Per i media italiani la crisi climatica è (quasi) come se non ci fosse

Ne parlano poco e spesso senza sottolineare il legame tra eventi climatici estremi e riscaldamento globale, come emerge da un report di Greenpeace. Le inserzioni delle compagnie fossili, invece, continuano a essere diffuse senza problemi.
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Gianluca Cedolin 24 Maggio 2023

I giornali e le reti televisive italiane parlano ancora troppo poco, e spesso male, di crisi climatica, come emerge dal report pubblicato di recente da Greenpeace con l'Osservatorio di Pavia. Ti avevamo già raccontato i risultati di una stesura parziale di questo rapporto, relativa solo ai primi otto mesi del 2022, mentre quello presentato nei giorni scorsi prende in considerazione tutto l'anno, e arriva a conclusioni se possibile ancora peggiori, perché finito il picco dell'emergenza siccità di giugno e luglio scorsi, la centralità dell'emergenza climatica nei media è ulteriormente scesa, con un leggero rialzo solamente per i giorni della Cop sul clima di Sharm el-Sheikh.

«L’attenzione dei principali media italiani nei confronti della crisi climatica è scarsa e sporadica – dice senza mezzi termini Greenpeace -, trascura il legame tra il riscaldamento del pianeta e gli eventi estremi come alluvioni e siccità che colpiscono sempre più duramente anche l’Italia, e omette le responsabilità delle aziende del gas e del petrolio nella più grave emergenza ambientale della nostra epoca».

I media hanno, o meglio avrebbero, il fondamentale compito di raccontare le cause e gli effetti di questa grave emergenza, informare le persone sui suoi pericoli e sulle soluzioni per la mitigazione e l'adattamento. Eppure in Italia i principali quotidiani, telegiornali e programmi di approfondimento continuano a non dare il giusto peso a questi temi. Tra i giornali, solo L'Avvenire raggiunge la sufficienza, mentre il peggiore dei cinque quotidiani esaminati è Il Sole 24 Ore, che paga soprattutto lo stretto rapporto con le aziende inquinanti.

In media nel 2022 i principali quotidiani hanno parlato di crisi climatica in appena due articoli al giorno, con picchi nei momenti di massima emergenza o di tragedie climatiche (la siccità estiva, il crollo sulla Marmolada, l'alluvione di Ischia). E anche in questi casi, per altro, il legame tra cambiamenti climatici ed eventi estremi spesso non viene riconosciuto, o viene ridimensionato.

Un'altra cosa molto negativa è che i soggetti che hanno più voce nel racconto mediatico della crisi sono i rappresentanti dell'economia e della finanza: 16% dei casi, più degli esperti e delle associazioni ambientaliste (13% ciascuno) e soprattutto dei politici e le istituzioni nazionali, che si fermano all'11% confermando il sostanziale disinteresse dei nostri politici per questi temi. Le inserzioni delle aziende più climalteranti, nel frattempo, continuano a occupare stabilmente i giornali (due pubblicità al giorno di media).

La situazione non è molto più rosea nei telegiornali di prima serata, dove la crisi climatica riguarda esplicitamente solo il 2% dei servizi. I migliori sono TG1 e Studio Aperto, mentre all'ultimo posto si conferma il TG LA7 di Mentana. È in generale tutta la rete a non dare troppa rilevanza al problema, perché L'Aria che tira e Otto e mezzo sono in fondo alla classifica tra i programmi di approfondimento per frequenza di puntate dedicate alla crisi climatica. I migliori, in questo senso, sono Unomattina (per puntate totali) e Cartabianca (in percentuale).

La crisi climatica è stata trattata nel 18% delle puntate monitorate nei programmi di approfondimento, non benissimo, ma sicuramente meglio dell'informazione quotidiana. In ogni caso, conclude Greenpeace nella presentazione del report, «i dati dimostrano senza equivoci che, nonostante l’intensificarsi degli eventi estremi sia ormai realtà anche in Italia, la crisi climatica non viene raccontata per quello che è: un’emergenza che minaccia la vita sul pianeta e la sicurezza delle persone».