Con l’aggettivo “fragile” (dal latino frangere, rompere, spezzare) si intende una condizione caratteristica di qualcosa che si rompe, si spezza facilmente, o, riferita all’essere umano, una persona dalla personalità debole, di gracile salute o che cede facilmente alle tentazioni. Ma fragilità è davvero sinonimo di debolezza? Vittorino Andreoli nel suo libro L’uomo di vetro. La forza della fragilità afferma il contrario.
La fragilità va considerata un punto di forza perchè è all’origine della comprensione dei bisogni. È solo attraverso la fragilità che l’uomo scopre i propri punti deboli, riuscendo ad affrontarli, autonomamente o con l’aiuto di altre persone. Andreoli afferma che si può parlare di "solidarietà della fragilità": "La tua fragilità dà forza a quella di un altro e ricade su di te promuovendo salute sociale che vuol dire serenità".
Al contrario, se nascondiamo le nostre fragilità come qualcosa di cui vergognarci, con ogni probabilità di fronte agli altri ci porremo in maniera prepotente, accecati dal nostro voler apparire “migliori”.
La fragilità viene spesso collegata e confusa con la debolezza: essere fragili è un indicatore che ci mostra l’intensità delle nostre emozioni, la sensibilità con cui viviamo i nostri sentimenti e la difficoltà che abbiamo nel mostrarci come siamo per paura di essere feriti.
Nel tentativo di mostrarci forti spesso nascondiamo le nostre fragilità, non ci permettiamo di mostrarci sensibili, anche se dentro stiamo soffrendo, stiamo male e ci sentiamo soli. Indossiamo così un'armatura, facendo credere agli altri che niente può ferirci.
Sopprimendo le nostre emozioni e alzando dei muri di fronte a tutto ciò che proviamo, diamo agli altri il permesso di conoscerci solo in modo superficiale e finiamo persino per trattare gli altri allo stesso modo, avendo così relazioni superflue, senza nessun impegno.
Aggiungere strati alla nostra armatura ha delle conseguenze, perché perdiamo chi siamo. Viviamo intrappolati nella paura per cercare di chiudere fuori il dolore.
Se vogliamo vivere davvero, imparare a conoscerci e a entrare in sintonia con gli altri, dobbiamo correre il rischio di esporci anche se ci rende fragili.
Siamo in grado di mettere alla prova la nostra forza quando continuiamo ad avere fiducia nonostante i tradimenti, quando andiamo avanti nonostante le paure e la nostra tristezza, quando mostriamo la nostra vulnerabilità e sensibilità a chi se lo merita.
A valorizzare le nostre fragilità e le nostre crepe ce lo insegna il Kintsugi (unione dei termini kin, oro e tsugi, riparare), l’arte giapponese che trasforma gli oggetti danneggiati in opere d’arte.
Questa tecnica consiste nell’aggiustare l’oggetto rotto unendone i frammenti e lasciando le spaccature visibili. Anzi, mettendole volutamente in risalto. Per farlo, i professionisti del Kintsugi utilizzano una lacca ad hoc, la lacca urishi, ed evidenziano le linee di rottura con della polvere d’oro.
Il significato del trattamento va oltre il semplice atto di sistemare un oggetto che può ancora essere utile. Il concetto chiave è rendere la fragilità un punto di forza e perfezione.