Aspettando la Cop26, per l’Italia ora la priorità è lo sblocco delle rinnovabili. Parola di Edo Ronchi

A pochi giorni dall’inizio del cruciale vertice sul clima che si terrà a Glasgow, l’Italia deve fare i conti con un forte ritardo sulle rinnovabili, “tenute in ostaggio” soprattutto dalla burocrazia. Andiamo meglio sul fronte dell’economia circolare, ma anche qua c’è da lavorare, come ci spiega Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile.
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Federico Turrisi 26 Ottobre 2021

Si apre oggi il sipario su Ecomondo, uno degli appuntamenti più importanti a livello internazionale per le aziende attive nel settore della green economy, alla Fiera di Rimini fino al 29 ottobre. Proprio nell'ambito di Ecomondo, il 26 e il 27 ottobre si tiene la decima edizione degli Stati Generali della green economy.

Un'edizione particolare, perché si svolge a pochi giorni dall'inizio della Cop26 di Glasgow (la Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite su cui sono puntati gli occhi del mondo) e coincide con l'avvio del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (il famoso Pnrr) e, più in generale, con le misure di rilancio dell'economia italiana dopo la recessione causata dalla pandemia. Tra i relatori di punta c'è Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile e ministro dell'Ambiente tra il 1996 e il 2000. Con lui abbiamo provato a tracciare in maniera sintetica un quadro della situazione attuale in Italia, e non solo.

Manca davvero poco alla Cop26 di Glasgow: perché è così importante?

Sono quattro i principali obiettivi della Cop26 di Glasgow. Primo, l'aggiornamento dei piani nazionali di riduzione delle emissioni in maniera tale da riallinearli alla traiettoria che porta alla neutralità climatica e al contenimento del riscaldamento globale sotto 1,5 gradi rispetto all'epoca preindustriale. La gestione britannica punta a far tradurre gli impegni nazionali in misure per l'accelerazione delle politiche climatiche: parliamo, in particolare, dell'uscita graduale (phase-out) dal carbone, dell'aumento degli investimenti nel settore delle energie rinnovabili, dell'elettrificazione dei trasporti.

Il secondo obiettivo riguarda il rafforzamento delle misure di adattamento ai cambiamenti climatici e di salvaguardia degli ecosistemi e delle comunità. Il terzo consiste nella mobilitazione del mondo della finanza: mi riferisco sia al fondo da 100 miliardi di dollari all'anno per sostenere la transizione ecologica nei Paesi in via di sviluppo sia allo spostamento, più in generale, degli investimenti pubblici e privati nella direzione della decarbonizzazione. Il quarto punto è questo: promuoviamo l'iniziativa climatica tra i singoli governi, il mondo del business e la società civile, rendendo la transizione ecologica un impegno diffuso, che non parte solo dagli accordi globali. Come dice il nome della campagna promossa dalle Nazioni Unite, è una "Race to zero", una corsa verso la neutralità climatica.

Quali sono le aspettative per questo vertice?

Certamente c'è stato un avanzamento nel dibattito. Il mio auspicio è che si costruisca una convergenza il più ampia possibile su questi obiettivi. Non sarà una convergenza unanime, ma spero che i Paesi più ambiziosi non subiscano il ricatto dei frenatori e anzi li sfidino sul terreno della competizione di un'economia decarbonizzata in grado di generare benessere e occupazione. Quella della decarbonizzazione è una strada obbligata: chi parte prima, si aggiudica un vantaggio. Altrimenti tra qualche anno ci ritroviamo a fare una conta dei danni ancora peggiore a causa della crisi climatica (che è una certezza, non un opinione).

E l'Italia come arriva a questo appuntamento? Per usare una metafora scolastica, in alcune materie andiamo bene: per esempio nel campo dell'economia circolare, giusto?

Per quanto riguarda sia il tasso di circolarità dei materiali sia il tasso di riciclo dei rifiuti totali (e quindi non solo urbani), è vero, siamo al vertice in Europa. Che cosa possiamo fare di più? Sull'economia circolare, innanzitutto, servono misure per finalizzare i fondi di "Impresa 4.0" in maniera più mirata, investendo sull'ecodesign dei prodotti e sulla diffusione dell'innovazione della circolarità. Secondo punto, bisogna semplificare le procedure di riciclo dei rifiuti, la cosiddetta disciplina "end of waste". La Strategia Nazionale per l’economia circolare è un documento interessante, ma molto generico. Bisogna applicarlo con misure e obiettivi più precisi.

In altre materie invece andiamo un po' meno bene, come per esempio nello sviluppo delle energie rinnovabili. A questo proposito si parla di una revisione del Pniec (il Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima)…

Per forza che lo dobbiamo rivedere. È tarato sul vecchio target europeo di una riduzione delle emissioni nette di gas a effetto serra del 40% rispetto ai livelli del 1990. Quest'anno l'Unione Europea ha alzato l'asticella al 55%, e quindi il Pniec va completamente rifatto, sia sul fronte dell'efficienza energetica sia sul fronte delle rinnovabili.

Come si attua allora il cambio di passo?

Secondo un recente studio realizzato da Enel e The European House – Ambrosetti, con il passo attuale arriveremmo al raggiungimento dei target europei nel 2054. Cioè con 24 anni di ritardo. Nel 2020 abbiamo installato circa 800 MW di rinnovabili, e dobbiamo arrivare a 7.000 MW all'anno per rispettare gli obiettivi. Non ci siamo proprio. Il cambio di passo quindi è necessario. Come si fa? Prima di tutto, bisogna coinvolgere Regioni e Comuni per politiche attive di sviluppo degli impianti. Il grande problema si chiama poi burocrazia: le procedure troppo lunghe e macchinose rappresentano un freno, vanno assolutamente snellite.

E che cosa ne pensa del dibattito sul nucleare, tornato di attualità nel nostro Paese?

Non abbiamo tempo da perdere. Oltre al discorso dei costi rilevanti, adesso siamo alla promessa dei reattori nucleari di IV generazione, che forse saranno disponibili tra 10-15 anni. Ma noi dobbiamo muoverci adesso: è questo il decennio in cui si fa la svolta e si avvia il cambiamento.