Le storie di 3 “donne di montagna” che hanno dedicato la loro vita a quest’ecosistema unico e prezioso

Le donne sono la chiave per la conservazione della biodiversità, dell’acqua e della sicurezza alimentare: queste sono le storie di tre di loro.
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Roberto Russo 11 Dicembre 2022

La montagna come parte integrante del Pianeta e bene da preservare a tutti i costi. E, come sottolinea la FAO, le donne svolgono un ruolo fondamentale nella protezione dell'ambiente e nello sviluppo sociale ed economico delle aree montane. Spesso sono proprio loro a essere le principali amministratrici delle risorse montane, custodi della biodiversità, detentrici delle conoscenze tradizionali, custodi della cultura locale ed esperte di medicina tradizionale.

Le motivazioni di questa realtà sono da ricercare anche in ambito storico, dal momento che la crescente variabilità del clima, unita alla mancanza di investimenti nell'agricoltura di montagna e nello sviluppo rurale, ha spesso indotto gli uomini a migrare altrove in cerca di mezzi di sussistenza alternativi. Le donne hanno, pertanto, assunto molti compiti precedentemente svolti dagli uomini, ma le donne di montagna sono spesso invisibili a causa della mancanza di potere decisionale e della disparità di accesso alle risorse. Per innescare un vero cambiamento verso lo sviluppo sostenibile, è importante impegnarsi in un cambiamento rinnovatore di genere.

Ecco perché abbiamo deciso di raccontarti le storie di 3 donne di montagna, che dovrebbero essere conosciute e raccontate il più possibile.

Agitu Gudeta, ambientalista etiope diventata un simbolo

Quando si parla di donne e montagne il pensiero va senza dubbio ad Agitu Gudeta e al suo potente sorriso. Nata ad Addis Abeba (Etiopia) nel 1978 emigrò in Italia per via del suo attivismo politico contro l'accaparramento di terre in Etiopia da parte dei militari per le società internazionali. Si stabilì in Trentino dove, forte delle conoscenze avute dalla nonna materna, fondò La capra felice, allevamento di capre nel segno della sostenibilità e dell’eccellenza su un terreno comunale abbandonato. Piano piano si trasformò in simbolo di integrazione e di imprenditrice virtuosa, tanto da essere stata tra i finalisti 2019 del premio ambientalista dell’anno Luisa Minazzi e in precedenza aveva vinto il premio della resistenza casearia. Venne purtroppo uccisa nel dicembre 2020 da un lavoratore stagionale che lei stessa aveva precedentemente assunto.

Delle 20 specie vegetali che forniscono l'80% del cibo mondiale, sei hanno avuto origine e si sono diversificate in montagna: mais, patate, orzo, sorgo, pomodori e mele. (FAO)

Di lei l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ebbe a dire: “Ha dimostrato come i rifugiati possono contribuire alle società che li ospitano… Nonostante la sua tragica fine, l'UNHCR spera che Agitu Ideo Gudeta sia ricordata e celebrata come un modello di successo e di integrazione, e che ispiri i rifugiati che lottano per ricostruire le loro vite”.

Fernanda Maciel, donna capace di spostare le montagne

Le donne sono sempre state presenti negli sport di montagna e non solo. Tuttavia la loro presenza è sempre stata minoritaria rispetto a quella maschile e per questo spesso sono state invisibili. Ma a ben guardare le cose non stanno affatto così e ci sono giganti in questo campo. Come, per esempio, Fernanda Maciel, atleta ultra runner brasiliana, di stanza in Francia, vera campionessa tra skyrunning e arrampicate su vette altissime.

Fernanda Maciel non è solo una donna sportiva: dopo una laurea in legge ha conseguito la specializzazione in tutela ambientale e lavora con diverse organizzazioni, sostenendo e promuovendo campagne ecologiche e umanitarie. Porta avanti il progetto White Flow grazie al quale continua a scalare le alte vette per sensibilizzare su temi quali la tutela dell’ambiente e i cambiamenti climatici. Spesso quando porta avanti le iniziative le posta sui social con l'hashtag #shemovesmountains. E, bisogna riconoscerlo, lei è davvero una donna capace di spostare le montagne.

Junko Tabei, la signora delle scalate

Nata a Miharu, cittadina giapponese della prefettura di Fukushima, nel 1939, Junko Tabei a 10 anni si innamora delle montagne, dopo una gita scolastica sul complesso vulcanico del monte Nasu. Questa passione cresce in lei e nel maggio del 1975 diventa la prima donna a raggiungere la vetta dell'Everest. Non solo. Nel 1981 fu sempre lei a compiere la prima ascensione femminile di due Ottomila e nello stesso anno scalò anche lo Shisha Pangma. È stata anche la prima donna a completare l'ascesa delle Sette vette, le montagne più alte di ciascun continente della Terra.

Le montagne ospitano circa la metà della biodiversità mondiale e il 30% delle aree chiave per la biodiversità. (FAO)

Questa sua passione per la montagna si traduceva anche in impegno ecologista. Junko Tabei, infatti, portò avanti uno studio sul degrado ambientale dell'Everest dovuto ai rifiuti abbandonati dalle spedizioni alpinistiche e fu anche direttrice dell'Himalayan Trust of Japan, organizzazione attiva a livello globale nella conservazione degli ambienti in quota. Il suo impegno la portò alla costruzione di un inceneritore per eliminare i rifiuti lasciati dagli scalatori e partecipò a varie attività di bonifica su varie montagne. Ammalatasi nel 2012, continuò a scalare le sue amate montagne fino al 2015, per poi morire nel 2016.