Rio Negro Amazzonia

Uno sguardo “senza filtri” sul presente dell’Amazzonia: il racconto del sociologo Turina in diretta da Amazonas

Isacco Turina, ricercatore in sociologia dell’Università di Bologna, è da qualche mese nello stato brasiliano di Amazonas per condurre i suoi studi. Il suo è un punto di vista interno a ciò che sta succedendo in Amazzonia, messa in ginocchio dalla crisi climatica, la deforestazione, la siccità estrema e lo sfruttamento delle risorse locali.
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Roberto Russo 19 Ottobre 2023

Nel cuore dell'Amazzonia, Isacco Turina, ricercatore in Sociologia del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell'Università di Bologna, sta conducendo uno studio sul coinvolgimento della Chiesa Cattolica brasiliana nella questione ecologica. Dopo mesi di esperienza diretta nella regione, il suo punto di vista è, senza dubbio, prezioso per guardare, senza filtri, alle sfide che l'Amazzonia affronta.

Turina mette in luce la complessità della situazione, con problemi che vanno dalla deforestazione all'inquinamento da mercurio, dalla crisi idrica all'influenza del narcotraffico. Tuttavia, la sua analisi va oltre la superficie, sottolineando l'inefficienza delle istituzioni locali e nazionali dovuta alla corruzione e alla collusione.

A Ohga ha raccontato come la situazione drammatica in cui sta vivendo la popolazione amazzonica, soprattutto a causa dello stato attuale dei fiumi, centrali per la loro vita, e mai ridotti a livelli di siccità così critici.

Turina offre anche una prospettiva sulle azioni necessarie per affrontare questa crisi ecologica e sociale. Sottolinea l'importanza di sostenere i movimenti indigeni e di fare pressione per ottenere politiche ambientali coraggiose a livello globale.

Rio Negro Amazzonia

Intervista a Isacco Turina

Ti trovi in Amazzonia da alcuni mesi per motivi di studio: potresti fornirci una fotografia della situazione? È peggiorata nel tempo?

Premetto che la mia esperienza diretta è limitata allo stato brasiliano di Amazonas. Detto questo, non saprei dire se la situazione sia peggiorata nel tempo. Di certo non è buona. I problemi sono tanti e di natura diversa. Questo fa sì che non vi sia una singola istituzione, o campagna, o strategia che possa affrontarli tutti. Il più noto è quello della deforestazione per l’apertura di pascoli o per il commercio di legname.

Vi è poi la ricerca dell’oro, che provoca inquinamento da mercurio. E l’estrazione, sia pure legale, di altri minerali, con progetti governativi in corso per il petrolio e il potassio. C’è il narcotraffico, che non danneggia direttamente l’ecosistema ma minaccia le popolazioni locali. Senza dimenticare il riscaldamento globale che, congiuntamente con altri fattori, ha portato quest’anno a un abbassamento drammatico del livello dei fiumi.

La questione della salute delle popolazioni indigene è un altro punto critico e talvolta tragico: ad esempio, negli scorsi anni si è consumato un vero e proprio genocidio contro il popolo Yanomami. La prostituzione minorile e il lavoro “analogo alla schiavitù” (secondo i termini della legge brasiliana), sempre ai danni di gruppi indigeni, sono altre piaghe ben conosciute in questa parte di mondo. Esistono poi altre minacce, come la pirateria, il bracconaggio e la pesca di frodo.

La politica locale, le forze dell’ordine e l’esercito, che potrebbero fare molto per mitigare alcuni di questi mali, sono spesso inefficienti a causa di corruzione e collusione. Quanto alla politica nazionale, sebbene il governo di Lula sia nominalmente più favorevole alla conservazione dell’ambiente rispetto al precedente governo Bolsonaro, di fatto rimane legato a una visione novecentesca di sviluppo economico che non tiene conto della crisi ecologica, oltre a non contrapporsi in modo adeguato agli interessi del Parlamento, di cui molti membri sono anche imprenditori del settore agropecuario. È difficile, guardando dall’Europa, comprendere fino a che punto il capitalismo brasiliano sia legato al settore primario e specialmente al latifondismo. L’industria è in declino, mentre l’agribusiness è in crescita e viene presentato all’opinione pubblica come il futuro dell’economia nazionale.

Tutto questo per dire che ancora in molti vedono anche adesso l’Amazzonia come una terra di conquista che produrrà immensi profitti. Ma alla prova dei fatti, mezzo secolo di questo programma non ha portato i risultati promessi. Al contrario ha sconvolto le forme di vita tradizionali e aumentato i conflitti sul territorio.

L’Amazzonia è oggi una terra in larga parte dominata dalla violenza. È anche una terra di migrazioni, in particolare in questi anni dal Venezuela al Brasile.

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Da noi spesso arrivano notizie sullo stato di salute dell’Amazzonia: a volte ci soffermiamo a leggerle, a volte scivolano via. Tu cosa vedi in prima persona?

In Amazzonia vivono milioni di persone, la maggior parte delle quali in contesto urbano. Manaus è la principale metropoli, con due milioni e mezzo di abitanti. È un distretto industriale e commerciale dove la coscienza ecologica è molto bassa. Nei giorni scorsi la città era invasa dal fumo proveniente da incendi nei dintorni, per lo più di natura dolosa. Questo in un periodo di siccità eccezionale e con temperature soffocanti. La popolazione e i media ne parlano, ma a tutt’oggi questo non ha portato a risposte concrete soddisfacenti.

