Dopo 18 anni è stato approvato un nuovo farmaco contro l’Alzheimer, ma restano dubbi sulla reale efficacia

L’FDA, l’ente americano che regola il commercio dei farmaci, ha acceso una luce di speranza per milioni di pazienti in tutto il mondo e per le loro famiglie. Il nuovo medicinale si chiama aducanumab ed è il primo ad agire contro le cause della malattia. Il problema, però, è che sul suo reale successo vi sono ancora dei dubbi.
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Giulia Dallagiovanna 8 Giugno 2021
* ultima modifica il 10/06/2021

Siamo davanti a una svolta importante, eppure deve comunque essere presa con una certa (la giusta) cautela. Il primo farmaco contro l'Alzheimer approvato dall'FDA, l'ente americano che regola il commercio dei medicinali, in ben 18 anni. Non solo: questa terapia, a differenza di tutte le altre disponibili fino a questo momento, agisce sulle cause e non sui sintomi. Si chiama aducanumab ed è prodotto dalla Biogen, azienda farmaceutica degli Stati Uniti. Non tutti però si sono dimostrati entusiasti all'idea, perché i risultati delle sperimentazioni non sembrano essere entusiasmanti. Proviamo quindi a capire meglio cosa sta succedendo.

Il problema dell'Alzheimer

L'Alzheimer è la forma più diffusa di demenza senile ed è una malattia neurodegenerativa che colpisce soprattutto le persone anziane, a partire dagli over65. A mano a mano che progredisce si perdono le capacità di memoria, linguaggio e movimento, fino a non essere più autosufficiente in nessuna azione quotidiana. Ad oggi, la diagnosi fa ancora paura proprio perché non esiste una cura che permetta di guarire, ma solo terapie che provino a tenere sotto controllo i sintomi e a ritardarne l'insorgenza.

Rispetto alle cause non si sa molto. Il problema è da ricondursi alla formazione di placche amiloidi e di grovigli neurofibrillari che fanno andare in necrosi i neuroni e a poco a poco spengono le diverse aree del cervello. Come mai si inneschi questo meccanismo, però, ancora non è chiaro, se non per quell'1% dei casi in cui la ragione sembra essere di tipo genetico.

La novità di questo farmaco

Come potrai facilmente intuire, agire sulle cause significa poter potenzialmente fermare la progressione della malattia. L'aducanumab, nello specifico, sembra riuscire a interferire con la proteina beta-amiloide che dà origine alle placche e può dunque ridurre il decorso della demenza. Ecco perché rappresenta una speranza per i circa 60 milioni di pazienti in tutto il mondo e per le loro famiglie, che hanno ormai conosciuto tanti tentativi di trovare una nuova cura e li hanno visti fallire uno a uno.

In Italia ci sono 600mila persone affette da Alzheimer e circa 3 milioni di caregiver coinvolti nella loro assistenza

Solo in Italia stiamo parlando di 600mila persone affette da Alzheimer e di circa 3 milioni di caregiver coinvolti a vari livelli nella loro assistenza. La principale novità portata da questo farmaco dunque è proprio la dimostrazione che, seppur molto lentamente, qualche progresso nella Ricerca si vede.

Un iter complesso

La freddezza mostrata da alcuni esperti riguarda i dati sul successo del farmaco. Nel 2019 ad esempio la sperimentazione era stata sospesa perché non erano emersi progressi degni di nota nelle condizioni di salute dei partecipanti. In seguito, però, i dati sono stati revisionati e in seconda analisi si è visto come l'aducanumab portasse in realtà un certo beneficio quando veniva somministrato nelle fasi iniziali della malattia.

I trial clinici dunque sono ripresi. Eppure a novembre 2020 la maggior parte dei membri della commissione indipendente di esperti dell'FDA si era espressa contro l'approvazione, sottolineando di nuovo come le prove a sostegno della sua efficacia non fossero sufficienti.

"È il primo farmaco dopo vent'anni che sembra poter aiutare i malatiha riassunto Paolo Maria Rossini, direttore del Dipartimento di neuroscienze-neuroriabilitazione dell'Irccs San Raffaele Roma, – ma non sarà per tutte le persone colpite da Alzheimer. Per quello che ricordo ha potenziali effetti collaterali come microemorragie cerebrali. Chi lo farà (stimo in Italia circa 100mila pazienti candidali se ci sarà l'ok dell'Ema e dell'Aifa) dovrà sottoporsi a risonanze magnetiche e aver documentato la presenza della proteina beta-amiloide".

Fonte| Ansa

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