Influenza aviaria, il prof Giovanni Rezza: “I casi in cui non è chiaro il contatto con un animale infetto fanno riflettere”

Insieme al prof Giovanni Rezza abbiamo provato a fare un po’ di chiarezza sui recenti casi umani di influenza aviaria registrati prima negli Stati Uniti, in Messico e poi ancora in Australia e India. Non si tratta di uno scenario inaspettato: ciò che fa più riflettere sono le infezioni in cui non è chiaro il contatto dell’individuo contagiato con un animale infetto.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Kevin Ben Alì Zinati 17 Giugno 2024
* ultima modifica il 18/06/2024
Intervista al Prof. Giovanni Rezza Docente di Igiene all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano ed ex direttore generale della Prevenzione sanitaria del Ministero della Salute durante la pandemia di Covid-19.

Oggi ci sono gli Stati Uniti e il Messico. Poi l’Australia e dopo ancora l’India. Se prendessi una mappa del mondo e infilzassi con una puntina questi paesi, ti apparirebbe chiaro che l’influenza aviaria sta viaggiando, e pure tanto.

Diamo delle coordinate. Quella vista in Texas era un’infezione da virus H5N1, una delle forme virali dell’influenza aviaria più diffuse e tra quelli ritenuti più “promettenti” per un’eventuale nuova pandemia.

L’uomo di 59 anni deceduto in Messico, invece, è stato trovato positivo a H5N2, un sottotipo del virus dell’influenza aviaria che non era mai stato registrato prima in un essere umano a livello globale.

All’ospedale di Melbourne, una bambina di due anni e mezzo è stata infettata da un altro ceppo dell’influenza A, ribattezzato H1N1, mentre il piccolo di 4 anni infettato in India si è trovato scritto sulla diagnosi virus A/H9N2.

Tanti nomi e forme virali diverse tuttavia non cambiano il fatto l’influenza aviaria rappresenta una potenziale minaccia sanitaria che piano piano sta provando a farsi strada anche nell’uomo.

Lo scenario non trova del tutto impreparati gli esperti come il prof. Giovanni Rezza, docente di Igiene all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano ed ex direttore generale della Prevenzione sanitaria del Ministero della Salute durante la pandemia di Covid-19.

Da decenni ormai la scienza segue da vicino l’evoluzione di questo virus che lentamente si è avvicinato alle nostre soglie.

Prima, infatti, circolava negli animali migratori, poi ha iniziato a dare origine a focolai in volatili da cortile come galline e anatre, che a loro volta hanno cominciato a infettare persone, soprattutto in paesi con un’economia di sussistenza basata sul piccolo allevamento domestico.

In un secondo momento sono fioccati casi di influenza aviaria anche nei mammiferi come cetacei, foche e delfini fino ad arrivare a felini come i visoni.

La scoperta di infezioni nelle mucche statunitensi, quindi animali con cui l’uomo viene spesso e facilmente a contatto, ha fatto scattare l’allarme perché la distanza tra lui e noi.

Professor Rezza, questa evoluzione nella diffusione del virus è un segnale di preoccupazione oggi? 

Il virus dell’influenza aviaria non ha ancora sviluppato mutazioni che facciano sì che diventi ancora più contagioso nell’uomo. Dal 2003 ad oggi ha fatto registrare circa 900 casi umani, cosa che lo rende un oggetto a cui prestare attenzione, ma per ora è un virus che non ha ancora sviluppato affinità per i recettori delle vie superiori umane. Quando infetta l’uomo, infatti, può provocare congiuntiviti o polmoniti, è virulento ma poco contagioso. Per ora, per lo meno.

Però i casi umani stanno aumentando…

Prima di tutto bisogna capire perché adesso si rileva con più frequenza nei mammiferi. E poi, come detto, una maggior affinità per i recettori dell’uomo ancora non c’è e per questo è difficile dire se si tratti di un passo avanti rispetto a un’eventuale pandemia. D’altra parte, è altrettanto vero che quando colpisce animali a stretto contatto con l’uomo aumenta la probabilità di infezione nell’essere umano e quindi anche di possibili vie di trasmissione che portano all’adattamento del virus. Per opra però non c’è evidenza in questo senso.

Secondo lei H5N1 è davvero il candidato più papabile per un’eventuale nuova pandemia?

C’è da considerare che oltre ad H5N1 ci sono altri virus aviari capaci di dare casi anche umani: H7N9, H9N2 che sono tutti dei sottotipi diversi. Perciò è sempre difficile capire quale sarà, se ci sarà una nuova pandemia influenzale e quale virus.

In generale serve comunque una maggior attenzione.

Nel caso dell’uomo in Messico e della bambina in Australia però non è ancora stata chiarito da dove sia arrivata il contagio. 

Questo è un po’ più inquinate e bisogna capire bene cosa succede. C’è stato un contatto con un animale infetto non identificato oppure le persone coinvolte hanno sviluppato sintomi lievi e hanno infettato? La diffusione di sottotipi deriva dal fatto che un virus circola tanto: più muta causalmente e più si alza la possibilità che trovi una forma capaci di adattarsi all’uomo. E poi, più si allungano le catene interumane di contagio, più è facile che il virus si adatti. Questo è il rischio.

Come giudica la scelta della Commissione europea di dotarsi già di vaccini pre pandemici? 

È una buona scelta che va nella direzione di una maggior capacità di preparazione verso emergenze di sanità pubblica. Scelte che, inevitabilmente, richiedono finanze e investimenti per l’acquisto di strumenti che si spera non vengano utilizzati ma che hanno un senso e che oggi, ancora, vanno spiegati bene.

Dice che c’è ancora bisogno di farlo? 

Mi sembra di sì perché ci sono paesi che non hanno aderito per esempio a questa scelta dell’Europa e bisogna capire perché. certo, un paese può anche non aderire a un provvedimento europeo e instaurare trattative bilaterali con le aziende produttrici di un farmaco o un vaccino ma il problema è che bisogna avere una strategia: se c’è una strategia alternativa allora va bene, altrimenti…

Il fatto che si tratti di vaccini mirati solo contro H5N1 è rappresenta un limite vista la varietà di sottotipi virali che si stanno diffondendo?

Assolutamente no. Quando si ha a disposizione un vaccino prepandemico mirato contro virus influenzali lo si può sempre aggiustare modificandolo e adattandolo al ceppo circolante.

Qual è la lezione della pandemia di Covid-19 che è bene che ci ricordiamo oggi?

La preparazione e la risposta nei confronti di un’emergenza sanitaria sono fondamentali altrimenti ci si trova scoperti. Non è facile ma va fatto e tentato. Un’altra cosa è l’attenzione al sistema di servizio sanitario. Oggi sta diventando sempre più fragile e siamo in tempi di “pace”: sotto emergenza come un evento pandemico ci troveremmo in condizioni ulteriormente più difficili.

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.