Trasformare carciofi o piume di pollo in bioplastica, la sfida di Giovanni Perotto

All’Iit di Genova Giovanni studia soluzioni per realizzare materiali simili alla plastica ma biodegradabili, utilizzando scarti vegetali e proteine come la cheratina, contenuta anche nelle piume del pollame. Ricerche che richiedono anni di lavoro e svariate competenze. “La vera ricchezza è poter lavorare con persone provenienti da tutto il mondo e con background molto diversi”
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Rubrica a cura di Federico Turrisi
13 Luglio 2019

Leggera e allo stesso tempo resistente, ma soprattutto economica. La plastica per molto tempo è stata considerata un autentico "materiale dei miracoli", che ha cambiato in meglio la vita delle persone. C'è un problema: la plastica impiega anche secoli per biodegradarsi e si sta rivelando una minaccia per il pianeta. Sicuramente hai in mente le immagini delle isole di rifiuti che si formano negli oceani oppure le immagini di cetacei morti con lo stomaco pieno di plastica. Raccoglierla, separare i vari polimeri e riciclarla è un processo complicato e costoso.

"Buona parte della plastica che troviamo dispersa nell’ambiente è plastica da imballaggio, che ha dei tempi di utilizzo molto brevi. Il materiale con cui è stato realizzato, però, può durare 500 anni. Concettualmente, tutto ciò è insensato."

A parlare è Giovanni Perotto, 35 anni, ricercatore nel gruppo Smart Materials, dell'Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) di Genova. Il settore su cui sta concentrando i suoi studi e le sue ricerche sono i biomateriali. Il suo obiettivo e quello dei suoi colleghi dell'Iit è trovare un materiale che abbia le stesse proprietà della plastica ma che sia anche biodegradabile. Come? Sfruttando uno dei principi cardine dell'economia circolare, ossia trasformando degli scarti in una risorsa.

Giovanni Perotto

"Le ricerche sulle bioplastiche sono partite già negli anni Novanta. La novità che portiamo noi è questa: non usiamo l'approccio del chimico – prendo dei monomeri e ci faccio dei polimeri -, ma andiamo a ritrovare in natura gli elementi che ci servono. Ci sono parecchie macromolecole interessanti da questo punto di vista: la più famosa di tutte è la cellulosa che è uno dei polisaccaridi più diffusi nei vegetali. Così dalla collaborazione con il mercato ortofrutticolo di Bolzaneto, qui a Genova, è nato un bellissimo progetto. Con i loro scarti di frutta e verdura (pomodori, carciofi, fave e quant'altro), rimasti invenduti e non più commercializzabili, abbiamo ricavato materiale per la realizzazione di imballaggi."

Senza addentrarci in dettagli tecnici, il risultato è che si ottiene un materiale biodegradabile, quindi in grado di tornare nel ciclo naturale, non solo proveniente da risorse rinnovabili (di vegetali in natura ce ne sono e ce ne saranno sempre a disposizione, mentre la plastica, come saprai, è prodotta da combustibili fossili), ma anche da scarti che altrimenti verrebbero buttati via.

"I vantaggi sono due. Primo, non costa niente. Anzi, il costo di smaltimento dello scarto si trasforma potenzialmente in una fonte di ricavi. Secondo, si risolve il dilemma etico che hanno le bioplastiche attualmente sul mercato, ossia il Pla e il Mater-Bi. Queste derivano dal mais e mi costringono a scegliere se destinare un campo di mais ad uso alimentare oppure realizzarci della bioplastica. La logica invece che vogliamo che si imponga è: quel campo di mais prima me lo mangio e con lo scarto ci faccio la bioplastica."

Oltre al riutilizzo degli scarti vegetali, in cantiere all'Iit c'è un altro progetto, finanziato dalla Fondazione Cariplo, pronto a partire dopo l'estate. Il team in cui lavora Giovanni ha infatti messo gli occhi su un altro interessante materiale presente in natura, precisamente su una proteina. Stiamo parlando della cheratina.

"Abbiamo cominciato a contattare aziende che ci hanno dato quello che è rimasto come scarto di cheratina, proveniente sia dalla lana delle pecore sia dalle piume dei polli. Adesso abbiamo tre anni davanti a noi per fare quello che abbiamo fatto con gli scarti vegetali, quindi inventarci dei modi per trasformare questo elemento in bioplastica."

Ma che cosa promette in più la bioplastica realizzata con la cheratina rispetto a quella ricavata dallo scarto vegetale?

"Pensa a un sacchetto di carta quando si bagna e pensa ai tuoi capelli mentre fai la doccia. Il primo a contatto con l'acqua perde tutte le sue proprietà meccaniche e si sgretola facilmente; i tuoi capelli invece, che sono fatti di cheratina, non si rompono. Ecco noi cerchiamo un materiale che abbia questa capacità di resistenza all’acqua e che sia sempre al 100 per cento biodegradabile. Rispetto ai vegetali, la cheratina potrebbe dare risultati ancora migliori."

Studi di questo tipo sulle bioplastiche richiedono tempo e fatica e coinvolgono diverse aree del sapere umano: dall'economia alla biologia, dalla chimica all'ingegneria. Ma soprattutto non devi dimenticare che si tratta di un lavoro di squadra.

"Trovo davvero stimolante interagire anche con designer che sono estremamente creativi e che vedono lo stesso problema che vedo io con un occhio diverso, così come diversamente lo vedono l'economista o il biologo. In più siamo un team internazionale. C'è una ragazza siciliana, un ragazzo turco, uno pakistano, ci sono io che sono veneto; la nostra coordinatrice, Athanassia Athanassiou, è greca. Lavorare bene con persone provenienti da tutto il mondo e con background così diversi è una vera e propria ricchezza, soprattutto dal punto di vista umano".

L'unione fa la forza, è davvero il caso di dirlo. La ricerca tecnologica è uno dei migliori alleati su cui possiamo contare per aiutare l'ambiente: l'amore per il nostro pianeta è questione di chimica, in tutti i sensi.

Fonte foto| Iit

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Laureato in lettere e giornalista professionista, sono nato e cresciuto a Milano. Fin da bambino ad accompagnarmi c’è (quasi) sempre stato un altro…