Si alza l’asticella dell’età: prima dei 75 anni non ci si può considerare “anziani”

È la stessa Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG) a sostenerlo: prima dei 75 anni non ci si può considerare anziani. Un motivo in più per mano lasciarsi andare, coltivare i propri interessi e le relazioni sociali.
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Gaia Cortese 23 Febbraio 2023

Mai considerarsi anziani prima dei 75 anni. A suggerirlo è la stessa Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG) che, in un’ottica più consona ai nostri tempi, propone questa età come inizio ufficiale della vecchiaia, considerando che le persone tra i 65 e i 74 anni di età, nei Paesi ad alto reddito, siano ancora persone in buona salute e con una certa disponibilità di risorse.

D’altronde, la scelta di una soglia di anzianità fissata a 65 anni si deve al cancelliere tedesco Otto Von Bismarck che all’epoca fu il primo ad occuparsi di trattamenti previdenziali al termine della vita lavorativa. Sono però passati due secoli dal concetto di pensionamento introdotto dallo statista tedesco e le aspettative di vita sono cambiate: un’ampia fetta di popolazione tra i 60 e i 75 anni di età è indubbiamente in buona forma fisica e non soffre di particolari patologie.

"Oggi alziamo l'asticella dell'età a una soglia adattata alle attuali aspettative di vita nei Paesi con sviluppo avanzato – ha dichiarato all'Ansa Niccolò Marchionni, professore ordinario dell'Università di Firenze e direttore del dipartimento cardiovascolare dell'Ospedale Careggi -. I dati demografici ci dicono che in Italia l'aspettativa di vita è aumentata di circa 20 anni rispetto alla prima decade del 1900. Non solo, larga parte della popolazione tra i 60 e i 75 anni è in ottima forma e priva di malattie per l'effetto ritardato dello sviluppo di malattie e dell'età di morte. Del resto la realtà è sotto gli occhi di tutti  una persona che ha 65 anni ai giorni nostri non si riesce proprio più a percepirla come anziana".

Come dichiara la stessa SIGG, secondo un'indagine presentata alla London School of Economics condotta intervistando oltre dodicimila over 65 in diversi Paesi, due ultrasessantacinquenni italiani su tre dichiarano di non sentirsi affatto "anziani", mentre quattro su dieci pensano che la vecchiaia inizi davvero solo dopo gli ottant'anni.

Secondo le stime dell’Ocse, entro il 2050 l’Italia sarà il terzo paese più anziano del pianeta, rispettivamente dopo Giappone e Spagna.

Tutto sommato, il quadro presentato dall'indagine è positivo: l'età non conta, l'importante è come ci si sente. Per continuare a stare bene, infatti, non bisogna lasciarsi andare. È giusto accettare i propri limiti, ma è essenziale mantenersi attivi sia mentalmente che fisicamente, continuare a coltivare i propri interessi e mantenere vive le relazioni sociali.

Il problema è che spesso prende il sopravvento il cosiddetto ageismo, rivolto a se stessi, una forma di rassegnazione di fronte all'età che avanza. Non è raro, infatti, che molte persone in età avanzata inizino a pensare che non valga troppo la pena di prendersi cura di sé, e questo accade anche nell'ambito della salute e della prevenzione, che andrebbe invece fatta ad ogni età.

Non solo. In età avanzata giocano anche un ruolo fondamentale le relazioni sociali. Poter contare su una rete di conoscenze e amicizie consente di  mantenere le funzioni cognitive e una buona qualità di vita. Diversamente, il rischio è quello di cadere in uno stato di aloneless, ossia di isolamento fisico che spesso colpisce più gli anziani autosufficienti che quelli seguiti da caregiver o personale sanitario.