Vivere e raccontare la Cop26 di Glasgow: tra annunci, proteste e innumerevoli stimoli

Abbiamo intervistato il giornalista Ferdinando Cotugno, esperto di crisi climatica e ambientale, che sta seguendo la conferenza Onu sui cambiamenti climatici in Scozia.
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Gianluca Cedolin 4 Novembre 2021

In questi giorni media, politici, attivisti, scienziati e osservatori ci stanno raccontando la Cop26, ognuno dal loro punto di vista, che per forza è limitato, soprattutto in un vertice tanto grande. «Sin dall'inizio ho capito che un evento come questo presenta un livello esagerato di stimoli. Ci sono tantissime proposte, personaggi e interventi, è impossibile seguire tutto», ha detto a Ohga Ferdinando Cotugno, giornalista esperto di ambiente e crisi climatica, che sta raccontando la Cop26 da Glasgow sul quotidiano Domani e sui suoi canali social.

Le conferenze, gli approfondimenti e gli incontri laterali degni di attenzione sono innumerevoli, ma da inviato sul posto per conto di un importante giornale Ferdinando non può fare a meno di seguire gli interventi e i negoziati ufficiali della conferenza. Tra i tanti discorsi tenuti dai vari leader nei primi giorni, gli chiediamo quale lo abbia colpito particolarmente: «Quello di David Attenborough (storico naturalista ormai 95enne) e quello della prima ministra delle Barbados Mia Mottley, che ha parlato a nome di tutti i Paesi vulnerabili alla crisi climatica. Un intervento di una potenza e di una bellezza sensazionale, testimonianza di uno dei valori principali delle Cop, quello di mettere a confronto leader politici con visione e carisma».

Proprio in uno dei suoi primi reportage da Glasgow pubblicati su Domani, però, Ferdinando definisce la Cop26 «l'ultima chiamata per questo tipo di governance». Ma quindi, per una persona che lo sta vivendo da vicino, vertici come questi sono utili? E soprattutto, che aria tira da quelle parti? Ci sono i presupposti per un accordo importante?

«Quello delle Cop non è un modello che funziona particolarmente: siamo al 26esimo, basta questo per capirlo», riflette il giornalista. «Allo stesso tempo, però, non c'è tempo per creare un altro modello abbastanza efficace. Riguardo a questa Cop in particolare, vedo un po' di scetticismo, non penso che il mondo uscirà cambiato il 13 novembre. Se a Parigi era stato preso un impegno importante, ribadito poi al G20 (limitare a 1,5 gradi l'aumento di temperatura rispetto all'epoca preindustriale, ndr), qui a Glasgow bisogna riempire di contenuti quell'accordo». Passare dalle parole ai fatti, sostanzialmente. Quello che da anni chiedono gli attivisti e che però si sta rivelando molto complicato, nonostante l'urgenza e le evidenze scientifiche.

Ad ogni modo, in questi primi giorni qualche risultato è stato raggiunto, come l'accordo sullo stop alla deforestazione e quello sulla riduzione delle emissioni di metano. Gli ambientalisti hanno criticato il carattere non vincolante dell'impegno, ma Ferdinando, molto attivo sul tema delle foreste (è una voce dei podcast Ecotoni e Vaia) e delle comunità indigene, guarda il bicchiere mezzo pieno: «Non è così male, è molto ampio e non era mai stato raggiunto un accordo del genere, soprattutto con paesi come Brasile, Cina e Russia, solitamente difficili da coinvolgere. E poi c'è un bel bazooka finanziario sotto, quindi non lo giudico negativamente, come invece l'impegno del G20 di piantare mille miliardi di alberi: quello è pura propaganda, si basa su una ricerca scientifica ritrattata in larga parte e rischierebbe di creare più danni che benefici». L'accordo sulla deforestazione raggiunto a Glasgow, invece, «è un trattato di pace con la natura, è importante che ci sia».

Ferdinando Cotugno

La Cop26 però non è solo grandi discorsi, strette di mano tra leader mondiali e giornalisti inviati da tutto il mondo. «Una cosa caratterizzante per ora sono le file. Oggi (il 2 novembre, ndr) sono stato un'ora e mezza in coda per entrare nella Blue zone», quella dei negoziati ufficiali, alla quale si accede solo con un tampone negativo.

A bilanciare il complicato funzionamento logistico della Cop26, per ora, c'è «la gentilezza degli scozzesi. Ho visto molta partecipazione pubblica, molto coinvolgimento e una grandissima gentilezza», ci racconta Ferdinando quando ormai in Italia è quasi ora di cena, e lui sta girando alla redazione le ultime correzioni del pezzo per il quotidiano.

La Cop26 è anche il contro-vertice, quello della piazza, degli attivisti, delle dimostrazioni degli Extinction Rebellion e delle rivendicazioni dei Fridays for Future: «Il grosso si vedrà nel weekend, venerdì e sabato (il 5 e il 6 novembre, ndr) sono in programma grandi proteste e manifestazioni. Di solito nei primi giorni delle Cop l'attenzione è focalizzata sull'evento ufficiale, perché ci sono tutti i leader, poi nella fase dei negoziati l'attenzione cala, prima del momento finale delle decisioni. Nel momento centrale, le manifestazioni si prendono il centro dell'attenzione, e quelli saranno i giorni in cui stare fuori invece che dentro – racconta Ferdinando -. Anche questa è una parte importante, perché senza la pressione della società civile è più difficile che la Cop raggiunga risultati».

Intervistare un collega come Ferdinando che fa informazione sulla crisi climatica e ambientale in vari modi (podcast, newsletter, social, articoli) è stata anche l'occasione per confrontarsi sulle sfide poste da questo tipo di giornalismo: «La grande difficoltà è la complessità. Noi che ci occupiamo di ambiente dobbiamo tenere insieme tantissimi livelli: non è una storia di giornalismo tradizionale, ci sono la scienza, l'economia, la società, la geopolitica. Ogni volta bisogna rendere conto di tutto, collegare tutto, è difficilissimo. Dobbiamo prima di tutto rendere conto della complessità, e poi in seconda battuta renderla semplice, esprimerla in 5-6 concetti chiave comprensibili a un lettore ogni giorno bombardato da informazioni».