Una vita “zero rifiuti” (o quasi): intervista all’ambientalista Beatrice Di Cesare

Si chiamano “zero waster” e sono persone che hanno deciso di produrre meno rifiuti possibili per contribuire alla nascita di un modo di vivere più sostenibile. Beatrice Di Cesare vive a Milano e da anni cerca di evitare qualunque tipo di spreco, dedicandosi alla continua ricerca di nuovi modi per rendere la propria vita e quella degli altri più sana, ecosostenibile e di qualità. Ecco come ce l’ha fatta.
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Sara Del Dot 3 Gennaio 2019

Beatrice Di Cesare vive a Milano, è un’operatrice olistica, specializzata in massaggi antistress, ma soprattutto è una Zero Waster. Ciò significa che ha deciso di produrre la minor quantità possibile di rifiuti nella sua vita quotidiana, sostituendo gli oggetti monouso con altri più durevoli e cercando di valorizzare cose già esistenti invece di comprarne di nuove. Si tratta di uno stile di vita forse difficile da immaginare, in particolare in una città come Milano, la capitale della moda e del consumo, dove anche solo passeggiare nel weekend sembra un’impresa impossibile a causa della marea umana che entra ed esce dai negozi.

Eppure, Beatrice, lo “zero waste” lo pratica anche qui. E non è la sola, infatti sono diverse le persone che, in Italia e nel mondo, stanno sperimentando questo stile di vita condividendo la loro esperienza sul web perché possa essere di aiuto ad altri. È una questione di motivazione, e quella di Beatrice è decisamente ben radicata, tanto da averla portata a scrivere la prefazione del libro “La Famiglia Zero Rifiuti (o quasi) – Come adottare uno stile di vita sostenibile”, di edizioni Sonda, che racconta la scelta di vita di una famiglia francese che vivendo ormai da 4 anni secondo la filosofia Zero Waste, è riuscita a ridurre la propria produzione di rifiuti del 91%.

Come loro, Beatrice ha ridotto quasi a zero la sua produzione di rifiuti, ed è in continua sperimentazione per ridurre il suo impatto ambientale. Ma come riesce a farlo? Le strade sono tantissime, basta saperle riconoscere: dal baratto, all’autoproduzione, alla spesa sfusa, fino a un’idea di cucina circolare.
Noi di Ohga ci siamo fatte spiegare meglio cause, conseguenze, benefici e difficoltà della scelta Zero Waste.

“Se un tempo mi avessero detto che un giorno il mio bidone dei rifiuti sarebbe stato grande come un portapenne, avrei risposto che erano pazzi. Ma quando inizi a fare esperienze diverse, arrivi a vedere anche soluzioni diverse.”

Foto di Valentina Pare

Da dove nasce questa tua indole anti-spreco?

Dal mio punto di vista, tutti gli elementi che compongono il mio stile di vita sono una cosa sola. La radice, il motivo per cui faccio quello che faccio è che voglio essere felice senza che la mia esistenza si fondi sulla sofferenza di altri.

Il contributo individuale può essere notevole, perché se un italiano in media produce 500kg di rifiuti ogni anno, io l’anno scorso ne ho prodotti 500 grammi.

Per questo vivo con un atteggiamento di apertura e continua ricerca. Ogni giorno posso scoprire delle cose che mi spingono a modificare il mio modo di vivere con lo scopo di “vivere più semplicemente per permettere agli altri semplicemente di vivere”, come dice l’economista E.F. Schumacher. Questa mia visione del mondo è emersa in modo evidente quando sono diventata vegana, 15 anni fa. È una scelta che avrei desiderato fare già quando ero bambina, ma i miei genitori non me lo hanno permesso. Ovviamente all’epoca non conoscevo ancora le ragioni per cui i vegani non mangiano i prodotti derivati dagli animali come latte, uova e miele. Inoltre, in casa mia non c’era l’abitudine a informarsi in maniera approfondita, si guardava soltanto la televisione, di conseguenza non avevo a disposizione mezzi di informazione per trovare le notizie che mi servivano per comprendere a fondo questo tipo di scelte. Quando sono cresciuta e ho avuto accesso a canali informativi diversi, anche grazie a Internet, ho cominciato a seguire conferenze e leggere libri, potendo compiere le mie scelte in modo più consapevole. I cambiamenti, sono avvenuti di conseguenza. In particolare la scelta vegana, che in quanto nonviolenta e antispecista è un po’ la radice di tutto ciò che sono, mi ha allenata a pormi continuamente delle domande invece di prendere per assodati tutti i comportamenti, i modi di pensare e le abitudini che ricevo da fuori. Mi sono abituata a chiedermi il perché delle cose, a capire cosa io per prima possa cambiare se qualcosa che vedo non mi va bene.

