Città sparite, monumenti sgretolati, statue rovinate: il Climate Change sta minacciando davvero il nostro patrimonio culturale

Nella Giornata Mondiale dedicata all’Arte, abbiamo voluto provare a capire come sta il nostro patrimonio culturale e cosa si sta facendo per tutelarlo dagli effetti dei cambiamenti climatici.
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Kevin Ben Alì Zinati 15 Aprile 2023
Intervista a Alessandra Bonazza Ricercatrice dell’Istituto di Scienze dell'Atmosfera e del Clima del Cnr

Alcune vengono imbrattate, altre ricoperte di venirci e ad altre ancora ci si è incollati. Tutte azioni di protesta che hanno preso “di mira” opere d'arte per sensibilizzare sul Climate Change.

Gesti simbolici, plateali, forti (da alcuni considerati anche esagerati) per attaccare l’immobilismo delle istituzioni e risvegliare le coscienze tanto dei decisori politici quanto dei cittadini.

L’idea alla base di atti come quelli che ti abbiamo raccontato e portati avanti, per esempio, da Ultima Generazione è semplice e chiara: colpire qualcosa che tocca tutti, l’arte appunto, per recapitare a tutti lo stesso messaggio.

Quello che unisce arte e cambiamento climatico, tuttavia, è un binomio più vecchio, più profondo e decisamente più pericoloso con cui stiamo facendo i conti ormai da decenni.

Sebbene sia difficile trovare una data precisa, proviamo a fare un ragionamento indietro nel tempo. Da quanto senti parlare di città che vengono spazzate via dall’erosione costiera o dall’aumento del livello del mare? Secondo uno studio pubblicato su Nature Communications, solo in Italia Venezia e Aquileia, le Ville Palladiane in Veneto e il Parco archeologico di Paestum sono alcuni dei siti Unesco che rischiano di finire sott’acqua.

E poi, ancora: quanti siti archeologici sono già stati seppelliti dalla sabbia e dalla desertificazione negli ultimi vent’anni; quanti monumenti, statue e sculture sono state irrimediabile ste danneggiate dall’inquinamento atmosferico?

Lo sai, lo sanno: il cambiamento del clima, così come tutti i fattori che lo alimentano, sta mettendo a serio rischio il patrimonio culturale, italiano e mondiale. Da soli stiamo compromettendo tutto ciò che, nelle parole della dottoressa Alesandra Bonazza, ricercatrice dell’Istituto di Scienze dell'Atmosfera e del Clima del Cnr, rappresenta “l’identità di un popolo, da siti archeologici, complessi monumentali, paesaggio e collezioni nei musei a tradizioni e tecniche di costruzione. Per questo parliamo infatti di patrimonio tangibile ed intangibile”.

Oggi, nella Giornata Mondiale dell’Arte, abbiamo quindi provato a fare il punto della situazione, quantomeno per tanto riguarda l’Italia, culla di una bella fetta di cultura, arte e storia dell’Europa e del mondo intero.

Dottoressa Bonazza, tutto ciò che interagisce con l’ambiente modifica l’ambiente. Le variazioni di temperatura e precipitazioni legate al cambiamento climatico hanno quindi degli effetti sul patrimonio culturale costruito dall’uomo, sia le variazioni più graduali sia quelle molto più estreme. Partiamo da quelle meno visibili.

Abbiamo iniziato a studiare gli effetti del cambiamento climatico nel 2004, con un progetto finanziato dall’Unione Europea chiamato “Noah’s Ark”. Inizialmente ci siamo concentrati sugli effetti legati a variazioni più graduali, negli ultimi 5 anni però ci stiamo concentrando sull’impatto degli eventi estremi. Ci sono processi di degrado cumulativo nel tempo, legati per esempio alla quantità e all’acidità delle precipitazioni. Questi possono determinare effetti su materiali come marmi e calcari, a composizione prevalentemente carbonatica, che vanno incontro a un fenomeno di dissoluzione chimica. Il loro impatto, appunto, non è visibile subito ma solamente dopo diverso tempo.

Quelli più a breve termine? 

