La radioattività, l’Uranio, i ragazzi di via Panisperna e i neutroni lenti: di cosa parliamo quando parliamo di nucleare?

Addentrarsi alla scoperta del nucleare significa conoscere prima di tutto i suoi protagonisti: chi sono stati, cioè, i fisici e gli scienziati che lavorarono alla scoperta della radioattività e del bombardamento dei nuclei di Uranio con i neutroni lenti. Significa, poi, seguire il viaggio che ha portato la fisica dell’atomo dall’Inghilterra alla Francia, da Berlino a Roma, dagli Stati Uniti al Giappone tra esperimenti, nuove scoperte, bombe e manifesti per la pace.
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Di che cosa parliamo quando parliamo di nucleare? Prendo in prestito le parole di Raymond Carver, applico la proprietà transitiva e provo incollo qui uno dei pilastri della comunicazione e del giornalismo, nello spazio che ci siamo ritagliati per indagare uno dei temi scientifici e sociali più delicati di tutti. Perciò: chi scoprì l’energia nucleare? E cosa scoprì? Dove? Quando successe e poi la più difficile, perché?

La mano della moglie

Cominciamo con il quando, perché le scoperte alla base di quello che noi oggi intendiamo come “nucleare” arrivarono quasi una sopra l’altra, tra la fine del ‘800 e i primi anni del ‘900. Uno dei punti di partenza fu il 1895, quando la mano della moglie permise al fisico Wilhelm Roentgen di dare il via alla “rivoluzione”. Lo scienziato tedesco stava studiando il comportamento di una corrente elettrica all’interno di un tubo fluorescente, a cui aveva coperto le estremità con dei cartoncini neri. Con la coda dell’occhio, però, notò che lo schermo posto davanti al tubo si illuminava. Qualcosa che si era generato dentro al tubo stava quindi trapassando i cartoncini: se erano dei raggi, Roentgen non li conosceva.

Così provò a sistemarvi davanti una serie di oggetti, per testare se anch’essi venivano trapassati e scoprì che solo il piombo rimaneva impenetrabile. A quel punto, probabilmente anche tu avresti fatto solo stesso. Così Roentgen vi infilò in mezzo la mano e scoprì l’ombra delle ossa delle proprie dita proiettata sullo schermo. Passarono i giorni e lo scienziato meditò di ritentare l’esperimento con due varianti. Lo schermo sarebbe stato sostituito da una lastra fotografica e la mano sarebbe diventata quella della moglie Anna Bertha. Dopo quasi quindici minuti di mani ferme e immobilismo, Roentgen ottenne la prima radiografia della storia dell’uomo attraverso dei raggi che, per la loro misteriosità, ribattezzò appunto X.

La mano della moglie di Roentgen: è la prima radiografia della storia. Fonte: Wikipedia

Una scoperta rivoluzionaria

Puoi immaginarlo, la scoperta di Roentgen aveva acceso in fretta l’immaginazione e fisici di tutto il mondo cominciarono a sfruttare l’intuizione del tedesco con gli esperimenti più diversi. Da uno di questi, soltanto un anno dopo, il fisico francese Antoine-Henry Becquerel propose una teoria che rimise subito in fibrillazione tutto il mondo scientifico. Becquerel, divertendosi a testare la lastra fotografica, scoprì che anche alcuni composti dell’Uranio si comportavano esattamente con i raggi X di Roentgen, impressionando la lastra. Con il suo esperimento un po’ casuale, Becquerel scoprì la radioattività, cioè la capacità degli atomi di emettere spontaneamente un certo quantitativo di radiazioni.

La coppia più famosa della scienza

Ma solo l’Uranio poteva essere considerato un atomo radioattivo? È la domanda che tamburellò nelle menti della scienziata polacca Marie Sklodowska e del marito Pierre Curie. A ridosso del nuovo secolo, i due stavano analizzando le proprietà di due minerali ricchi di Uranio ma si trovarono di fronte a un problema. I campioni che stavano testando erano troppo radioattivi, emanavano cioè troppe radiazioni in rapporto all’Uranio contenute al loro interno. Com’era possibile? Il ragionamento fu questo: se l’Uranio da solo non poteva emettere tutte queste radiazioni, ci dovevano essere altri elementi più radioattivi che non conosciamo. Ebbero ragione. Tra il 1889 e il 1902 la coppia riuscì a isolarli e a identificarli, ribattezzandoli con il nome di Polonio e Radio.