Parliamo della scelta “zero waste”

Questo passaggio l’ho fatto dopo aver visto cosa accade agli animali marini che mangiano plastica scambiandola per cibo o che muoiono rimanendone intrappolati. Mi sono subito chiesta in che modo io stessi contribuendo a questo fenomeno terribile. Ovviamente, già facevo la raccolta differenziata, ma mi sono accorta che non è abbastanza, perché non saprò mai dove questi rifiuti finiscono sul serio, non ne avrò mai la certezza. Molti zero waster dicono che “Riciclare è un buon punto da cui partire ma un pessimo punto in cui fermarsi”, perché l’attività di riciclo della plastica consuma un sacco di energia e produce un materiale di qualità inferiore che può essere utilizzato solo per la produzione di alcuni oggetti, infatti si parla di “de-ciclo” della plastica. Non se ne esce. La plastica rimane plastica per sempre, il prodotto non viene mai veramente assorbito e trasformato in altri elementi dalla terra, si frammenta in microplastiche e nanoplastiche ma rimane sempre plastica, con tutti gli effetti devastanti che ha sugli organismi viventi. Ho quindi iniziato evitando di produrre scarti plastici, e poi sono passata agli altri rifiuti, scegliendo di non utilizzare più oggetti usa e getta. Walter Stahel, fondatore del Product-Life Institute di Ginevra dice che “Il 99% delle risorse prelevate della terra diventa rifiuto in 42 giorni” e questo non è assolutamente sostenibile.

Senti che quello che accade agli altri ti riguarda, e quindi tiri fuori più potere personale e smetti di essere un consumatore che sceglie in base a chi è più bravo a fare marketing.

Le risorse della terra non possono essere sprecate per oggetti monouso, e sono insostenibili anche quelli teoricamente “compostabili” perché le risorse consumate in produzione e nei processi di gestione e trasporto sono tantissime per un oggetto usato pochi minuti. Ho iniziato parallelamente a fare dei cambiamenti che mi hanno portata a ridurre i rifiuti indifferenziati, tant’è che ogni mese il mio bidone dell’indifferenziato è grande più o meno come un portapenne, almeno per quanto riguarda i rifiuti “ordinari”. L’usa e getta è, a parer mio, concepibile solo in ambito sanitario. Per il resto, se ne può tranquillamente fare a meno, ad esempio, io se vado dal dentista mi porto dietro un lenzuolo di stoffa così da non fargli usare quello usa e getta, e un bicchiere durevole per non usare il suo di plastica, ma gli attrezzi che lui usa per visitarmi devono essere usa e getta, quelli che non sono sterilizzabili, è una questione di salute. Quindi il mio stile di vita in sostanza ha come primo scopo la riduzione al minimo dell’indifferenziato e dei rifiuti di plastica. Inoltre cerco di ridurre al minimo anche l’utilizzo dei materiali riciclabili come carta, allumino e vetro, perché comunque l’impatto dei processi di riciclo è alto. Il motto è: “Il miglior rifiuto è quello non prodotto”. Nell’economia lineare in cui siamo immersi la produzione “zero” di rifiuti è impossibile, se guardiamo anche i rifiuti generati lungo la catena produttiva e distributiva, non solo a quelli che arrivano nelle nostre case, ma i “rifiuti zero” devono essere la meta a cui tendere come collettività. Già oggi nell’economia in cui viviamo il contributo individuale può essere notevole, perché se un italiano in media produce 500kg di rifiuti ogni anno, io per esempio l’anno scorso ne ho prodotti 500 grammi. Non è impossibile, basta fare scelte diverse nella nostra vita quotidiana, come rifiutare tutto ciò che davvero non ci serve, che non dà valore alla nostra vita, acquistare usato cose che esistono già e non serve che vengano prodotte ulteriormente, fare un minimo di autoproduzione (io faccio “ricette” velocissime e con pochissimi ingredienti), acquistare sfuso, non usare usa e getta, andare al mercato agricolo e mettere gli acquisti in una borsa di stoffa invece che fare la spesa in un supermercato che vende tutto confezionato e contribuisce allo sfruttamento dei braccianti, bere l’acqua del rubinetto e portarsi dietro una borraccia invece che infestare il pianeta con centinaia di bottiglie di plastica. Questo modo di vivere inoltre aumenta la qualità della vita, perché aiuta anche a stringere delle relazioni.

Come ti organizzi concretamente?

Io non sono una persona particolarmente organizzata, ma mi piace molto arrangiarmi con quello che c’è, mi diverto ad inventare invece di avere un calendario definito nei minimi particolari. È un esercizio di creatività molto bello da fare nella vita quotidiana, perché ti può regalare tante belle sorprese. Scopri più cose, impari. Non serve essere dei geni, non serve avere un’organizzazione perfetta, basta introdurre un cambiamento per volta, così quando arrivi a fare una cosa senza più doverci prestare attenzione, puoi passare alla successiva. L’importante è che il cuore e la testa siano sempre allineati alle azioni, in modo da sapere sempre che cosa vuoi e per chi lo fai. È questione di stabilire una maggiore connessione con ciò che ti circonda: senti che quello che accade alle altre persone, agli animali, ti riguarda, e quindi man mano sperimenti, cambi, tiri fuori più potere personale e smetti di essere un consumatore che sceglie in base a chi è più bravo a fare marketing.

