Hai presente quell'amica che si fa un quattro per gli altri, che dona tutta sé stessa per aiutare il suo nuovo partner problematico afflitto da vari disturbi psicologici? Quella che si fa inghiottire da dinamiche tossiche perché "col suo amore riuscirà a salvarlo"? Ecco, oltre a non essere una comportamento sano, è anche una sindrome che ha un nome specifico che avrai sicuramente già sentito. Sindrome del buon samaritano, nel caso di un uomo, e complesso della crocerossina se è una donna.
Come puoi intuire, si tratta di un comportamento caratterizzato da eccessivo altruismo e che si manifesta nell'attenzione eccessiva per gli altri. Può avvenire in ambito privato ma anche professionale e colpisce soprattutto le donne. Al lavoro è più frequente che accada quando la persona svolge un'attività di cura, come medico o infermiera, e, in questi casi, è probabile che assorba così tanto il soggetto da mandarlo in burnout.
Per descrivere più nel concreto i comportamenti di questa sindrome facciamo qualche esempio. Possono essere donne che si dedicano interamente alla cura del proprio compagno/marito o dei propri figli, ricoprendoli di attenzioni che vanno ben oltre il necessario. Può trattarsi di una donna casalinga che si impegna h24 nella cura della sua famiglia preparando sempre manicaretti per accontentare i gusti di tutti, lavando e stirando alla perfezione tutti i vestiti, facendo brillare la propria casa con una pulizia maniacale, ecc. Se ha un lavoro, ripropone questo schema comportamentale anche lì. Si propone per gli incarichi più complessi se ciò serve ad alleggerire i compiti di altri colleghi anche senza che le venga chiesto e ha ritmi serratissimi che le permettono di sbrigare tutte le faccende private e professionali.
Questo che ti abbiamo appena scritto ti può sembrare l'identikit della classica donna italiana che cerca un equilibrio tra tutto ciò che sente di dover fare, ma la sindrome della crocerossina ha qualcosa in più. Chi ne soffre non si gode mai un momento di riposo perché se lo facesse sentirebbe sensi di colpa e di inutilità. Gli psicologi direbbero che questa è una personalità di tipo dipendente, ovvero chi ne soffre “tende a subordinare le sue necessità a quelle altrui, fa assumere agli altri le decisioni importanti della sua vita, manca di fiducia in sé e prova disagio a rimanere sola anche per brevi periodi”. Che significa? Che quella donna ha una bassissima autostima, non percepisce il suo valore e le sue potenzialità. Per cercare di provare soddisfazione e di dimostrare quel valore che pensa di non avere, si impegna affinché siano gli altri a conferirglielo. E solo con l'approvazione e la riconoscenza altrui, prova una gratificazione.
La sindrome del buon samaritano o della crocerossina possono derivare da genitori o figure di accudimento che hanno anch'essi messo in atto comportamenti simili. Avendo visto in infanzia e adolescenza parole e gesti che nascondevano il bisogno di compiacere gli altri, il ragazzo o ragazza interiorizza questo schema comportamentale e lo ripete, senza domandarsi se sia logico o meno, è una conseguenza che avviene in maniera quasi inevitabile.
Tra gli effetti del complesso della crocerossina, o sindrome del buon samaritano, lo sviluppo di una sorta di simbiosi tra la persona e l'oggetto delle sue attenzioni che può portare a conseguenze anche gravi per il benessere psicofisico. Se si tratta di un lavoro che assorbe completamente le energie e che costringe la persona ad annullarsi, questa può andare incontro a un burnout, quel complesso di sintomi tra cui ansia, disinteresse e disturbi dell'umore derivanti da un carico di stress esagerato. Se, invece, la sindrome della crocerossina avviene in una relazione, chi ne soffre è portato a lasciar passare tutto al partner (tradimenti, umiliazioni, maltrattamenti) pur di non perderlo. Se questo si trova in una condizione oggettivamente difficile e compromessa, come in caso di tossicodipendenza, nel tentativo di salvarlo il rischio è quello di rimanerci intrappolati, finendo a fare uso di sostanze anche non volendolo.
Ma come uscirne? Il primo passo è riconoscere di avere questo problema e poi occorre fare una scelta consapevole: non assecondare più questa spinta verso gli altri ma focalizzarsi più su sé stessi. Occorre sostituire l'oggetto di interesse appropriandosi di una corretta autonomia e prendendo le adeguate distanze dalle necessità altrui. É necessario capire i propri limiti e ragionare sul fatto che non è possibile da soli salvare il mondo e, spesso, non è nemmeno nostra competenza farlo. Ciò che spetta a noi, invece, è riconoscere il nostro valore apprezzando la persona che siamo e gli sforzi che facciamo indipendentemente dal pensiero altrui. Se ti riconosci nella descrizione che abbiamo fatto e non riesci a uscirne da solo, gli esperti della salute mentale sono sempre pronti ad aiutarti indirizzandoti verso uno stile di vita più corretto.