Plastica monouso, gli ambientalisti criticano il governo italiano: “Tradito lo spirito della direttiva europea”

Un gruppo di ong ha presentato un reclamo ufficiale alle autorità europee per denunciare il fatto che lo schema di recepimento italiano viola le basi della direttiva Sup ed è passibile di infrazione. “Bisogna superare la logica del monouso”, sottolinea Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia.
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Federico Turrisi 15 Luglio 2021

Sulla direttiva Sup (Single-Use Plastics) c'è qualcosa che non torna. Lo scorso 3 luglio la direttiva europea sulla plastica monouso sarebbe dovuta entrare in vigore, ma l'Italia continua a prendere tempo e non ha ancora emanato il decreto legislativo di attuazione della direttiva stessa. Sappiamo però che la legge di delegazione europea approvata dal Parlamento lo scorso aprile prevede una deroga che sta facendo molto discutere: per quei prodotti in plastica monouso banditi dalla direttiva, il nostro Paese vuole ammettere le relative alternative in plastica biodegradabile e compostabile.

Un'impostazione che va contro le indicazioni fornite dalla Commissione Europea e che non va giù alle associazioni ambientaliste. Ecco perché Greenpeace, ClienthEarth, ECOS e Rethink Plastic Alliance hanno denunciato ufficialmente l'Italia alle autorità europee. "La legge italiana di recepimento viola la direttiva", spiega Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia. "Mentre il nostro sistema industriale rimane ancorato a logiche che appartengono al passato, rischiamo di andare incontro a una procedura d’infrazione".

Nel dettaglio, che cosa non funziona dello schema di recepimento italiano?

Di fatto ravvediamo due problemi. Primo, questa direttiva aveva una scadenza ben precisa, nota da oltre due anni, e cioè lo scorso 3 luglio. L'Italia non l'ha ancora recepita. In secondo luogo, nella legge di delegazione europea approvata nei mesi scorsi dal Parlamento si consente la sostituzione degli articoli in plastica monouso banditi, come piatti e posate, con degli analoghi in plastica biodegradabile e compostabile (in assenza di alternative riutilizzabili), quando le linee guida della Commissione Europea dicono chiaramente che le due tipologie di plastica sono da considerare sullo stesso piano: oggi non abbiamo dati scientifici abbastanza robusti che ci consentano di escludere danni all'ambiente qualora un oggetto in plastica biodegradabile e compostabile finisca in mare.

Che cosa rischia l'Italia?

L'atto parlamentare c'è, ma manca ancora il decreto legislativo definitivo, di cui si sta occupando il ministero della transizione ecologica. Se il governo dovesse seguire l'impostazione della legge delega, sarà impossibile evitare una procedura di infrazione. Da una parte rischiamo di ancorare l'industria italiana su alternative che l'Europa non considera tali, dall'altra rischiamo di essere sanzionati con una multa salata, che sarà a carico dell'intera collettività.

Il ministro Cingolani ha affermato che è in corso una trattativa con Bruxelles.

Sulla direttiva, che è stata messa nero su bianco ed è stata approvata più di due anni fa, non si può negoziare. Oggi si stanno definendo i criteri di calcolo per quanto riguarda quei prodotti che saranno sottoposti a riduzione del consumo. Su tutti, i bicchieri. Dovremo diminuirne l'immissione al consumo entro il 2026. Oggi il dibattito riguarda quindi la definizione di bicchiere di plastica: quello di carta con un sottile rivestimento di plastica lo consideriamo 1 o 0,1 nel conteggio? Non si sta mettendo in discussione la direttiva.

Possiamo dire che, con questo schema di recepimento da parte dell'Italia, ancora una volta le ragioni dell'economia prevalgono su quelle della tutela dell'ambiente?

Posso comprendere le ragioni dell'industria italiana. Negli ultimi due anni il governo italiano ha agevolato la sostituzione degli articoli in plastica convenzionale con quelli in plastica biodegradabile e compostabile. E oggi i nodi di queste scelte politiche errate vengono al pettine. Gli altri Paesi europei stanno andando in un'altra direzione. Poche settimane fa la ministra dell'ambiente tedesca Svenja Schulze ha affermato che il riutilizzo deve diventare il nuovo standard al posto del monouso. È questo l'obiettivo prioritario della direttiva europea, non sostituire un monouso con un altro. Basterebbe osservare come stanno interpretando la normativa europea i nostri vicini per rendersi conto di quanto sia anacronistico il dibattito nel nostro Paese.