Siamo di fronte a una possibile crisi alimentare senza precedenti: quali sono le cause e come si può risolvere

La guerra in Ucraina c’entra solo in parte, le radici di questo scenario drammatico sono state gettate già diverso tempo fa. Stiamo iniziando a intravedere le conseguenze più disastrose della crisi climatica.
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Giulia Dallagiovanna 26 Maggio 2022

Farina, pane, pasta, grissini, cracker, schiacciate, dolci. Almeno una volta al giorno mangiamo un alimento a base di grano. Viene usato praticamente in tutte le aree del mondo. Nord Africa e Medio Oriente, ad esempio, ne sono grandi consumatori. Alla fine del 2010, l'aumento del suo prezzo in Tunisia innescò la miccia che fece esplodere le primavere arabe. Secondo un'indagine di Oxfam, nella Siria devastata dalla guerra "il 90% della popolazione va avanti con pane e riso". E sono solo alcuni esempi dell'importanza che questo cereale riveste nell'alimentazione. Ora però se ne trova sempre meno. La produzione già messa in crisi da pandemia e conseguenze del cambiamento climatico si è scontrata con l'invasione dell'Ucraina e le scorte di frumento bloccate nei porti. Una tempesta perfetta che ci sta portando sull'orlo di una crisi alimentare senza precedenti e nella quale sono coinvolti tanti altri cibi.

Nei territori in guerra, ad esempio, si coltivano ed esportano anche mais e olio di girasole. A livello globale, siccità e alluvioni hanno messo a dura prova un po' tutti i raccolti, compresi quelli di frutta e verdura. La ormai celebre copertina dell'Economist, con le spighe di grano formate da piccoli teschi, è un'immagine emblematica del rischio che è dietro l'angolo.

La pandemia

L'ultimo rapporto della FAO ha rilevato come, rispetto al 2020, le persone in condizioni di grave insicurezza alimentare siano aumentate del 20%. Da questo punto di vista, i due anni di pandemia che tutto il mondo ha vissuto hanno avuto ripercussioni serie in 21 Paesi, arrivando a interessare 30 milioni di individui. Se da un lato è aumentato il costo delle materie prime, dall'altro la povertà ha conosciuto un peggioramento accelerato dalle ripetute ondate epidemiche.

L'area che ne ha risentito di più è stata l'America Latina, mentre in alcuni Stati dell'Africa i prezzi degli alimenti hanno toccato nuovi record. Ulteriori carichi che hanno aggravato condizioni preesistenti di scarsità di cibo per conflitti, povertà e fattori climatici.

La crisi climatica

Radici più profonde della pandemia e della guerra in Ucraina sono quelle della crisi climatica, di cui oggi inziamo a intravedere anche le conseguenze più distruttive. In Italia dopo un inverno senza precipitazioni è arrivato il maggio più caldo di tutta la nostra storia metereologica. Nel resto d'Europa la situazione non è stata molto differente. Tutto questo si traduce in terreni aridi, scarsità d'acqua per irrigare i campi e riduzione dei raccolti. Secondo Coldiretti, a risentirne saranno diversi prodotti come cereali (riso, soia, grano e mais), ortaggi e frutta. Il danno stimato si aggira attorno al miliardo di euro, che sale a 14 se si prendono in considerazione le perdite degli ultimi 10 anni.

La siccità non è un fatto nuovo e periodi senza piogge si sono sempre verificati, probabilmente fin da prima che l'essere umano abitasse il Pianeta. L'accelerazione del sistema produttivo, basato su combustibili fossili e allevamento e agricoltura intensivi, ha però fatto sì che questi eventi diventassero sempre più frequenti. Il rapporto "Drought in numbers 2022" pubblicato dalle Nazioni Unite rileva come dal 2000 a oggi il numero e la durata delle fasi di siccità siano aumentati del 29%. Spesso poi a periodi senza piogge seguono precipitazioni violente, alluvioni e inondazioni. Sempre nel report si legge che dal 1970 al 2019 eventi metereologici, climatici e idrici hanno rappresentato il 50% di tutti i disastri avvenuti a livello globale. E sono risultati altrettanto dannosi per le coltivazioni e i raccolti.

Dunque il cambiamento climatico sta limitando il nostro accesso al cibo ben prima di guerra e pandemia. Nel 2021 la World Metereological Organization avvertiva di un calo pari a 4 milioni di tonnellate nella produzione mondiale di grano rispetto all'anno precedente. Difficoltà si registravano un po' ovunque, dall'Australia agli Stati Uniti, passando per il Nord Africa. Dal 2020 California, Texas, Arizona, Oregon ma anche Messico stanno affrontando quella che la rivista scientifica Nature Climate Change ha definito "mega siccità", essendo la peggiore degli ultimi 1.200 anni. Il raccolto di grano duro invernale quest'anno sarà del 21% in meno, mentre il 40% di tutto il cereale coltivato è comunque di qualità più bassa rispetto al passato e garantisce una resa inferiore.

