
Quante volte ti è capitato di fare scadere una confezione di latte, oppure di non consumarla del tutto? Sappi che c'è qualcuno che sta provando a far diventare quello spreco un'opportunità, una risorsa per la salvaguardia del pianeta. Si tratta di una start-up, di nome ‘Splastica‘, che trasforma il latte scaduto in un materiale compostabile e biodegradabile. Dunque, potenzialmente alternativo alla plastica prodotta da combustibili fossili che usiamo – troppo – nella vita di tutti i giorni.
‘Splastica' è un progetto dell'Università di Tor Vergata di Roma. È stato inserito dalla Commissione Europea, per il suo alto contenuto tecnologico, all'interno del nuovo programma ‘WomanTechEU'. Questo comprende ‘Splastica' tra le 50 imprese in Unione Europea a guida femminile meritevoli di finanziamenti per i loro progetti.
Sì, perché ‘Splastica' è un progetto portato avanti da tre donne, Raffaella Lettieri, Valentina Armuzza ed Emanuela Gatto. Tre chimiche che potrebbero dare un contributo a risolvere, all'insegna dell'economia circolare, un problema gigantesco: quello dell'inquinamento da plastica. Ad affiancarle c'è inoltre un economista, Graziano Massaro, che cura la parte finanziaria del progetto.
Dal latte scaduto, grazie a poca acqua e senza alcun tipo di solvente organico, le tre donne hanno creato i granuli di questa bioplastica. Gli oggetti prodotti con questo materiale possono, secondo le ricercatrici, durare anche 2 o 3 anni prima di deteriorarsi. Si dissolvono in acqua in 60 giorni e nel compost in non oltre 90. E i 75mila euro di finanziamenti in arrivo dalla Commissione Europea potranno aiutare la start-up nell'applicazione industriale su larga scala. Un passaggio importante per sostituire veramente la plastica attuale con altri materiali, come previsto anche dall'Unione Europea – che però è vaga sulle bioplastiche – la quale sta iniziando a bandire l'utilizzo della plastica tradizionale, specie se monouso.
I primi progetti realizzati sono vari tipi di stoviglie, ma anche tappi di bottiglia. Le applicazioni potenziali sono però moltissime. Innanzitutto, la possibilità di sviluppare il settore dell'eco-packaging, particolarmente importante data la necessità sempre maggiore di imballaggi per sostenere volumi di commercio ormai enormi.
Inoltre, il progetto potrebbe aiutare a risolvere problemi come la presenza nei mari di microplastiche, quelle mini-particelle che poi finiscono direttamente nei corpi dei pesci che portiamo sulla nostra tavola. Mentre procedono i negoziati per un trattato internazionale in questo ambito, questa potrebbe essere un'ulteriore buona notizia.
Credits photo: Splastica