquinanti nell’atmosfera, cambiamenti climatici, danni ambientali e agli ecosistemi, morte prematura di milioni di persone ogni anno. L’energia prodotta delle centrali a fissione, oggi, non è ancora una alternativa totale: come sai, l’impiego e l’accettazione del nucleare sono al centro di un dibattito che coinvolge aspetti politici sociali, economici e ambientali.

Tuttavia, l’atomo è oggi una delle principali fonti energetiche a livello globale. Nel 2018 erano 452 i reattori nucleari attivi in tutto il mondo e grazie alle reti di trasmissione regionali, è aumentato il numero dei paesi che importano energia “estera” generata dal nucleare. Se ti stai domandando dell’Italia, secondo la World Nuclear Association quasi il 10% dell’elettricità che utilizziamo deriva dall'energia nucleare importata. Nei dati forniti dalla IEA si legge, anche, che circa il 10% di tutta l'elettricità mondiale è generata da reattori nucleari.

Il 10% della produzione mondiale di elettricità, nel 2017, veniva dal nucleare. Fonte: IEA.

Inoltre, dodici paesi nel 2018 hanno prodotto almeno un quarto della loro elettricità dal nucleare: la Francia produce tre quarti della sua elettricità dal nucleare, l’Ungheria, la Slovacchia e l’Ucraina più della metà, il Belgio, la Svezia, la Slovenia o la Svizzera ne ottengono un terzo. Negli Stati Uniti un quinto dell'elettricità viene dal nucleare, in Giappone è un quarto.

Dodici paesi al mondo hanno prodotto almeno un quarto dell’energia elettrica attraverso il nucleare. Fonte: World Nuclear Association

Il ruolo da protagonista su scala globale nella produzione di energia elettrica proietta il nucleare tra le opzioni concrete per correre verso una transizione energetica più sostenibile e, guardando un po' più in là, anche per contrastare il climate change. Insieme a quella idroelettrica, l'energia nucleare è alla base della produzione di elettricità a basse emissioni di carbonio: insieme, infatti, forniscono tre quarti dell'elettricità globale a basse emissioni. Secondo le stime della IEA, negli ultimi 50 anni il nucleare ha ridotto le emissioni di CO2 di oltre 60 gigatonnellate, che corrisponderebbero quasi a due anni di emissioni globali (sempre dipendenti dalla produzione di energia). Quindi  il contributo del nucleare verso un'energia più pulita è importante e concreto nonostante, spiega l'Agenzia, la quota complessiva di fonti di energia pulita sull'elettricità globale nel 2018 era pari al 36%, era cioè la stessa percentuale di 20 anni prima. E questo, secondo la IEA, dipenderebbe del declino che avrebbe investito il nucleare.

Tutto questo, come ti dicevo, in attesa della fusione nucleare che ci consentirà di produrre energia illimitata e a zero emissioni inquinanti.

Medicina nucleare

Studiare e approfondire il mondo della fisica nucleare ha significato aprire strade di sviluppo tecnologico in diversi ambiti. Tra questi, fin dagli anni ’50 è stato privilegiato quello cosiddetta “medicina nucleare”. La scoperta della radioattività e la gestione controllata dei suoi materiali ha permesso di sfruttarli in due direzioni: nella diagnostica e nel trattamento di diverse patologie come i tumori. La medicina nucleare si basa sull’impiego dei radiofarmaci, composti costituiti da una parte farmacologicamente attiva e da una invece radioattiva.

Quando si parla di diagnosi, i radiofarmaci funzionano così: grazie alla parte farmacologicamente attiva si localizzano all’interno di alcune strutture del corpo o all’interno di alcuni organi che i medici possono individuare e osservare grazie alla “lettura” della componente radioattiva attraverso sofisticati macchinari di imaging. In questo modo i clinici possono apprendere informazioni sullo stato di un tessuto o di un organo e monitorare la loro funzioni rilevando possibili alterazioni dello stato di salute. Avrai sentito parlare di alcune di queste tecniche di medicina nucleare. Una è la scintigrafia, tecnica che nel caso di patologie ischemiche, per esempio, può mostrare se ci sono zone del cuore che sono meno irrorate di sangue grazie alla lettura del radiofarmaco. Lo stesso approccio è spesso utilizzato a livello osseo per individuare eventuali lesioni ossee o patologie maligne o benigne. Le informazioni ricevute dalla lettura dei radiofarmaci vengono elaborate da una workstation o server dedicato e poi rappresentato con una mappa della funzione studiata. Un’altra tecnica molto utilizzata è la Pet, acronimo inglese che sintetizza la tomografia a emissione di positroni. In pratica prevede la somministrazione nell’organismo di glucosio aggiunto con una molecola radioattiva. Il glucosio viene assorbito facilmente dalle masse tumorali e il tomografo, rilevando gli accumuli di questa sostanza, sono in grado di individuare e confermare la presenza di tumore o di una o più metastasi.

Radiazioni e “nucleare” sono alla base anche di molti trattamenti terapeutici. La radioterapia, infatti, sfrutta proprio radiazioni ad alta energia emesse da sostanze come lo iodio o il cobalto per colpire e distruggere le cellule tumorali. Queste vengono “sparate” contro la massa danneggiando le cellule cancerose fino al punto che queste non sono più in grado di riprodursi e proliferare. E spesso, questa tecnica è utilizzata in in combinazione con altre terapie come la chirurgia e la chemio. Negli ultimi anni, poi, si è sviluppata soprattutto in Italia la cosiddetta “adroterapia”. Anziché l’utilizzo di raggi x come nella radioterapia, questa tecnica impiega protoni e ioni di carbonio che hanno il vantaggio di essere più pesanti, possiedono una maggior energia rispetto agli elettroni e sono quindi più efficaci nel distruggere le cellule tumorali.

Questo articolo fa parte della rubrica
Giornalista fin dalla prima volta che ho dovuto rispondere alla domanda “Cosa vuoi fare da grande”. Sulla carta, sono pubblicista dal altro…