“Non è una sedia a rotelle a fare la persona”: Giulia Terzi, ragazza e atleta paralimpica da 110 e lode

Cinque medaglie conquistate a Tokyo sono il coronamento di un sogno. Giulia Terzi ha trovato nel nuoto, e soprattutto nel suo carattere, il modo migliore per vivere su una sedia a rotelle, senza scoraggiarsi e superando le difficoltà imposte da una patologia debilitante come la scoliosi.
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Gaia Cortese 7 Ottobre 2021

Cinque medaglie olimpiche su cinque gare (due ori, due argenti e un bronzo), un record italiano e un nuovo primato europeo. Alla sua prima partecipazione alle Paralimpiadi di Tokyo, Giulia Terzi, classe 1995, è davvero un atleta da record. Le medaglie vinte sono il coronamento di tanti sacrifici e rinunce, quelle di una ragazza a cui, a soli tre anni, è stata diagnosticata una scoliosi congenita e che, a causa di una complicanza post intervento, oggi è costretta a muoversi su una sedia a rotelle.

Quando hai avuto la diagnosi di una scoliosi congenita?

L’ho avuta a tre anni, ma ricordo poco di quel periodo. Ricordo che lo hanno detto a mia madre durante una visita pediatrica: non era solo un problema di schiena: a causa della patologia, avevo anche difficoltà a respirare bene.

Ho cominciato a fare ginnastica correttiva per tenere sotto controllo la situazione, ma a 12 anni ho dovuto indossare il primo corsetto. Solo che la mia scoliosi non era "a S" come le più diffuse scoliosi idiopatiche giovanili: era qualcosa di particolare che, oltre a darmi una forma non corretta della schiena, mi dava anche problemi alle gambe, oltre al fatto che erano coinvolti anche alcuni nervi.

Per i forti dolori sono stata più volte ricoverata e, all'età di 13 anni, la situazione è peggiorata. Potevo scegliere di indossare un corsetto o il gesso o, in alternativa, sottopormi all'intervento. Ho preferito evitare l’operazione e dopo il corsetto sono passata all’ ingessatura: inizialmente dovevano essere sei mesi, ma sono diventati nove. I miglioramenti in cui speravamo non sono però arrivati.

Come hai vissuto gli anni in cui hai dovuto indossare il corsetto e i mesi in cui sei passata al gesso?

Tutto sommato bene, non ho avuto problemi né con compagni di classe né con altre persone. Ho dovuto però rinunciare a praticare ginnastica artistica: non riuscivo a fare determinati esercizi e movimenti. Questo è stato l’unico motivo per cui ho vissuto male quel periodo. Poi certo, c’era anche mia mamma che faceva il carabiniere nel controllarmi se potevo o no togliere il corsetto…

Fino a che sei stata sottoposta a tre interventi e hai avuto delle complicanze…

Il primo intervento l’ho fatto a 19 anni. Al principio sembrava che fosse andato tutto bene, poi la situazione è peggiorata con dei cedimenti alle vertebre. Nel giro di due anni sono stata sottoposta ad un altro intervento e, dopo un anno, anche al terzo intervento. Oltretutto, non si tratta di interventi definitivi, dovrei farne altri, ma per scelta ho deciso di rinunciarci.

Cosa significa per te la parola "resilienza"?

Per me “resilienza” significa avere la capacità di accettare i cambiamenti e di affrontarli. La vita non è sempre rosa e fiori, è normale che capitino anche cose non belle. La vita può cambiare da un momento all'altro e le attività più semplici, come banalmente guidare un’automobile, possono diventare vere e proprie sfide. L’importante è accettare i cambiamenti e affrontarli in modo positivo.

Come ti ha aiutato lo sport?

Dal 2018 sono su una sedia a rotelle a causa delle complicazioni post intervento. Dopo aver rinunciato alla ginnastica artistica, ho sempre nuotato per fini riabilitativi. Il nuoto era ed è l’unico sport che posso praticare perché non posso alzare pesi. Ho iniziato e basta, senza obiettivi, ma poi avendo sempre praticato sport agonistico, ho iniziato a partecipare ad alcune gare regionali e dopo un anno sono entrata a fare parte della squadra nazionale di nuoto paralimpico per poi partecipare ai Mondiali di Londra del 2019. Entrare in contatto con tante storie e persone diverse, aiuta ad affrontare meglio le difficoltà in cui ci si può trovare.

Le Paralimpiadi di Tokyo sono state un’esperienza unica, indipendentemente dalle medaglie ottenute. È stata la coronazione di un sogno. Entrare in contatto con tante culture e realtà diverse ti fa maturare una maggiore consapevolezza di te stessa. Dal punto di vista dell'impresa sportiva, per l’effetto che mi hanno fatto, ricorderò sempre le Paralimpiadi: è come trovarsi in una realtà completamente diversa, che riunisce tutti gli sport e tutte le nazioni. Una cosa così può capitare solo alle Olimpiadi e alle Paralimpiadi.

Cosa diresti a chi deve affrontare difficoltà per disabilità o problemi di salute?

Direi di tenere duro perché tante volte le terapie sono complicate e difficili e piene di dolori che mai nessuno vorrebbe affrontare. Sono tuttavia difficoltà che formano la persona e che la rendono più forte e determinata a raggiungere i propri obiettivi. Ci saranno sempre momenti difficili, momenti in cui si vorrebbe lasciar perdere la terapia, ma sono proprio questi i momenti da cui si ottiene di più.

La serenità si può raggiungere con l'aiuto delle persone che ti vogliono bene. Può anche capitare di sentire giudizi o commenti poco gradevoli e di pensare di non volersi "mostrare", ma non è un corsetto, non è una sedia a rotelle a fare la persona, è il modo con cui si affronta la vita, sempre con il sorriso. Le persone che ti vogliono veramente bene ti rimangono comunque sempre vicino.

Quali obiettivi hai adesso?

A livello sportivo ho in programma di partecipare al Mondiale in Portogallo a giugno 2022. A livello di studio, sto iniziando a seguire un master (Giulia ha già conseguito due lauree) e poi lavorerò nell’azienda di famiglia.

Hai un atleta da cui prendi ispirazione?

Una delle ginnaste che più ammiro è Vanessa Ferrari (argento nel corpo libero a Tokyo 2020, ndr), perché ha saputo reagire a tantissimi infortuni e, quando la sua carriera sembrava terminata, ha tirato fuori una forza incredibile.