Sono legati alle condizioni estreme, sto parlando di effetti di tipo erosivo e strutturale connessi, per esempio, a fenomeni di piogge intense. Piogge intense possono causare allagamenti. Pensiamo ad esempio al centro storico di Ferrara: quando piove in maniera abbondante e continuativa, la piazza tende ad allagarsi ed i materiali di cui è costituita la cattedrale – tra cui materiali porosi – possono assorbire l’acqua, che contiene sali. Tutto questo innesca fenomeni di stress dovuti ai cicli di cristallizzazione e solubilizzazione dei sali, in seguito a variazioni di temperatura e umidità relativa.

Il caldo estremo che danni può provocare?

Il patrimonio culturale costruito, in Italia, in gran parte realizzato in pietra, mattoni e malte, non è direttamente vulnerabile all’aumento della temperatura, ma piuttosto alla radiazione solare, che riscalda la superficie dei materiali innescando fenomeni di stress termici.

Ha parlato di piogge intense e allagamenti ma negli ultimi anni stiamo assistendo sempre più spesso al contrario: periodi di siccità prolungati.

La siccità impatta sicuramente sul patrimonio culturale attraverso gli incendi. Non li innesca direttamente, questo va sottolineato perché molto spesso, purtroppo, dietro a un fuoco che divampa c’è l’azione dolosa dell’uomo. La siccità e la scarsità di piogge creano tuttavia le condizioni favorevoli per il propagarsi di incedi che colpiscono e possono distruggere parchi archeologici o zone boschive.

E poi c’è l’inquinamento. 

I suoi effetti li possiamo vedere ovunque, sui monumenti di marmo, ad esempio, che al posto di esser bianco presenta delle patine scure. Si tratta delle polveri sottili che si depositano su statue ed edifici. Fino a qualche decennio fa, il gas SO2 (biossido di zolfo) era il più dannoso per il patrimonio culturale italiano perché creava interazione con i materiali a composizione carbonatica formando gesso: quest’ultimo tende a inglobare le polveri sottili creando le note croste nere. Negli ultimi anni la concentrazione di questo gas è diminuita molto grazie alle politiche di abbattimento messe in campo ma ora serve limitare le emissioni del traffico veicolare, prima di tutto il particolato.

Oggi possiamo parlare di allarme per il nostro patrimonio culturale? 

Sì, bisogna farlo. C’è da dire però che la preoccupazione degli ultimi anni è anche figlia della maggior attenzione della scienza così come dei cittadini verso il cambiamento climatico. E questo è un bene.

Come si traduce questa maggior attenzione? A livello nazionale, quindi, cosa stiamo facendo per proteggere il nostro patrimonio culturale? 

La conoscenza sugli impatti dei cambiamenti climatici è aumentata e questa è già una grossa notizia. È importante però trasferirla e renderla comprensibile e utilizzabile da chi poi deve mettere in campo le misure per gestirli. La Strategia Nazionale di Adattamento ai cambiamenti climatici,  in questo senso, è fondamentale e mette l’Italia ai primi posti a livello europeo in fatto di difesa del patrimonio culturale dal climate change. Il piano non è ancora stato adottato in maniera definitiva ma avere delle misure dedicate a questo settore è già una vittoria. Basti pensare che nell’ultimo report IPCC viene specificato che anche il patrimonio culturale va protetto. Però…

Però.

Non ci sono ancora indicazioni specifiche sugli impatti e sulla perdita di materiale in seguito a fenomeni legati alle variazioni climatiche. Bisognerebbe ci fossero valutazioni e stime sugli impatti e sulle perdite e invece siamo ancora in fase molto qualitativa. Nella strategia italiana invece sono stati inclusi i risultati e le stime del progetto Noah’s Ark: sulla loro base i decisori politici possono mettere in atto strategie ad hoc.

Che ne pensa delle azioni di gruppi come Ultima Generazione, che colpiscono edifici e opere d’arte per sensibilizzare sul clima?

La consapevolezza da parte dei cittadini è sempre maggiore ma bisogna continuare a portare avanti azioni di coinvolgimento e divulgazione per sensibilizzare alla protezione e alla salvaguardia del nostro patrimonio. Anche chi fa ricerca deve sforzarsi di comunicare verso l’esterno, cercando di guardare sempre chi che è l’interlocutore e trovare il modo di far passare il messaggio giusto.