Come funziona l’Emission Trading System europeo: pregi, difetti e problemi da risolvere

Ridurre le emissioni di gas serra, rendendo conveniente investire nella transizione ecologica. Questo l’obiettivo dell’Emission Trading System europeo, uno dei più avanzati schemi per provare a rendere vantaggioso il passaggio dell’economia verso la sostenibilità ambientale. Ma ci sono diversi problemi: dal fattore tempo al peso economico delle industrie inquinanti, fino al ‘Carbon Leakage’, ovvero lo spostamento della produzione in Paesi meno severi a livello di disciplina ambientale.
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Michele Mastandrea 14 Giugno 2022

Ridurre le emissioni di gas serra, senza creare troppi problemi all'economia. Come sai, si tratta di uno dei problemi decisivi del nostro tempo: serve agire contro il riscaldamento globale all'insegna di una transizione ecologica che sia equa e sostenibile, anche a livello sociale ed economico.

Sotto osservazione in questo senso è soprattutto il comportamento delle grandi industrie e di settori molto inquinanti come quello del trasporto aereo. Come trovare il modo di spingere i maggiori inquinato a ridurre le loro emissioni? L'Unione Europea ha provato a rispondere a questa domanda dando vita all'Emission Trading System (Ets): si tratta di una sorta di ‘mercato' delle emissioni di CO2 che mira a rendere progressivamente sempre più costoso rilasciare gas climalteranti.

Emettere – secondo i piani Ue – diventerà via via sempre più svantaggioso economicamente, obbligando così le industrie più inquinanti alla transizione verso la neutralità climatica. Ma l'Ets sta davvero funzionando? Vediamo di cosa si tratta, quali sono i suoi pregi, ma anche quali sono i problemi che lascia irrisolti.

Cos'è l'Emission Trading System

La maggior parte delle attività economiche comporta, in maniera differente da caso a caso, l'emissione di gas serra nell'atmosfera. L'idea dell'Ets è di creare un mercato di "permessi a inquinare", in cui ogni tonnellata di CO2 emessa ha un costo. Questo costo non è fisso, ma diventa sempre crescente negli anni, in modo da rendere sempre più svantaggioso emettere gas serra. E, dall'altra parte, sempre più conveniente avviare percorsi di riconversione ecologica della produzione. Nel sistema sono inclusi 31 Paesi (i 27 della Ue più Regno Unito, Islanda, Norvegia e Liechtenstein).

Nello specifico, dal 2005 in avanti l'Unione Europea ha fissato un tetto massimo annuale alla quantità di emissioni possibili da parte delle aziende e dei diversi settori industriali, che funziona all'interno di un sistema detto "cap-and-trade". La quantità massima annuale di emissioni totali viene ridotta di anno in anno, in modo da diminuire il rilascio di gas serra nell'atmosfera, e dunque "forzando" le aziende a migliorare le loro performance energetiche. Il sistema copre attualmente oltre il 40% delle attività che producono emissioni: non solo di CO2, ma anche di ossido di azoto e perfluorcarburi.

Le aziende hanno il compito di monitorare le loro emissioni e di renderne conto alle istituzioni della Ue. Se non rispettano la loro quota di emissioni, devono pagare multe. In alternativa, possono acquistare "permessi a inquinare" da altre aziende che invece abbiano rispettato i loro obiettivi talmente bene da aver emesso meno. Entro ogni mese di aprile, le aziende devono essere in regola con i pagamenti rispetto alla stima per l'anno precedente, eventualmente comprando quote da altre aziende se la quantità di emissioni prevista è stata sforata.

Gli obiettivi

In teoria, con questo sistema si crea un incentivo per le aziende a ridurre le loro emissioni, potendo guadagnare dalla vendita di quote e risparmiare su eventuali sanzioni. Inoltre, prima viene fatto il passaggio a tecnologie sostenibili, maggiori sono i ricavi economici (si può recuperare più in fretta l'investimento, si possono vendere le proprie quote di emissioni, si può evitare di pagare multe).

