Un anno di pandemia: gli effetti psicologici dell’isolamento sociale

Se non indicato espressamente, le informazioni riportate in questa pagina sono da intendersi come non riconosciute da uno studio medico-scientifico.
Stati di ansia, depressione, disturbi alimentari e problemi di insonnia. Sono tutte le conseguenze di un anno di pandemia e nello specifico di isolamento sociale. Oggi abbiamo un vaccino per il Covid, forse domani una cura più efficace, ma la salute mentale non può passare in secondo piano.
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Gaia Cortese 7 Aprile 2021

A sei mesi dall’infezione un paziente Covid su tre (34%) accusa stati di ansia e disturbi dell'umore. A sostenerlo è uno studio pubblicato su sulla rivista Lancet Psychiatry e coordinato dall’università britannica di Oxford che ha analizzato 236.379 cartelle cliniche, per lo più provenienti dagli Stati Uniti. E non è errato dire che a un anno dall’inizio della pandemia, una delle conseguenze più trascurate a livello sociale è il malessere psicologico che ha colpito gran parte della popolazione.

Oggi, almeno in Italia, abbiamo tre vaccini disponibili contro il Covid-19, Pfizer, Moderna e AstraZeneca, con il monodose Johnson & Johnson in arrivo nelle prossime settimane. Abbiamo un’arma in più per combattere il virus, lo conosciamo un po’ meglio e siamo più preparati dal punto di vista delle cure cliniche, ma quanto sappiamo degli effetti psicologici derivanti dalla pandemia, che hanno colpito uomini, donne, adolescenti e bambini?

Per capirlo dobbiamo per un attimo riavvolgere il nastro.

"Restate a casa. Usate le mascherine. Lavatevi spesso le mani". Mentre un anno fa l’epidemia da Covid-19 si trasformava nel giro di poche settimane in una pandemia, venivamo bombardati da ordini e disposizioni che stavano stravolgendo le vite di tutti. Se da una parte c’erano i reparti dei supermercati presi di assalto dall’altra non mancavano gli arcobaleni disegnati dai bambini e attaccati ai vetri delle finestre per dare un po’ di speranza. Una quotidianità stravolta da lezioni in didattica a distanza che stentavano a ingranare, file interminabili per fare la spesa, gel disinfettanti e termometri puntati alla fronte, bollettini di guerra per dare il numero di tutti quelli che quel giorno non ce l’avevano fatta e lasciavano dietro sé un silenzio assordante.

Abbiamo risposto alla pandemia come potevamo. Nella prima ondata c’era la paura, ma anche la speranza che il virus potesse scomparire nel giro di qualche mese. Nella seconda ondata tutta la frustrazione di esserci ricascati. Nella terza ondata abbiamo la sensazione di vivere in un limbo che sembra senza fine. E ancora in un isolamento sociale che ha delle inevitabili ripercussioni sul nostro benessere psicologico. Per questo motivo oggi l’attenzione deve essere rivolta non solo al pericolo rappresentato dalla diffusione del virus, ma anche ai rischi legati all’isolamento imposto per limitare il contagio.

Stress post-traumatico, rabbia e confusione, paura di infettarsi e problemi di sonno sono i più comuni disturbi psicologici prodotti proprio dall’isolamento. In questo lungo lockdown i sintomi della depressione e gli stati di ansia si sono aggravati in molte persone. A soffrirne non sono solo le persone che in modo diretto o indiretto sono state colpite dalla malattia, ma molti soggetti che non sono riusciti a sostenere questa situazione.

Disturbo post traumatico da stress

I pazienti guariti dal Covid, gli operatori sanitari e le famiglie delle vittime vedono aumentato il rischio di soffrire del cosiddetto disturbo post-traumatico da stress (PTSD), con sintomi persistenti, o addirittura cronici, che vanno dall'insonnia agli incubi ricorrenti, fino a veri e propri stati di ansia. Secondo un quadro emerso da una revisione sistematica della Società Italiana di Psichiatria (SIPs) degli studi pubblicati sul tema Covid e della salute mentale, il rischio è che attualmente ne possa soffrire un italiano su tre, con una maggiore esposizione del sesso femminile.