Nei piccoli insediamenti, lontano dalla città, alcune organizzazioni, sia civili che religiose, tentano di diffondere una coscienza ecologista e sostengono le lotte in difesa dell’ambiente. Ma i risultati sono parziali, anche a causa di divisioni interne. Molti infatti continuano a credere che lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali porterà benessere. La povertà generalizzata non aiuta. La propaganda politica nemmeno. L’elemento forse più innovativo negli ultimi anni è la formazione di un movimento indigeno che ha ottenuto risultati significativi a livello nazionale, come l’elezione di tre deputate al congresso federale. Chi ha consapevolezza dei problemi ecologici vede oggi nei cosiddetti popoli tradizionali la migliore garanzia a salvaguardia dell’ambiente. Sostenere la causa indigena appare quindi come la strategia più lungimirante per raggiungere anche obiettivi di preservazione della natura.

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Come si ripercuote la crisi dell’Amazzonia sulle persone? Per noi forse è difficile immaginare cosa accade quando viene a mancare qualcosa di così fondamentale come l’acqua.

Quando si parla di Amazzonia tutti pensiamo alla foresta. Ma per gran parte degli abitanti la realtà quotidiana è il fiume. Da sempre i grandi fiumi e i piccoli igarapés sono le principali vie di comunicazione. La maggior parte delle famiglie possiede un’imbarcazione, non l’automobile. Qualche giorno fa un conoscente mi nominava una località dove stava per recarsi. Gli ho chiesto se si trovasse a est o a ovest di Manaus. Non sapeva rispondermi. Mi ha guardato perplesso e mi ha detto: “Noi non parliamo così. Noi diciamo ‘risalendo il fiume’ o ‘scendendo il fiume’".

Malgrado l’Amazzonia sia il principale bacino di acqua dolce del mondo, l’approvvigionamento di acqua potabile è spesso precario, a causa ad esempio di un’infrastruttura idrica inadeguata, come accade spesso in molti quartieri di Manaus. In altri casi il problema è l'inquinamento: in vari villaggi indigeni le fonti d'acqua sono contaminate, vuoi dal mercurio utilizzato nella lavorazione dell’oro, vuoi dagli escrementi del bestiame allevato illegalmente nelle vicinanze.

Poi ci sono le crisi acute, come in questo momento in cui la secca annuale è particolarmente intensa a causa del riscaldamento globale in congiunzione con il fenomeno periodico di El Niño. Il mese scorso ho visitato un villaggio venezuelano sulle sponde del Rio Negro (o Guainìa) dove mancava l’acqua corrente nelle case. Le persone facevano il bagno nel fiume e per bere attingevano ai pozzi, che tuttavia si stavano esaurendo. Alcuni avevano cominciato a scavare per raggiungere falde freatiche più profonde.

Il Rio Negro, uno dei principali corsi d’acqua dell’Amazzonia occidentale, ha raggiunto in questi giorni il livello più basso degli ultimi 120 anni, da quando cioè disponiamo di dati affidabili. La navigazione è difficile e in certi tratti impossibile, il che complica l’accesso a beni e servizi essenziali e aumenta il rischio di incidenti. Le comunità che vivono su fiumi non navigabili si trovano di fatto isolate e l’economia, basata sul trasporto fluviale, è paralizzata. È in corso una campagna nazionale della Caritas per aiutare queste famiglie, oltre alle promesse del governo sull'invio di fondi e personale dell’esercito.

Intanto, gli incendi si fanno più frequenti e pericolosi. La moria di pesci e delfini si aggiunge all'agonia delle comunitià umane. La sopravvivenza dell’Amazzonia come ecosistema non meno che come società dipende interamente dall’acqua. La sua scarsità disarticola la vita in tutte le sue forme.

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Le persone dei luoghi in cui stai compiendo i tuoi studi hanno piena coscienza di quanto sta accadendo? Cosa fanno? E noi, così lontani, cosa possiamo fare secondo te?

I media ne parlano quotidianamente, ma trasformare questa consapevolezza in una pressione efficace e organizzata, capace di incidere sulle decisioni politiche è un percorso lungo e accidentato. Vi si oppongono in primo luogo gli interessi economici dei grandi sfruttatori di risorse, ben rappresentati nei parlamenti o nei consigli comunali.

La violenza è all’ordine del giorno. Nel 2022 in Brasile sono stati assassinati 34 attivisti per la causa ecologica (in ambito cattolico si parla di veri e propri “martiri della foresta”). Numerosi altri sono stati bersaglio di attentati.

L’intimidazione, le enormi disuguaglianze di risorse, la corruzione e l’inefficienza delle istituzioni sono ostacoli gravi all’azione, sebbene si vedano anche progetti coraggiosi e innovativi di sviluppo sostenibile, soprattutto a livello locale. Per quanto riguarda la politica nazionale, la questione della demarcazione delle terre indigene è fondamentale. Una terra demarcata, per quanto non sia sempre al riparo da attività illecite, è comunque meglio tutelata. Non è per caso che negli ultimi mesi gli scontri fra interessi del settore agropecuario e movimento indigeno sono stati molto intensi, come anche la stampa internazionale ha segnalato.

Quello che è importante sottolineare per un pubblico europeo è che la questione ecologica è indissolubilmente legata a quella sociale. Le due sono inseparabili. Da circa 12.000 anni l’Amazzonia è abitata e l’attività umana ha contribuito a darle l’aspetto che conosciamo oggi, come varie ricerche archeologiche stanno mostrando con sempre maggior chiarezza. Non si può pensare alla natura senza tenere conto degli insediamenti umani. Aiutarli a conservare un modo di vita sostenibile è la maniera migliore per aiutare anche l’ecosistema.

Chi vive altrove, invece, può contribuire in due modi: indirettamente, facendo pressione in favore di politiche ambientali coraggiose e coerenti nei propri paesi. O direttamente, con donazioni ad associazioni che svolgono un lavoro serio di accompagnamento e sostegno alle comunità tradizionali.

Foto: il Rio Negro in Amazzonia – Isacco Turina