Intanto dall'altra parte del mondo, e più precisamente in Cina, l'alluvione più grave degli ultimi 60 anni ha ritardato l'accesso ai campi e la semina per tutto l'autunno del 2021. La ridotta produzione e la scarsa qualità delle coltivazioni stanno portando molti contadini ad avviare il raccolto del frumento in anticipo, destinandolo a fieno per gli animali.

Sempre in Asia, India, Pakistan e Bagladesh hanno conosciuto un aprile costellato da ondate di calore che hanno sfiorato i 50 gradi. A seguire, nell'area nord-est si sono verificate quelle che sono considerate le peggiori alluvioni degli ultimi 20 anni, con 3 milioni di sfollati in totale. Le gravi conseguenze per l'agricoltura e l'aumento dell'inflazione hanno portato il Primo Ministro indiano Narendra Modi a imporre un blocco totale delle esportazioni di grano. In Medio Oriente invece l'Iraq ha a che fare con la nona tempesta di sabbia in poche settimane, conseguenza della sempre maggiore desertificazione che interessa il Paese.

Dal 2000 a oggi il numero e la durata dei periodi di siccità sono aumentati del 29%

E poi c'è il Corno d'Africa dove la siccità imperversa ormai da decenni. Nel 2011 alcune foto scattate da un satellite dell'ESA, l'Agenzia spaziale europea, mostravano un suolo talmente arido da non poter essere coltivato in alcun modo. A maggio un report congiunto di alcune ong, come Oxfam e Save the Children, ha descritto una situazione drammatica, la peggiore degli ultimi 40 anni: milioni di persone sono senza cibo e il bestiame è ormai decimato.

La guerra

In questo scenario già molto complesso, il 24 febbraio hanno cominciato a piovere missili russi sull'Ucraina. Non che sia l'unico conflitto in corso nel mondo, anzi. Ma questi due Paesi, da soli, garantiscono quasi un terzo di tutta la quantità di grano esportata a livello globale. E ancora, Kiev fornisce il 16% delle esportazioni globali di mais, il 10% di quelle di orzo e il 42% di olio di girasole.

Stando a quanto ha dichiarato il presidente Volodymyr Zelensky, 22 milioni di tonnellate di grano sarebbero bloccate nei porti, in particolare in quello di Odessa, sotto assedio delle navi russe. "I porti sono inagibili e quel po' che si riesce a spedire ha costi altissimi di spedizione e assicurazione, praticamente improponibileha spiegato Mario Zappacosta, economista senior divisione mercato e commercio della Fao. – La maggior parte delle esportazioni ora funziona su ferro, su gomma o per via fluviale, tre metodi che non hanno la capacità di far uscire dal Paese tonnellate di grano con la stessa velocità con cui uscivano dal Mar Nero: ci sono file lunghissime sulle strade e sulle ferrovie, con veicoli e vagoni in coda per 2, 3, 4 settimane per poter uscire dal Paese".

E il problema non si esaurisce alle difficoltà di immissione sul mercato. Se i silos sono già saturi, dove si può stoccare il raccolto dei prossimi mesi? Raccolto che, in ogni caso, potrebbe risultare del 20% o 30% inferiore rispetto alla norma, perché diversi campi si trovano nelle zone più calde del conflitto, perché la forza lavoro è ridotta, perché le infrastrutture sono andate distrutte, perché mancano risorse primarie come acqua ed energia.

La questione dei fertilizzanti

La Russia è il principale esportatore di fertilizzanti nel mondo assieme alla Bielorussia, sua alleata. Le sanzioni da un lato e le ritorsioni dall'altro hanno provocato una carenza di questi prodotti sul mercato. Non solo, l'aumento dei prezzi dell'energia ha avuto l'effetto domino di far crescere i costi dei fertilizzanti azotati, largamente impiegati nell'agricoltura industriale. Un altro elemento che potrebbe contribuire a ridurre la produzione e la resa delle colture.

Peggio delle previsioni

"Già da un paio di anni la situazione dell'insicurezza alimentare era in fase di deterioramento – ha dichiarato Zappacosta. – Alle tante sciagure tradizionali, dal fattore climatico alle crisi economiche locali e i conflitti, si era aggiunta la crisi indotta dal Covid che ha messo in ginocchio le economie locali".

