L’inquinamento acustico è un serio problema anche per gli oceani: per salvarli bisogna (anche) abbassare il volume

Le onde sonore possono viaggiare per chilometri attraverso le acque degli oceani, disturbando la vita degli animali che abitano le profondità degli abissi e per i quali l’udito rappresenta uno strumento fondamentale di sopravvivenza.
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Sara Del Dot 9 Febbraio 2021

Suoni alti, continui, disturbanti, che fanno perdere il senso della realtà, turbano il normale svolgimento della vita quotidiana. Capita a te, magari quando nell’appartamento accanto fanno interventi di ristrutturazione oppure se la strada sotto la tua finestra è soggetta a lavori in corso con martelli pneumatici a tutto spiano e fatichi a farti capire da qualcuno che si trova nella tua stessa stanza. E proprio come accade a te quando non vorresti fare altro che tapparti le orecchie con la testa sotto al cuscino, così accade anche alle creature che vivono a centinaia, se non migliaia, di metri sotto il livello del mare.

Perché sì, rumori molesti e dannosi, insomma tutto ciò che compone l’inquinamento acustico, possono arrivare anche nelle profondità degli abissi. Come se non avessero già abbastanza pericoli da cui difendersi.

Nella vita delle creature del mare, infatti, il suono ha un’importanza fondamentale. Serve per capire la direzione e i movimenti delle correnti, quindi per alimentarsi, per comunicare, per ascoltare i richiami di altri esemplari e di altre specie. L’udito di molti animali marini è sviluppatissimo e rappresenta una vera e propria fonte di sopravvivenza. È ciò che consente loro di tornare a casa, di ascoltare e rispondere al richiamo della loro famiglia, di socializzare e sviluppare capacità

Per questo i suoni prodotti dall’uomo, in particolare da attività come spedizioni marittime, indagini sismiche e costruzioni possono davvero compromettere la vita della biodiversità oceanica, che si ritrova spaesata e persa, sopraffatta da un mondo acustico che non è quello in cui si è orientata fino ad ora.

A fornire le prove di questo ennesimo squilibrio di origine antropica è uno studio, intitolato The soundscape of the Anthropocene ocean pubblicato su Science e condotto dai ricercatori della King Abdullah University, dell’Arabia Saudita.

Nell’analizzare e presentare questo fenomeno, i ricercatori hanno voluto porre l’accento sul fatto che le onde sonore sono in grado di viaggiare per migliaia di miglia lungo le acque dell’oceano e quindi è necessario arginare la problematica quanto più possibile per evitare che possano fare ancora più danni del previsto.

A prova di tutto questo, basta sapere che durante il lockdown l’inquinamento acustico nelle acque del Pianeta si è ridotto di circa il 20% e la conseguenza è stata l’apparizione di alcune specie vicino alle coste e in luoghi in cui non si vedevano da anni. Un fenomeno evidente ma che ci ha messo ben poco a tornare alle stime precedenti. Per questo, secondo gli studiosi, è fondamentale prestare attenzione al fenomeno e, finalmente, abbassare un po’ il volume.