La mia è una vita migliore di prima, piena, caratterizzata da più relazioni e meno oggetti, e soprattutto meno oggetti di bassa qualità.

Nella pratica vado una volta a settimana (o una volta ogni due) al mercato dei contadini a comprare frutta e verdura, e al negozio che vende sfuso in cui compro cereali, pasta, legumi ma anche gli ingredienti di base che uso per pulire, come il percarbonato o l’acido citrico. Quando faccio la spesa scelgo prevalentemente alimenti bio e prodotti in Italia. Quando mi serve un oggetto lo cerco per prima cosa su siti e app in cui si vendono oggetti usati o nei mercatini dell’usato o sui siti in cui si barattano oggetti usati e non esco mai di casa senza il mio kit per non produrre rifiuti (borraccia, posate, tovagliolo di stoffa, barattolo di vetro o tazza di metallo e un piatto o un contenitore di metallo per sostituire eventuali piatti usa e getta), riparo invece di comprare nuove cose e mi muovo a piedi, in bici e con mezzi pubblici.

Com’è la vita di coppia di una zero waster?

Anche il mio compagno è vegano. Noi due ci contaminiamo a vicenda, ci stimoliamo per provare cose nuove da applicare al nostro stile di vita. Ad esempio, io sono una persona molto disordinata, brava ad avere pochi oggetti ma a spargerli ovunque, lui invece sa avere più cose e tenerle ordinate così da farle sembrare di meno. Nel nostro percorso abbiamo fatto una cosa alla volta, insieme. Ci siamo aiutati a vicenda, magari io mi buttavo per prima su alcune cose e viceversa. Insieme abbiamo messo in pratica quella che chiamiamo la cucina circolare, ovvero cerchiamo di utilizzare quasi tutte le parti dei vegetali, cosa che consente di ridurre tantissimo lo scarto alimentare e inglobare la differenza che c’è tra il comprare non biologico e comprare biologico. Infatti, il biologico costa di più, ma se usi tutte le parti dei vegetali ti assicuro che la tua spesa non aumenta. E poi d’inverno si risparmia energia e denaro tenendo spento il frigorifero e usando il davanzale al suo posto. Uno dei rifiuti prodotti nella vita di coppia sono i preservativi, l’unico usa e getta di casa e nemmeno compostabile. Però li abbiamo trovati equosolidali e senza caseina, che è una proteina di origine animale presente in molte marche di preservativi.

Alcune persone definirebbero questo tuo stile di vita come pieno di privazioni.

Dal mio punto di vista, la mia è una vita migliore di prima, piena, caratterizzata da più relazioni e meno oggetti, e soprattutto meno oggetti di bassa qualità. Inoltre, so che le mie scelte permettono anche agli altri abitanti del pianeta di avere più possibilità di sopravvivere. Ovviamente devi avere una motivazione molto forte, perché se non ce l’hai ti stuferai prestissimo. La motivazione è fondamentale, devi informarti, leggere tanto per avere profondamente chiaro il perché lo stai facendo. È ciò che ti fa vedere le cose in maniera diversa. Perché quando hai perfettamente chiaro in testa perché lo fai, le scelte diventano molto più semplici. Altrimenti, ogni piccola cosa ti sembrerà molto faticosa. Molte persone legano alle mie scelte dei termini che io non sento assolutamente corrispondere alla mia vita, come ad esempio il verbo “rinunciare”: ma non c’è niente che io stia percependo come una rinuncia, qualcosa che non sto facendo anche se mi farebbe stare bene. Al contrario, starei male se mi comportassi in modo diverso. Anche le parole “fondamentalista” ed “estremista” spesso affibbiate a chi fa scelte ecologiste non mi appartengono, portano con sé un’accezione negativa. Io non mi sento estrema, a essere estremo secondo me è il comportamento di chi utilizza più risorse di quante siano realmente necessarie, sottraendole agli altri abitanti del pianeta e agli stessi figli che stanno rischiando di trovarsi un pianeta non più adatto alla vita umana. Quello sì che è estremo, estremamente dannoso per tutti. Le mie scelte non danneggiano la mia vita o quella degli altri, non diminuiscono la mia qualità di vita. Non è un sacrificio, è tutto il contrario, è liberatorio.

Come si conduce uno stile di vita così in una città come Milano?

