Da “caccia alle lepri” a specialità olimpica: com’è nata la corsa campestre

Nata come un gioco agli inizi del diciannovesimo secolo in Inghilterra, oggi la corsa campestre è una disciplina sportiva dell’atletica leggera. Uno sport che richiede resistenza e soprattutto fiato, ma che nell’essere praticato in mezzo alla natura, ha tutta la sua bellezza.
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Gaia Cortese 12 Febbraio 2023

Per correre una corsa campestre, o cross country, non serve altro che un buon paio di scarpe da corsa, oltre che naturalmente una buona resistenza e molto fiato.

È una corsa a lunga percorrenza che richiede un'accurata preparazione atletica, considerati i frequenti cambi di ritmo dovuti a un terreno che tende a cambiare da un momento all'altro; la principale difficoltà di questo tipo di corsa, infatti, è che si corre su sentieri sterrati, che a tratti possono essere ricoperti di erba, ghiaia o fango, e quindi mettere in difficoltà chi corre. E pensare che inizialmente era solo un gioco.

La corsa campestre

La storia

Nata agli inizi del diciannovesimo secolo in Inghilterra, la corsa campestre non è stata sempre una corsa vera e propria: inizialmente non era altro che un gioco chiamato The paper chase, o anche detto “Hares and Hounds”. I partecipanti al gioco venivano divisi in due gruppi, da una parte le lepri (“hares”), dall'altra i segugi o cacciatori (“hounds”), e il gioco consisteva in un inseguimento in cui i segugi non dovevano fare altro che correre dietro alle lepri: ancora oggi in Inghilterra i crossisti (la corsa campestre viene chiamata cross country)  “harriers”.

La prima corsa campestre aperta a tutti è stata organizzata a Wimbledon Common il 7 dicembre 1867. Il percorso della gara si sviluppava sulla distanza di 3,5 miglia (poco più di 5,5 km) ma la maggior parte dei partecipanti non riuscì a portare a termine la competizione a causa del tracciato segnato male e a causa dell’orario di partenza, le cinque del pomeriggio, che obbligò i gli "harriers" (così vengono definiti i crossisti in inghilterra) a correre al buio.

Il gioco è poi diventato uno sport e nel 1903 è stato finalmente istituito un campionato di corsa campestre tra Inghilterra, Scozia, Irlanda e Galles. Dall'anno successivo fino al 1924 la corsa campestre è diventata una specialità olimpica e dal 1973 la IAAF World Cross Country Championships è diventata la più importante competizione di corsa campestre: oggi è un evento biennale regolato dall’associazione internazionale delle federazioni di atletica leggera.

Le gare

Nella corsa campestre le gare possono essere individuali o a squadre; in quest'ultimo caso il punteggio si basa sul piazzamento degli atleti e di norma, a seconda della gara, si tengono conto dei migliori quattro o cinque atleti per squadra.

La gara consiste nel compiere uno o più giri di un percorso su sterrato, pertanto anche la lunghezza può variare a seconda della gara, ma può arrivare anche a una distanza di 10 chilometri.

Un'altra regola che si tende a rispettare è quella della lunghezza del rettilineo iniziale della gara, dove parte e finisce la competizione: per evitare che ci sia una congestione dei partecipanti, il rettilineo deve essere lungo dai 40 ai 1200 metri.

I benefici

La corsa campestre è un'attività fisica di tio aerobico che ha molti effetti benefici sull'organismo. Innanzitutto, correre regolarmente migliora le funzioni e l'attività dell'apparato cardiovascolare e di quello respiratorio. Non solo riduce la pressione arteriosa e il rischio di malattie cardiache, ma permette all'organismo di immagazzinare una maggiore quantità di ossigeno, pertanto il sangue e di conseguenza tutti i muscoli risultano più ossigenati.

Correre migliora il buonumore perché praticando attività sportiva l’organismo produce endorfine. È un antidepressivo naturale, aiuta ad alleviare lo stress e migliora la qualità del sonno.

Grazie poi ai continui piccoli impatti con il terreno, la corsa campestre stimola l’attività degli osteoblasti, delle cellule preposte alla formazione di tessuto osseo. Questo significa che l'attività fisica contribuisce a una maggiore densità ossea con una conseguente riduzione dei rischi di osteoporosi. Non solo. La migliore efficienza dell’apparato muscolo scheletrico riduce considerevolmente i rischi di cadute e di infortuni.