Bitcoin, la faccia sporca della moneta virtuale

La più famosa tra le criptovalute è anche la più inquinante: in un anno l’attività di mining dei bitcoin consuma lo stesso quantitativo di energia elettrica dell’intera Argentina. Il punto è che, nei Paesi (come la Cina) dove si trovano i computer con grande potenza di calcolo per l’estrazione, i combustibili fossili fanno ancora la parte del leone all’interno del mix energetico.
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Rubrica a cura di Federico Turrisi
9 Luglio 2021

Lo scorso 24 marzo in un tweet Elon Musk, il ceo di Tesla, annunciava che per acquistare una delle sue auto elettriche si accettavano anche transazioni in bitcoin, la più utilizzata delle criptovalute attualmente in circolazione. A maggio è arrivata poi la retromarcia, e sempre con un tweet Musk ha sospeso i pagamenti in bitcoin per l'acquisto di auto Tesla, facendo tra l'altro crollare il valore della criptovaluta. Il motivo? Semplice, i bitcoin inquinano. E anche parecchio. Più di recente, lo stesso Musk ha ribadito che solo quando ci sarà la conferma di un utilizzo ragionevole (del 50%) di forme di energia pulita da parte dei miners – i soggetti impegnati nell'attività di mining, ovvero il processo di estrazione di una moneta virtuale – con un trend futuro positivo, Tesla tornerà a consentire le transazioni in bitcoin.

Facciamo un passo indietro e inquadriamo bene la questione. Abbiamo appena citato il termine inglese mining: per estrarre bitcoin ci vogliono dei "supercomputer" in grado di processare in poco tempo una mole di dati immensa e di risolvere problemi crittografici e calcoli matematici molto complessi. Per fare tutto ciò e per raffreddare i macchinari, occorre un enorme quantitativo di energia. Secondo il Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index, le attività annuali di mining consumano 121,36 terawattora (TWh) di corrente elettrica, ossia quanto l'intera Argentina, e sono responsabili del consumo dello 0,5% di tutta l'energia elettrica prodotta a livello mondiale.

I bitcoin possono essere estratti ovunque nel mondo, e ovviamente conviene farlo dove l’energia costa meno. Qual è allora il problema? Molti dei centri in cui operano i miners si trovano in Paesi, come la Cina, in cui all'interno del mix energetico è ancora piuttosto rilevante il peso dei combustibili fossili (incluso il carbone, il più inquinante di tutti). Ecco perché il mining è un pessimo affare per l'ambiente: alle estrazioni di bitcoin sono associati milioni di tonnellate di Co2 che finiscono in atmosfera, aggravando il problema del riscaldamento globale. Qualcosa, però si sta muovendo. L'attenzione per la questione climatica e ambientale sta spingendo le aziende tecnologiche a spostare i loro data center in Paesi con temperature più rigide, come l'Islanda, dove è più facile raffreddare i server, o in Paesi dove si fa un maggiore ricorso alle fonti rinnovabili.

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Laureato in lettere e giornalista professionista, sono nato e cresciuto a Milano. Fin da bambino ad accompagnarmi c’è (quasi) sempre stato un altro…