L'idea originaria della Ue a livello di obiettivi è la riduzione del 21% delle emissioni nel 2020 rispetto al 2005, e del 43% nel 2030 sempre rispetto al 2005. Ma le cose cambiano velocemente, così come gli scenari sui cambiamenti climatici, grazie per esempio ai report scientifici dell'Ipcc sull'andamento del riscaldamento globale.

La Ue ha proposto di recente una modifica ulteriore del suo sistema, prevedendo una riduzione del 61% delle emissioni nel 2030 invece del 43%, e bloccando fino al 2030 la concessione di alcuni "permessi a inquinare" che finora erano a disposizione gratuitamente delle aziende operanti in alcuni settori industriali. Ma la decisione è stata rinviata, e bisognerà aspettare per capire se alla fine verrà approvata o meno.

I problemi

Uno dei principali intoppi al funzionamento di un sistema come l'Ets è che alcune aziende sono talmente forti a livello economico da poter sostenere benissimo il peso a bilancio di eventuali multe. Di conseguenza, non hanno l'incentivo a investire in processi di riduzione delle emissioni. Preferiscono semplicemente pagare le multe.

Il prezzo di ogni tonnellata di CO2 dovrebbe dunque essere alzato rispetto ai livelli attuali, affinché le aziende abbiano davvero convenienza a ridurre le emissioni. Inoltre, le sanzioni dovrebbero essere decisamente più elevate, al fine di avere un impatto deterrente adeguato. Sempre che vengano effettivamente comminate, dato che determinare le esatte quantità di emissioni di un'azienda non è semplice e possono anche determinarsi lunghe vertenze legali per accertare eventuali violazioni.

C'è poi anche il tema di coordinare tutto il mondo in uno sforzo simile. Non a caso, gli Stati Uniti, primo Paese al mondo a lanciare un sistema di questo tipo all'inizio degli anni Novanta, non hanno ottenuto grandi risultati a livello di imitazioni.

L'idea era quella di arrestare le emissioni di anidride solforosa (SO2), che causavano il famoso fenomeno delle ‘piogge acide‘. Queste ultime si ridussero fortemente negli anni a seguire, tanto che il meeting del 1997 a  Kyoto (da cui scaturì il famoso Protocollo) suggerì di adottare un sistema simile per quanto riguarda l'anidride carbonica. Ma un sistema di questo tipo ha un grosso limite: non funziona se è sviluppato solo a livello locale.

Il ‘Carbon Leakage'

Il problema principale di questi sistemi è infatti quello del ‘Carbon Leakage‘.  Non tutti i Paesi del mondo hanno come noto le stesse politiche ambientali, e quelle della maggior parte dei Paesi esterni alla Ue sono molto meno stringenti. Ne deriva che un'azienda multinazionale operante in Unione Europea può semplicemente decidere di delocalizzare la sua produzione in un altro Paese. La battaglia contro il cambiamento climatico non può dunque essere locale, semplicemente perché le emissioni non rispettano i confini.

Ma esiste un modo anche per rispondere a queste pratiche: imporre una tassa su prodotti realizzati in Paesi dagli standard ambientali minori. In Unione Europea questa proposta è in via di discussione, al fine di rendere sconveniente delocalizzare. L'obiettivo finale sarà arrivare a una tassa globale sulle emissioni, che al momento sembra però molto difficile, se pensiamo a quanto l'uso di carbone, metano e petrolio sia fondamentale per i sistemi economici di Paesi come Cina e India, ad esempio. Uno degli obiettivi della prossima Cop27 di Sharm El-Sheikh sarà allora proprio quello di capire come finanziare la transizione di questi Paesi, presupposto necessario per andare a limitare le emissioni a livello globale.

Infine, c'è il fattore tempo. A questo tasso di crescita del riscaldamento globale, le emissioni vanno ridotte subito, non nel giro di diversi anni. Come avvertono i curatori dei rapporti dell'Ipcc, il tempo sta scadendo e la marcia indietro va fatta subito, se vogliamo evitare guai molto peggiori.

Insomma, la relativa gradualità nella riduzione delle emissioni prevista da meccanismi come l'Ets forse andrebbe rivista, date le prospettive allarmanti per i prossimi decenni. Bene tutelare l'economia, ma a un certo punto se si vuole davvero invertire la rotta sul tema del climate change servono azioni più decise e più a breve termine.

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