L’Onu verso un trattato per proteggere vaste aree degli oceani del mondo, c’è ottimismo

In tutto il mondo non esiste un accordo comune per la tutela degli Oceani, tesori di biodiversità e fondamentali per la lotta al riscaldamento globale. I risultati della Cop15 di Montreal sono incoraggianti e potrebbero fare da volano a un trattato internazionale.
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Francesco Castagna 20 Febbraio 2023

Iniziano lunedì 20 febbraio 2023, ai tavoli delle Nazioni Unite, le trattative per arrivare a un accordo sulla protezione di vaste aree di oceani.

Trattato per proteggere gli oceani

Dopo 15 anni di tentativi, fatti di colloqui formali e informali, si terranno a New York due settimane di negoziati per proteggere vaste aree acquee del globo.

L'Onu è forte dei successi ottenuti durante la scorsa Cop15 sulla biodiversità. A Montreal infatti era stato stabilito che il 30% del suolo e delle aree marine dovrà diventare area protetta, oltre al riconoscimento dei popoli indigeni, guardiani della natura. Per questo motivo fra i delegati ONU sembra esserci un modesto ottimismo che potrebbe far pensare a una svolta decisiva sul tema.

L'aiuto della Cop15

Montreal aveva portato al "30 entro il 20(30)", un risultato storico per i 195 Paesi delle Nazioni Unite, che ora però si rendono conto che la sfida non è possibile se in questo 30% da preservare non si considera il mare. Se non lo sapevi infatti, oggi solo l'1% di questi habitat (gli oceani) sono protetti e tutelati.

Proteggere gli oceani è fondamentale per l'essere umano, ma  non è un compito facile. Questo perché le zone al di fuori della giurisdizione degli Stati costieri diventano prede degli interessi di pochi Stati o di aziende private. Così facendo, con il passare del tempo, queste aree sono sempre più a rischio e incontrollate.

Inoltre, gli oceani svolgono una funzione essenziale per l'assorbimento della CO2: le acque d'Alto Mare infatti catturano il carbonio in superficie e lo trasferiscono in profondità. In questo modo svolgono un ruolo di riduzione della CO2 in atmosfera. Producono dal 50% all’80% dell’ossigeno del pianeta e ne consumano una gran parte per mantenere in vita gli ecosistemi marini.

Anche se le acque territoriali sono state divise per gli Stati costieri, stabilendo che ogni Paese dovesse gestire i 370 chilometri che si estendono dalle coste, dal punto di vista della tutela ambientale gli oceani e le aree marine sono una cosa sola. "Un solo oceano, e un oceano sano significa un pianeta sano", ha dichiarato all'AFP Nathalie Rey della High Seas Alliance (un trust che comprende più di 40 Ong internazionali).

Lo studio

Un accordo del genere si rende quindi fondamentale per contrastare la crisi climatica in corso. Se i leader internazionali non interverranno, verrebbero meno le due funzioni principali di questi ecosistemi: la produzione di metà dell'ossigeno che respiriamo e la limitazione del riscaldamento globale.

A confermarlo è anche uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature, “Protecting the global ocean for biodiversity, food and climate”, che ha approfondito la reale importanza degli oceani e dell'impatto che può avere la pesca su questi ecosistemi. secondo la ricerca infatti, "La diffusa pratica di questa pesca rilascia nell’oceano centinaia di milioni di tonnellate di carbonio ogni anno. Si tratta di un volume di emissioni simile a quello dell’industria aeronautica globale".

Vengono riportate inoltre alcune scoperte interessanti:

  • La protezione delle aree marine permetterebbe che il pescato globale aumenti fino a oltre 8 milioni di tonnellate metriche
  • gli studiosi pensavano che i fondali fossero il più grande deposito di carbonio del pianeta, tuttavia attualmente è stato trasformato in una fonte di emissioni di carbonio. Con le attività di pesca a strascico il fondale viene disturbato e, se risospeso nell’acqua, si trasforma in anidride carbonica, che può rimanere nell’aria per più di mille anni. Pensa che quest'attività umana, dati alla mano secondo gli studiosi, è paragonabile a quella dell'aviazione di tutto il mondo.

È l'ultima spiaggia, per rimanere in tema, per approvare un accordo sulla tutela delle aree marine. È questo che emerge dai commenti di alcuni rappresentanti delle Ong, come Laura Meller, di Greenpeace Nordic, che ha avvertito che "siamo già ai tempi supplementari".

I nodi da sciogliere

I tavoli che si concluderanno il 3 marzo 2023 vedranno il susseguirsi di diversi temi; sostanzialmente i delegati riconoscono l'importanza di un accordo, ma rimangono divisi sulle modalità di creazione di queste zone rifugio.

Ci sono in ballo una serie di nodi da sciogliere:

  • come valutare l'impatto ambientale di attività come l'estrazione mineraria
  • come dividere gli eventuali profitti derivanti dalla raccolta di sostanze marine appena scoperte