Di tutta la fascia della popolazione, ancora una volta le donne sono state quelle messe più alla prova durante il lockdown, soprattutto le donne nella fascia di età tra i 30 e i 40 anni. Si tratta chiaramente di donne che lavorano a tempo pieno e che si sono trovate a dover gestire la didattica di bambini in età da scuola dell’obbligo, o il tempo libero di bambini ancora più piccoli. Mentre ancora si ambiva a chiamare smart working ciò che in realtà era "solo" lavoro da remoto, la maggior parte delle donne lavoratrici e madri si è dovuta specializzare in quello che è stato puro equilibrismo tra il proprio lavoro, le lezioni scolastiche, i pasti da cucinare e la casa da tenere in ordine, il tutto in una parvenza di “andrà tutto bene”. Quante poi abbiano poi rinunciato a un contratto di lavoro, ancora non si contano.

Disturbi alimentari

Anche la salute mentale dei giovani è stata colpita duramente dalle misure adottate per contrastare l’epidemia. Come ha dichiarato la Dottoressa Tiziana Pisano, responsabile della psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del Meyer di Firenze in un’intervista pubblicata sul Corriere.it: “C’è un notevole aumento dei casi di disturbi alimentari, in particolare di anoressia: ci troviamo di fronte a un aggravamento delle situazioni, ma anche a casi del tutto nuovi”.

Da marzo dello scorso anno a fine dicembre, il Centro Disturbi del Comportamento Alimentare dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano ha raddoppiato le prime visite per il trattamento dei disturbi del comportamento alimentare. In questo ultimo anno, chi aveva già sofferto in passato di anoressiabulimia o disturbo da Binge Eating (alimentazione incontrollata) ha avuto delle ricadute, proprio a causa dello stress della pandemia. Per le stesse ragioni, anche chi non soffriva di questo genere di disturbi, ha iniziato a svilupparli: l'aumento di casi tra gli adolescenti si assesta intorno al 30%.

Ansia e depressione

Con l'isolamento sociale sono anche aumentati i disturbi legati all'ansia e alla depressione, che diventando sempre più incontrollati, impediscono di fatto di stringere delle relazioni o semplicemente di fare programmi. Non solo. A crescere è anche l’ansia per le malattie, la paura del contagio. Non a caso, ancora una volta i più colpiti sono gli adolescenti e i preadolescenti, quelli che hanno vissuto di più tra le quattro mura domestiche e che hanno sofferto la didattica a distanza. Va infatti ricordato che la scuola non ha solo un ruolo educativo, ma anche psicologico; in adolescenza non ci si apre molto con i genitori, ma si preferisce farlo con i coetanei e quindi con i compagni di classe. Ansia e depressione possono essere disturbi con un’origine complessa, ma senza dubbio la scuola è un luogo che può fornire un valido supporto.

Diniego psicologico

E poi ci sono i negazionisti. Quelli che negano che il virus esista o che sia così pericoloso, quelli che pensano che dietro ci sia un complotto, che dottori e infermieri siano degli attori e che le ambulanze circolino a vuoto con le sirene spiegate pur di incutere timore nella gente.

Il negazionismo non può non essere trattato come un disturbo psicologico. Come scrivono su The Lancet Austin Ratner, Dottore in medicina ed esperto di psicanalisi, e Nisarg Gandhi, specializzando al St. Barnabas Medical Center di Livingston, nel New Jersey, il negazionismo è la chiara manifestazione di un meccanismo di difesa psichico noto come diniego psicologico.

Lo stesso Freud affermava che la negazione (Verneinung) subentra quando qualche aspetto della realtà è insopportabile o conflittuale e, per difendersi da questo aspetto che potrebbe procurare una sofferenza, si mette in atto un meccanismo difensivo immaturo che consente di negarla.

La verità è che non riconoscere un'epidemia in corso, minimizzare il pericolo, se non addirittura negarlo, consente in qualche modo di non cambiare niente della propria vita e di non affrontare i limiti che quest'ultima impone. Se il Covid non esiste, posso fare a meno della mascherina, posso condurre una vita "normale" e soprattutto posso evitare l'isolamento.