Alzheimer, la FDA statunitense autorizza un nuovo farmaco in grado di rallentare la progressione dei sintomi

Si chiama donanemab ed è un anticorpo monoclonale autorizzato dalla FDA statunitense per provare a rallentare la progressione del morbo di Alzheimer una volta che si è già manifestato. Si tratta del terzo farmaco approvato e mirato alla gestione dei sintomi.
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Kevin Ben Alì Zinati 3 Luglio 2024
* ultima modifica il 03/07/2024

Un altro alleato contro il morbo di Alzheimer. Un altro farmaco capace di rallentarne gli effetti sul cervello e preservare un poi più a lungo la memoria e la capacità cognitiva di chi viene colpito.

È quello che sembra promettere donanemab, l’anticorpo monoclonale appena approvato dalla Food and Drug Administration statunitense per fronteggiare una delle più devastanti patologie neurodegenerative a noi note e che, solo negli Usa, affligge più di 6,5 milioni di persone e oltre 1 milione in Italia.

Il trattamento con questo anticorpo monoclonale prevede una somministrazione per via endovenosa ogni quattro settimane ed è pensato per quei pazienti caratterizzati da una lieve compromissione cognitiva o comunque in uno stadio di demenza lieve.

Donanemab è il terzo medicinale approvato dalla FDA mirato “solo” al contrasto dei sintomi del morbo. Ad oggi infatti non abbiamo ancora a disposizione terapie in grado di curarlo in maniera definitiva.

Le ultime novità terapeutiche arrivano proprio da farmaci, come donanemab, che si concentrano sul rallentarne la progressione. Nel 2023 ti avevamo raccontato delle autorizzazioni concesse ad altri due anticorpi monoclonali, lecanemab e aducanumab.

La decisione dell’agenzia statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici si basa sui risultati di un test clinico che ha coinvolto 1736 pazienti, i randomizzati per ricevere 700 mg di donanemab ogni 4 settimane per le prime 3 dosi e poi 1400 mg ogni 4 settimane o placebo per un totale fino a 72 settimane.

Dopo 18 mesi, nei pazienti a cui era stato somministrato il farmaco è stato infatti rilevato un declino delle capacità cognitive del 29% più lento rispetto ai pazienti trattati con il placebo.

Fonte | Fda 

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