Marie Curie su un vecchio francobollo polacco

Dogmi spazzati via

La radioattività divenne il nuovo universo che tutti i fisici e i chimici dell’epoca volevano, e dovevano, esplorare. Tra questi, un fisico inglese, William Crookes, noto la singolarità di un campione di Uranio che non diminuiva la propria radioattività con il tempo come sarebbe stato intuitivo, ma anzi l’aumentava. Questa osservazione arrivò fino al compatriota Ernest Rutherford, che già godeva della fama di “maestro dei maestri”. Egli propose una propria teoria, e cioè che sprigionando radiazioni, l’atomo di Uranio con il passare del tempo cambiava forma, trasformandosi in un altro elemento con una maggiore capacità di emettere radiazioni. Ecco, devi provare a immaginarti la reazione del mondo scientifico di fronte a questa affermazione. Se esisteva un dogma certo e incrollabile che cementava le colonne su cui si reggeva la chimica era che un atomo di un elemento non poteva in nessun modo trasformarsi in un atomo di un altro elemento: solo le sostanze potevano permetterselo.

L'Uranio con il tempo non diminuiva la propria radioattività ma anzi, l'aumentava

Il dogma, però, cadde quando Rutherford, nel 1919, prese un contenitore con dell’azoto e ci piazzò accanto un materiale capace di emettere le “sue” particelle alfa.  Le aveva scoperte lui stesso giusto qualche anno prima, insieme alle beta. Quando concluse l’esperimento e aprì il contenitore, scoprì che la particella alfa aveva bombardato un atomo di azoto dando vita a un nuovo elemento, l’isotopo 17 dell’ossigeno. Rutherford aveva così portato a termine la prima trasformazione nucleare.

I ragazzi di via Panisperna

Rutherford ispirò un nuovo tipo di curiosità scientifica. I chimici francesi Irène e Frédéric Joliot-Curie seguirono le impronte dello scienziato inglese e cominciarono a bombardare con particelle alfa un altro elemento, l’alluminio. Questo come previsto originò un isotopo del fosforo e i coniugi Curie brevettarono la cosiddetta “radioattività artificiale”. In pratica, confermarono che si poteva indurre artificialmente un atomo ad emettere radiazioni. La storia a questo punto fece una deviazione geografica importante e arrivò in Italia, a Roma, più recisamente in via Panisperna. Qui, a partire dal 1934 la fisica venne presa per mano da scienziati come Edoardo Amaldi, Franco Rasetti, Emilio Segré, Ettore Majorana, tutti guidati da Enrico Fermi. Come in una partita di ping-pong, il gruppo, soprannominato “i ragazzi di via Panisperna”, raccolse la palla e si dedicò alla radioattività artificiale, con un cambio di prospettiva.

Da sinistra: Oscar D’Agostino, Emilio Segrè, Edoardo Amaldi, Franco Rasetti e poi Enrico Fermi. I ragazzi di via Panisperna. Fonte: Wikipedia

Andò più o meno così. Gli italiani sapevano che le particelle di Rutherford erano elettricamente positive, proprio come il nucleo degli atomi, e che perciò la loro repulsione elettrostatica impediva alle alfa di vincere tutte le forze nucleari e sfondare fino al cuore del nucleo. Più il numero di protoni aumentava, quindi, più diventava impossibile penetrarvi e l’Uranio, che di protoni ne ha 92, era praticamente fuori da giochi.

Allora i ragazzi di via Panisperna si guardarono: “usiamo i neutroni, hanno carica elettrica neutra e non troverebbero resistenze”, e con il nuovo bombardamento presero di mira tutti gli elementi della tavola periodica. Durante uno dei tentativi, Fermi notò una cosa strana: se si rallentava la velocità dei neutroni, questi avrebbero avuto più tempo per avvicinarsi al nucleo. Arrivati quindi al fatidico Uranio, lo bombardano con i nuovi “neutroni lenti” e osservarono quella che sembrò fin da subito la generazione di elementi mai visti prima e con un numero atomico (cioè di protoni) più alto che li rendeva quindi più “pesanti” di quello di partenza. Ne individuarono due, l’Asuonio e l’Esperio, che passarono alla storia come gli elementi “transuranici”.

