Il ministro Costa contro il traffico illecito di rifiuti verso l’estero: “Occorrono misure urgenti”

L’indagine di Greenpeace sulle spedizioni illegali di rifiuti di plastica verso la Malesia pone degli interrogativi sull’attuale sistema di riciclo. Lo stato del sud-est asiatico sta diventando la principale destinazione per i rifiuti che non riusciamo (o sarebbe meglio dire non vogliamo?) riciclare a casa nostra.
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Federico Turrisi 16 Febbraio 2020

Fino alla fine del 2017 il principale mercato di sbocco per i rifiuti, soprattutto di plastica, che non venivano avviati a riciclo all'interno dei confini nazionali era la Cina. E questo riguardava non solo l'Italia, ma tutti i paesi occidentali. Un documentario del 2016, "Plastic China", mostrava le devastanti conseguenze dell'importazione sfrenata di plastica nel paese e in Cina era stato perfino censurato. A gennaio 2018 il Dragone ha deciso però di imporre un blocco alle importazioni di rifiuti provenienti dall'estero. Una decisione che ha destabilizzato non poco il mercato e messo in difficoltà il sistema di riciclo di alcuni paesi europei, tra cui l'Italia. Anziché cogliere l'occasione per favorire una transizione verso un modello di economia circolare più efficiente, si è pensato bene di valutare un'altra alternativa, decisamente più comoda: inviare la spazzatura indesiderata ad altri paesi.

Rispetto al 2016, nel 2018 il volume di rifiuti importati dall'Italia in Cina si è ridotto dell’83,5%. In compenso, sono salite in maniera considerevole le importazioni in Malesia (+195,45 rispetto al 2017), in Turchia (+191,5% rispetto al 2017) e in Vietnam (+153% rispetto al 2016, e in leggera decrescita rispetto al 2017). Il punto è che in questo traffico di rifiuti si inserisce anche l'illegalità, come ha dimostrato la recente inchiesta condotta dall'Unità investiva di Greenpeace Italia. Su 65 spedizioni avvenute nei primi nove mesi del 2019 verso lo stato asiatico, 43 sono state infatti destinate ad aziende che non possedevano permessi per importare e riciclare rifiuti stranieri. Risultato, circa 1.300 tonnellate di plastica non sono state recuperate, ma al contrario sono state disperse nell'ambiente.

"Dati che, se confermati, testimoniano ancor più la necessità di adottare misure urgenti per prevenire queste pratiche illegali e vergognose". Sono parole del ministro dell’Ambiente Sergio Costa che ha definito quella di Greenpeace sul traffico di rifiuti di plastica in Malesia "un’indagine di grande importanza". "Si tratta di un tema che coinvolge numerosi Paesi e che mostra con chiarezza la necessità di lavorare a controlli più approfonditi e stringenti”, commenta in una nota ufficiale il ministro.

L'estate scorsa, mentre Roma era nel pieno di una delle sue periodiche emergenze rifiuti, Costa si era detto favorevole a inviare rifiuti all'estero, ma solo nel quadro di una situazione emergenziale. Le informazioni raccolte da Greenpeace fanno però suonare un campanello d'allarme, dal momento che si parla di tonnellate di materiale che sfuggono al riciclo, apportando dunque notevoli danni all'ambiente. "Dobbiamo portare avanti senza sosta la battaglia intrapresa per ridurre al minimo la produzione e il consumo dell’usa e getta", continua Costa, "e intraprendere con sempre maggiore convinzione il passaggio ad un’economia circolare che sappia puntare sul mercato del riciclo, riuso e rigenerazione dei materiali”.