Nel corso del ultimi 5 anni le persone a rischio di grave insicurezza alimentare sono quasi raddoppiate

Il World Food Programme delle Nazioni Unite aveva già rilevato come nel corso degli ultimi cinque anni la quantità di persone a rischio immediato di insicurezza alimentare e carenza di cibo fosse quasi raddoppiata. Stimava quindi il totale in 193 milioni di individui. Il direttore esecutivo del Programma, David Beasley, aveva spiegato chiaramente: "C'è una sorta di cintura di fuoco attorno alla Terra, che va dal Sahel al Sud Sudan e fino allo Yemen e all'Afghanistan, continuando poi il suo percorso attraverso Haiti e l'America Centrale. Se non ci occupiamo di questa situazione entro i prossimi 9 mesi, vederemo carestie, nazioni destabilizzate e migrazioni di massa. Se non facciamo qualcosa, pagheremo un prezzo elevato". Meno di una settimana dopo è scoppiata la guerra in Europa.

Le conseguenze

La prima conseguenza di una crisi alimentare globale sarà un ulteriore aumento dei prezzi dovuto alla scarsità di offerta sul mercato. A farne le spese saranno prima di tutto i Paesi che più dipendono dalle esportazioni russe e ucraine. Tutta l'area di Nord Africa e Medio Oriente, ad esempio, la cui dieta, come dicevamo prima, è composta in larga parte da cereali. Libano, Tunisia ed Egitto in testa.

Ma le peggiori crisi alimentari stanno già interessando la Repubblica Democratica del Congo, l'Afghanistan, l'Etiopia, lo Yemen, la Nigeria nordorientale, la Siria, il Sudan, il Sud Sudan, la Somalia, il Pakistan e Haiti. Secondo Human Rights Watch, l'Africa è il continente che da tempo è più in difficoltà in assoluto. E circa l'80% del suo grano arrivava da Ucraina e Russia.

Lo Sri Lanka ha dichiarato il default. La difficile situazione economica era stata ulteriormente peggiorata dalla pandemia e dal crollo del turismo, provocando un accumulo di oltre 12 miliardi di debiti. E poi è arrivato l'aumento dei prezzi delle materie prime, cereali compresi. Il governo è caduto, ma le rivolte sono proseguite anche contro i nuovi rappresentanti. Nella capitale è stato indetto un coprifuoco e sono stati usati lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere i manifestanti. Anche in Tagikistan sono scoppiate delle sollevazioni, innescate sempre dallo spauracchio della crisi alimentare. In Perù il governo ha dichiarato lo stato di emergenza di fronte alle violente proteste esplose quando alla grave crisi politica ed economica già in corso, si sono aggiunti gli effetti della guerra in Ucraina.

E altre sollevazioni potrebbero seguire nelle prossime settimane in diversi Paesi del mondo. Nuovi conflitti potrebbero scoppiare tra le popolazioni più povere per aggiudicarsi il possesso delle già scarse risorse naturali. Flussi migratori più ingenti potrebbero arrivare a interessare anche l'Europa.

Esistono soluzioni?

Il quadro è decisamente complesso e le soluzioni devono essere diverse. La pace tra Ucraina e Russia è sicuramente una delle prime, ma come abbiamo visto il problema non è solo la guerra.

Nel suo rapporto la FAO indica come possibile risposta alla crisi una strategia promossa anche dagli ambientalisti: potenziare l'agricoltura locale su piccola scala. In alcune zone del Tigray, in Etiopia, questo intervento ha permesso di generare 900mila tonnellate di cibo, fino a 4 volte di più della quantità arrivata attraverso gli aiuti umanitari. Serve naturalmente un maggiore supporto ai governi dei Paesi più in difficoltà e una migliore gestione delle risorse economiche. Ma intanto l'utilità di una produzione intensiva viene nuovamente messa in dubbio. A maggior ragione se a mancare sono anche i fertilizzanti.

E poi bisogna parlare di spreco alimentare. In Europa ogni anno buttiamo via 88 milioni di tonnellate di cibo, che si portano dietro anche uno spreco di risorse sempre più limitate come acqua, suolo ed energia. L'Italia, tra il 2000 e il 2017, è stato il peggiore tra gli Stati membri dell'Unione. Va da sè che una prima reazione dovrebbe essere un utilizzo più oculato delle riserve alimentari.

Da ultimo, è arrivato il momento di compiere quelle scelte coraggiose di cui parlava l'Istituto per l'ambiente di Stoccolma per contrastare la crisi climatica e mitigarne i danni. Quelle scelte che le associazioni ambientaliste chiedono da anni e per le quali sono spesso state tacciate di estremismo ed esagerazione.