Quanto è sicura la carne “sintetica”? Per la Fao e l’Oms “i rischi sono gli stessi delle produzioni alimentari tradizionali”

Per valutarne la sicurezza, le due agenzie internazionali hanno analizzato la letteratura scientifica esistente sulla carne coltivata nei bioreattori concludendo che i rischi esistono ma hanno un corrispettivo nelle produzioni alimentari più tradizionali. Si tratterebbe insomma di “pericoli” già noti perché intrinseci di altre produzione più convenzionali e contro cui abbiamo già misure di contrasto.
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Kevin Ben Alì Zinati 17 Aprile 2023
* ultima modifica il 17/04/2023

Vengono prelevate delle cellule staminali muscolari da un animale e una volta inserite in un bioreattore vengono nutrite con delle proteine allo scopo di far crescere il tessuto.

Come viene prodotta la "carne sintetica" – che, come ti abbiamo spiegato, è bene definire “coltivata” per evitare confusione e pregiudizi – ormai lo sai: ciò che resta da capire è la sua sicurezza.

È vero che si tratta di alimenti comunque a base animale, sebbene “coltivate” in laboratorio, ma che rischi portano con sé? Sono più o meno sicuri di quelli “normali”?

Si tratta di domande e dubbi legittimi, specialmente oggi che la produzione di alimenti su base cellulare continua a espandersi diventando sempre più concreta e reale.

Domande e dubbi – e anche polemiche, sorte all’indomani dello stop del Governo alla produzione e alla vendita di alimenti sintetici – cui hanno risposto la Fao e l’Organizzazione Mondiale della Sanità: i rischi esistono, ma niente che già non conoscessimo.

Tra rischi e potenzialità

Le due agenzie internazionali hanno revisionato la letteratura scientifica, analizzando i principi dei processi di produzione alimentare basati su cellule e il panorama globale dei quadri normativi per realizzare una prima sorta di bussola in grado di orientare idee, giudizi e pensieri su quella che a tutti gli effetti potrebbe essere un alleato importante.

Sfruttare un sistema di produzione alimentare in grado di ridurre il consumo di suolo, acqua ed energia, di emissioni di gas serra e la sofferenza animale è una prospettiva eternamente interessante.

Per questo con la carne coltivata, così come per tanti altri temi polarizzanti e divisi (pensa al nucleare), è strettamente necessaria un’informazione sana e pura, così come un contesto salubre capace di accogliere un dibattito libero e aperto.

La contaminazione

I tecnici internazionali hanno identificato una serie di rischi specifici legati alla carne coltivata e, più precisamente, alle quattro diverse fasi della sua produzione, ovvero l’estrazione delle cellule di partenza, la crescita e la produzione delle cellule nei bioreattori, la raccolta e infine la lavorazione, che porta all’alimento in sé.

La loro conclusione, descritta in un un report appena pubblicato, è che i rischi i rischi ci sono ma hanno un corrispettivo nelle produzioni alimentari più tradizionali, e quindi li conosciamo già. Si tratta di "pericoli" già noti perché intrinseci di altre produzione più convenzionali.

Stiamo parlando, più nello specifico, del rischio di contaminazione con virus, batteri, parassiti ma anche prioni, tossine o sostanze portate dagli operatori stessi; contaminazioni con farmaci veterinari, come gli antibiotici o contaminanti chimici, microplastiche o metalli pesanti.

Rischi contro cui abbiamo già, insomma, tutta una serie di norme e misure efficaci, dalle attività di test estesi alle rigide procedure di controllo e igiene.

“Potrebbe essere necessario – si legge nel documento – porre l'attenzione sui materiali specifici, gli input, gli ingredienti (compresi i potenziali allergeni) e le attrezzature che sono più esclusivi per la produzione alimentare basata su cellule coltivate”.

I tumori

Gli esperti della Fao e dell’Oms si sono concentrati parecchio anche sul presunto rischio tumorale. Sulla possibilità, cioè, che queste cellule prelevate da animali e cresciute nei bioreattori sopravvivano a tutti i processi di produzione finendo, una volta ingerite, per formare masse cancerose.

Perché ciò accada, hanno spiegato, dovrebbero verificarsi una serie di eventi tra cui:

  • l’effettiva sopravvivenza delle cellule per un lungo periodo dopo essere state rimosse dall'ambiente del bioreattore, quello che fornisce loro un apporto costante di nutrienti e ossigeno
  • l’effettiva sopravvivenza anche a condizioni avverse durante una serie di passaggi estremamente impattanti come la lavorazione, la manipolazione, lo stoccaggio a temperature fredde o di congelamento e la preparazione da parte del consumatore.
  • l’effettiva sopravvivenza alla digestione gastrointestinale e l’ingresso nel flusso sanguigno, tutto questo eludendo lo sguardo del sistema immunitario.

“La probabilità di uno solo di questi eventi è estremamente bassa e il loro verificarsi non è coerente con le attuali conoscenze scientifiche. Le cellule animali isolate, a differenza dei singoli batteri o delle cellule di lievito – hanno spiegato gli esperti della Fao – non hanno adattamenti che le proteggano dall'ambiente esterno o che permettano loro di sopravvivere senza il supporto dell’organismo”.

studio tumore colon e nitriti

In più, la capacità delle cellule di replicarsi nell'ambiente del bioreattore non conferisce una maggiore capacità di sopravvivenza né trasmette capacità utili per propagarsi nel sangue e sfuggire all’azione immunitaria.

Altri (presunti) pericoli

Un’altro capitolo del report è dedicato all’idea che il DNA di queste cellule animali presenti negli alimenti possa ricombinarsi con quello del microbioma umano, provocando effetti negativi su  chi li consuma.

Anche in questo caso, gli esperti internazionali ribadiscono che perché tutto questo abbia possibilità di accadere, dovrebbero verificarsi una serie di eventi estremamente improbabili.

Stesso discorso per la potenziale contaminazione legata alla presenza dal microrganismo Mycoplasma, evento relativamente comune negli ambienti di ricerca e quindi possibile nelle strutture di coltura cellulare ma considerato praticamente inverosimile.

Fonte | Fao

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