Le intuizioni di due scienziate

La scoperta del gruppo di Enrico Fermi fece il giro del mondo e arrivò nella Berlino degli anni ’30, con Hitler e il nazismo che si espandevano come petrolio nell’oceano. Qui una chimica filo-nazista, Ida Noddack, scrisse a Fermi per avvertirlo: forse, con il suo esperimento, non aveva aumentato il nucleo dell’Uranio ma l’aveva spaccato in due. Fermi ci pensò per delle notti, annotò qualche formula su un foglio ma poi andò avanti per la sua strada. Nel frattempo il bombardamento dell’Uranio con i neutroni lenti diventò la frontiera anche per altri due fisici, Otto Hahn e Fritz Strassmann. Tra loro spiccava una brillante giovane fisica austriaca, Lise Meitner, con cui portarono avanti per mesi gli stessi esperimenti degli italiani ottenendo però i medesimi risultati: l’ipotesi degli elementi transuranici restava dunque intoccabile.

Lise Meitner insieme a Otto Hahn. Fonte: Wikipedia

Gli anni passarono, la Germania si prese l’Austria, Fermi venne insignito del premio Nobel per le scoperte con i neutroni lenti e Meitner si rifugiò in Svezia per sfuggire alla persecuzione degli ebrei. L’esperimento però non mollò mai la testa di Otto Hahn che, a una settimana dalla consegna del premio all’italiano, ci riprovò. Questa volta trovò qualcosa di diverso e in una lettera a Lise Meitner scrisse più o meno così: “tra i prodotti del bombardamento ci sono nuclei di bario, che è più leggero del’Uranio. Ma sappiamo che l’Uranio non può scomporsi in questo elemento. Che ne pensi?”.

Era inverno, e in Svezia il paesaggio era ricoperto da un tappeto infinito di neve in cui Lise Meitner amava affondare i propri piedi, fino a bagnarsi le caviglie. Fu in mezzo a tutto questo bianco che la fisica arrivò alla soluzione: se si bombarda l’uranio con dei neutroni lenti, il suo nucleo si spacca in due generando elementi più leggeri e liberano una grande quantità di energia. “La chiameremo fissione nucleare”.

Dall’altra parte dell’oceano

Come procedeva la fisica, altrettanto facevano il fascismo e le sue leggi razziali che, con la promulgazione nel 1938, portarono Fermi e la moglie Laura, ebrea, oltre oceano, negli Stati Uniti. Qui la mente del fisico italiano cominciò ad indagare dentro alle pieghe della nuova reazione di fissione fino a elaborare un’ipotesi: "e se durante lo spaccamento del nucleo di Uranio venissero rilasciati neutroni?". Il ragionamento era un po’ come aggiungere dell’acqua in un vaso già stracolmo: quando i proiettili bombardavano il nucleo, dunque, i neutroni avrebbero dovuto essere in eccesso e in qualche modo dovevano pur venire rilasciati, così come l’energia accumulata.

Il successivo passo mentale di Fermi fu immediato. Se si liberano dei neutroni, allora è probabile che questi possano innescare un’altra reazione e poi un’altra, e così via. Nulla era ancora chiaro, ma i fisici cominciarono a percepirlo: dietro le equazioni e gli atomi, si stava nascondendo qualcosa che, a seconda degli scopi con cui veniva adoperato, avrebbe potuto rappresentare una risorsa o un incubo. E infatti, nel 1939 Albert Einstein firmò e fece recapitare una lettera al presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt. Le sue parole furono chiare:

Nel corso degli ultimi quattro mesi è probabile, attraverso il lavoro di Joliot in Francia e di Fermi e Szilárd in America, che sia divenuto possibile realizzare una reazione nucleare a catena in una grande massa di uranio tramite la quale vaste quantità di potenza e grandi quantità di nuovi elementi simili al radio possono essere generati. […] Questo nuovo fenomeno condurrebbe anche alla costruzione di bombe, ed è immaginabile, sebbene molto meno certo, che bombe estremamente potenti di un nuovo tipo possano perciò essere costruite.

