
Sindrome dell'impostore è un’espressione informale per descrivere uno stato d’animo, una condizione psicologica persistente per cui una persona talentuosa non riesce a convincersi dei propri meriti, compromettendo in modo significativo la sua qualità di vita.
La prima a parlare della sindrome dell’impostore è stata Pauline Clance (1978) che ha identificato il fenomeno in un gruppo di donne di successo, le quali non si sentivano meritevoli del prestigioso ruolo ricoperto. Successivamente è stato osservato come la sindrome dell’impostore non si diffonda solo tra le donne, ma tra una vasta fetta di popolazione colta e istruita che ricopre ruoli in diversi settori, tra cui istruzione, assistenza sanitaria, contabilità, finanza, legge e marketing.
I soggetti colpiti da questa sindrome credono che i loro successi formativi e lavorativi siano dovuti più a fattori esterni (nonostante le prove a supporto siano contrarie) che a fattori interni: non credendosi degni di promozioni, riconoscimenti e ricompense, preferiscono credersi dei cialtroni piuttosto che vedersi come persone meritevoli di successo e in gamba. Spesso chi si crede un impostore giustifica i propri successi minimizzando gli standard raggiunti ("È stato un esame facile, per questo ho preso la lode!"), chiamando in causa il lavoro di rete o il proprio aspetto fisico ("Se ho avuto il posto sarà perché altri miei amici lavorano lì" oppure "perché hanno visto il mio aspetto da bravo ragazzo!").
La sindrome dell’impostore è dunque un mix di senso di colpa per i traguardi raggiunti, mancata introiezione del successo, paura della valutazione e sentimenti di indegnità e inefficienza professionale e formativa.
Tutto ciò porta l’individuo a mettere in atto delle "auto-pressioni" affinché non venga mai smascherata la sua reale incapacità e non venga mai scoperto il suo grande bluff. Così facendo è estremamente facile, per chi soffre della sindrome dell’impostore, andare incontro a perfezionismo e a un controllo maniacale del proprio lavoro, concentrando eccessivamente la propria attenzione sugli errori e le relative conseguenze a lungo termine. Lo stress e l’ansia diventano compagni costanti, aumentando notevolmente anche il rischio di burnout.
Si crea in questo modo un circolo vizioso: l’individuo non si sente meritevole dei riconoscimenti professionali e, cercando di non farsi smascherare, aumenterà il suo controllo e il suo perfezionismo al lavoro, alzando di gran lunga gli standard da raggiungere e ponendosi obiettivi irrealistici che di fatto sono irraggiungibili; il lungo sforzo per raggiungerli porterà l’individuo a sentirsi in ansia, frustrato e incapace e ciò aumenta la percezione di non meritarsi il successo e i traguardi raggiunti.
Verrebbe quindi da chiedersi cosa porti una persona a non avere abbastanza fiducia nelle proprie capacità. Chi soffre della sindrome dell’impostore è a conoscenza di come viene visto dagli altri ma non lo sente vero, i meriti che gli vengono attribuiti non sono altro che una falsa riconoscenza.
Il fenomeno è stato collegato al background familiare: la sindrome dell’impostore è più frequente negli individui che per primi in famiglia riescono a raggiungere importanti traguardi nella carriera o nell’istruzione e a superare le aspettative degli altri.
Anche gli stili genitoriali sembrerebbero incidere sul fenomeno: negli studenti universitari che presentano tale sindrome, i ricercatori hanno riscontrato una correlazione con la mancanza di cure genitoriali nell’infanzia, ma anche con la presenza di un padre eccessivamente controllante.
La presenza della sindrome dell’impostore è stata correlata inoltre all’introversione, alla diffidenza, all’ansia e alla timidezza. Le persone che ne sono affette avrebbero la tendenza narcisistica a ricercare conferme del proprio valore dall’esterno.
Questo fenomeno sarebbe correlato a una distorsione cognitiva denominata "effetto Dunning Kruger". Essa consiste in due risvolti opposti: chi non ha competenze o esperienza spesso si sopravvaluta e tenderà a esprimere con convinzione la propria opinione. Le persone non competenti, proprio perché tali, non si rendono conto del gap tra la loro opinione e la vera competenza sull’argomento. Non sono consapevoli dei propri limiti: di conseguenza, sovrastimano il proprio sapere. Mentre chi avrebbe le competenze, le sottostima e non osa esprimersi, sminuendo il proprio valore effettivo. Di quest’ultima categoria farebbero parte i soggetti affetti dalla sindrome dell’impostore. Della prima categoria farebbero parte le persone tendenti al narcisismo e alla sopravvalutazione di sé.
Come fare allora per vincerla (o per conviverci più serenamente)?
Ricordiamo che si tratta di uno stato d’animo che è parente prossimo della scarsa autostima. Lou Solomon ritiene che non si possa guarirne definitivamente, ma che ci siano delle strategie per tenerla a bada.
Ecco alcuni consigli:
In conclusione, un fatto curioso: chi soffre della Sindrome dell’Impostore, impostore non è.