
La prossima volta che cambierai abitazione, non limitarti a considerare la metratura dei locali, l'esposizione della casa più o meno a Nord e la disponibilità di un garage per l’automobile di famiglia. Dai un occhio anche al quartiere, perché a rimetterci potrebbe essere la tua salute. È quanto sostiene uno studio di alcuni ricercatori dell’University College di Londra, dell’Università di Edimburgo e del Sussex, pubblicato sulla rivista Health and Place.
Lo studio è stato condotto su undicimila abitanti della Gran Bretagna con un’età superiore ai cinquant'anni. Per un periodo di dodici anni, ogni due anni, i partecipanti allo studio hanno risposto ad un certo numero di questionari sulla propria salute e sulla percezione che avevano del proprio quartiere, inclusa la propria soddisfazione nel viverci. Lo studio britannico ha quindi evidenziato come il senso di appartenenza alla zona dove si abita e la consapevolezza di viverci bene hanno dei profondi effetti sul benessere e la salute dell’individuo.
Nei questionari inseriti nello studio, la situazione del quartiere è stata valutata sulla base degli indici di deprivazione del Department for Communities and Local Government (DCLG) britannico, che considera dati come informazioni su reddito, occupazione, salute e disabilità, istruzione, barriere all’abitazione e ai servizi, criminalità; i risultati della ricerca sono tutto sommato credibili, considerato che è condiviso un po' da tutti che vivere in un quartiere in stato di degrado incide sullo stato d’animo di un individuo e di conseguenza potrebbe facilmente colpire anche il suo benessere psicofisico.
Senza arrivare a immaginarsi certi quartieri del Bronx che abbiamo imparato a conoscere nei film polizieschi americani, vivere in un quartiere dove ad una certa ora è consigliabile non uscire o dove si susseguono altri tipi di problematiche sociali, credo non piaccia a nessuno.
Ecco quindi come secondo i ricercatori inglesi "il degrado del quartiere e la soddisfazione di chi vi abita influiscono sulla salute attraverso percorsi causali diversi" tanto che, scrivono nelle loro conclusioni, "entrambi potrebbero essere affrontati dai responsabili e decisori politici interessati a ridurre le disuguaglianze sanitarie attraverso iniziative basate sulle varie aree".