È una questione di come hai intenzione di usare il tuo tempo. Ad esempio, ieri stavo partecipando a un baratto, e nello stesso momento, in corso Buenos Aires non si poteva circolare tante erano le persone in giro a fare shopping. Semplicemente, loro stavano scegliendo di fare un’altra cosa. Non è che non avessero tempo, lo stavano impiegando in un altro modo. Io stavo rimettendo in circolo oggetti che non usavo più procurandomi oggetti che mi servivano e avanzavano ad altri, loro stavano comprando oggetti nuovi con tutto il portato di impatto ambientale e sfruttamento che di solito questi causano. Sono due mondi paralleli che convivono nella stessa città. Sempre a Milano, io vado al mercatino di beneficenza a comprare cose usate, al mercato dei produttori agricoli a comprare verdure a km 0, e sempre in una città come Milano trovo persone come l’amica che per evitare lo spreco alimentare mi ha regalato i cachi che ha raccolto da alberi abbandonati e che non avrebbe fatto in tempo a mangiare prima di partire per le vacanze. Nello stesso momento, qualcuno entra in un supermercato a comprare cibo impacchettato nella plastica senza chiedersi come, in che condizioni di lavoro e in che parte del mondo quel cibo sia stato prodotto.

Quali sono i principali ostacoli nell’adottare questo tipo scelta?

Gli ostacoli spesso sono principalmente interiori, emotivi. Una delle paure maggiori, che fa desistere molte persone dall’adottare questo tipo di scelta, è la paura dell’esclusione sociale, nello scegliere una vita percepita come diversa. Mi accorgo sempre di più che sarebbe necessario lavorare, oltre che sugli aspetti tecnici e logistici dei cambiamenti, sull’assertività, sul rispetto delle proprie scelte. L’emotività delle persone, le paure, vanno affrontate, perché alla fine bisogna sempre farci i conti. Quando vado nei locali e spiego che preferisco usare i miei contenitori perché non voglio usare usa e getta, dico sempre il motivo, e la maggior parte delle volte ricevo assensi e complimenti. Questa cosa per me è semplice da fare, ma per molte giovani zero waster è molto difficile, perché si vergognano, non sono abituate a fare richieste che potrebbero essere viste male o con scherno.

Le mie scelte non danneggiano la mia vita o quella degli altri, non diminuiscono la mia qualità di vita. Non è un sacrificio, è tutto il contrario, è liberatorio.

È importante imparare a dare valore a chi siamo, alle nostre scelte e al nostro diritto di vivere la vita che vogliamo, allenarsi a fare entrare nella nostra vita soltanto le cose che ci fanno stare bene. Oltre al fatto che è importante che gli altri capiscano i motivi per cui facciamo determinate richieste, perché non si tratta di un capriccio: le mie scelte sono legate anche alla vita degli altri, quindi è importante che sappiano perché le sto facendo. Un altro problema che ho notato di frequente è che molte persone che iniziano un percorso di questo tipo cercano subito oggetti nuovi da comprare che consentano loro di ridurre la produzione di rifiuti. Ed è proprio questo meccanismo che andrebbe disinnescato, il meccanismo del “mi serve un oggetto per risolvere il mio problema”, perché la soluzione va cercata prima di tutto in quello che già hai a disposizione o puoi procurarti usato, altrimenti l’impatto ambientale aumenta e la si dà vinta al consumismo in versione “green” che non è sostenibile. Citando Einstein “Non si può risolvere un problema usando la stessa mentalità che lo ha generato”.

Considerato il tuo già ben definito stile di vita, c’è qualcosa che ti ha colpito nel libro “La famiglia Zero Rifiuti”?

Ci sono due dati molto importanti che ho trovato per la prima volta in questo libro: il primo è il fatto che i rifiuti nascosti dietro la produzione di un semplice anello d’oro sono di ben due tonnellate. E infatti, l’anello che porto io al dito è fatto di oro che avevo già, e che è stato ri-confezionato in un laboratorio di oreficeria artigianale in cui io e il mio compagno ci siamo creati a vicenda la fede. Questo tipo di valore, secondo me, lo acquisiscono tutte le cose della vita nel momento in cui le scegli in un altro modo. L’altra cosa che ho imparato scrivendo la prefazione è che l’80% dei beni di consumo prodotti in Cina viene consumato dai paesi occidentali. Quindi i rifiuti che vengono prodotti nella realizzazione di oggetti che usiamo noi, sono in realtà nostri, pur impattando in primo luogo il loro ambiente. Questo significa che noi abbiamo un sacco di potere, che se noi cambiamo le nostre scelte di vita quotidiana possiamo agire anche su quello. Se io cerco oggetti usati o prodotti eticamente vicini, compro alimenti locali e biologici direttamente dai produttori, agisco sì a casa mia, ma anche su tutta la catena. Semplicemente, agendo su queste piccole cose, creo un mondo diverso.