Le preoccupazioni di Einstein sulla possibilità di realizzare un'arma a fissione nucleare tenevano conto anche che la Germania, dopo l'occupazione della Cecoslovacchia, aveva messo l’embargo sull’uranio. Un caso? Scriveva Einstein:

Il che non stupisce quando si pensi che il figlio del Sottosegretario di Stato tedesco, von Weisszäcker, è membro del Kaiser- Wilhelm-Institut di Berlino, dove sono attualmente in corso esperimenti con uranio, analoghi a quelli svolti in America.

Le parole di Einstein arrivarono a Roosevelt mesi dopo, Hitler intanto invase la Polonia e la Guerra scoppiò, con lo spettro di una potenziale arma nucleare nazista che aleggiava dal’Europa fino agli Stati Uniti.

L’era atomica

Ma se fino a quel momento gli scienziati si concentrarono più sullo sviluppo di una reazione di fissione a catena controllata, con l’attacco giapponese a Pearl Harbor del ’41 l’esercito americano prese in mano la fisica dell’atomo, Robert Oppenheimer venne nominato direttore del Progetto Manhattan e si cominciò a lavorare seriamente alla costruzione di un ordigno a fissione. Non senza le reticenze del mondo scientifico, in parte scettico e preoccupato riguardo all’utilizzo militare della reazione nucleare. Un gruppo di scienziati provò a sussurrare all’orecchio del neo presidente Truman l’oscurità delle conseguenze che avrebbe avuto un’arma di quella portata. Nel documento, ribattezzato “rapporto Franck”, sconsigliarono di usare la bomba su una città o un obiettivo reale, considerando più saggio intimorire il Giappone con una prova dimostrativa in una zona deserta. Era il giugno del 1945.

La prima pagina del rapporto Franck. Fonte: Wikipedia.

A luglio, gli americani misero in piedi il Trinity Test, la prova generale dell’atomica. La mattina del 6 agosto, poi, il bombardiere “Enola Gay” spalancò la sua pancia di metallo e lasciò cadere la prima bomba nucleare della storia dell’uomo, “Little Boy”, sulla città giapponese di Hiroshima. Tre giorni dopo toccò a Nagasaki.

L’equipaggio del bombardiere "Enola Gay", che il 6 agosto sganciò la prima bomba atomica della storia. Fonte: Wikipedia.

Verso la pace nucleare

La fine della Guerra, tuttavia, non allentò le tensioni internazionali. La fisica dell’atomo aveva dimostrato la sua potenza e quella sarebbe stata la strada per la supremazia. La situazione dovette essere interpretata più o meno così, perché dopo le due esplosioni giapponesi anche l’Unione Sovietica si dotò di un proprio ordigno nucleare. Le basi per la delicata partita a scacchi che avrebbe tenuto il mondo con il fiato sospeso per decenni furono così gettate. Intanto, nel 1954, il nuovo presidente americano Eisenhower inaugurò il progetto "Atom for Peace”, pensato per spingere la fisica nucleare sull’altra via, quella dell’applicazione per scopi civili. Mentre veniva costruita la prima centrale nucleare della storia, inaugurando una nuova forma di produzione energetica, e si cominciava ad applicare il nucleare anche nella medicina, parte della scienza scelse il proprio posto al tavolo della politica mondiale. Con il manifesto di Russell-Einstein scienziati e intellettuali si schierarono per una fisica della pace, niente bombe nucleari, nessuna corsa agli armamenti:

La maggior parte di noi non è neutrale, ma in quanto esseri umani dobbiamo tenere ben presente che affinché i contrasti tra Oriente e Occidente si risolvano in modo da dare una qualche soddisfa- zione a tutte le parti in causa, comunisti e anticomunisti, asiatici, europei e americani, bianchi e neri, tali contrasti non devono essere risolti mediante una guerra. È questo che vorremmo far capire, tanto all’Oriente quanto all’Occidente.

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Giornalista fin dalla prima volta che ho dovuto rispondere alla domanda “Cosa vuoi fare da grande”. Sulla carta, sono pubblicista dal altro…