Era l’8 marzo 2020. Allora si iniziava appena a sentire il termine “lockdown”, la stazione dei treni brulicava di fuori sede in fuga verso Sud e nelle carceri scoppiavano le rivolte. Quel giorno l’Italia stava per chiudere i propri confini, ma non era ancora chiaro per quando tempo. Nelle ultime ore di libertà a disposizione, mentre centinaia di persone correvano verso i propri cari e altre si ribellavano a decisioni che le avrebbero isolate ancora più di prima, a Milano un gruppo di ragazzi ha iniziato a capire che, nelle ore successive, il mondo sarebbe cambiato radicalmente e molto in fretta. E soprattutto che alcune fasce di popolazione avrebbero avuto bisogno di aiuto ancora più di prima.
Nel gruppo era presente anche Valerio Ferrandi che quel giorno ha partecipato alla fondazione delle Brigate volontarie per l’Emergenza, una rete spontanea di cittadini che in pochi mesi è riuscita a mobilitare oltre 1500 volontari e distribuire più di 600 tonnellate di alimenti a chi è stato duramente colpito dalla pandemia e non solo. Davanti ai loro occhi la società ha iniziato a trasformarsi e quella frattura che divideva i cittadini sulla base delle loro possibilità economiche si è amplificata in un modo che ha dell’irreparabile. Loro ci hanno provato, e provano tuttora, a fermarla. Da Milano e poi da tutta Italia dove il progetto si è espanso.
“Quel giorno ci siamo resi conto che ciò che stava per accadere era qualcosa di inedito, a cui non era pronto nessuno, né le istituzioni né i collettivi o i gruppi solidali che solitamente si occupano di supportare chi ha bisogno anche in situazioni di normalità. Abbiamo capito che ci sarebbe stato bisogno di noi, così sono nate le Brigate volontarie per l’Emergenza.”
Un servizio solidale nato all’inizio della pandemia, con tutte le accortezze e l’organizzazione del caso.
“Il primo passaggio è stato fare un appello pubblico per comporre queste brigate che si sarebbero prese cura delle fasce più fragili della popolazione, delle persone impossibilitate a muoversi e di quelle prive di altre forme di sostegno. A questa prima chiamata hanno risposto subito in tanti. Un’altra cosa che abbiamo fatto nell’immediato è stata quella di cercare un partner che potesse formarci per operare in sicurezza, in modo da tutelare noi stessi e coloro di cui ci saremmo occupati. Per noi è stato naturale rivolgerci subito a Emergency i cui operatori, consapevoli dell’emergenza del momento, ci hanno messo a disposizione una stanza all’interno della loro sede come quartier generale e ci hanno fatto una formazione sanitaria di base grazie alla quale abbiamo potuto agire in totale sicurezza. Insieme a Emergency, poi, ci siamo rivolti al Comune di Milano che ha istituito un numero telefonico attraverso cui chi aveva bisogno poteva contattarci.”
Mese dopo mese le brigate hanno iniziato a crescere e diffondersi sempre di più.
“Inizialmente erano nove, divise in base alle zone di Milano. Oggi le brigate sono diventate venti e ciascuna opera in un quartiere specifico. Ad oggi abbiamo mobilitato complessivamente più di 1300 volontari, divisi sia per brigate territoriali, per zona, sia per brigate tematiche, ad esempio c’è la Brigata Basaglia che si occupa del sostegno psicologico, mentre la Brigata Brighella che si occupa di portare il teatro nei cortili delle case.”
Supporto, aiuto, ma anche un indicatore importante della frattura che la società sta vivendo, dentro e fuori la pandemia, soprattutto all’interno dei quartieri periferici e dei grossi complessi di case popolari.
“Quando abbiamo iniziato a portare la spesa alle persone ci siamo accorti che per una grande fetta della popolazione il problema non era soltanto la possibilità di andare a fare la spesa ma anche avere a disposizione i mezzi minimi per poterla acquistare. Da questa consapevolezza è nato il progetto ‘Nessuno escluso’, che è tuttora attivo e lo sarà almeno per un anno. Consiste nella raccolta di beni alimentari e di prima necessità e nella distribuzione gratuita a chi ne ha bisogno.”
Le fragilità sociali che descrive Valerio sono realtà che esistevano da molto prima dell’arrivo del Covid, ma che la pandemia ha contribuito a esasperare.
“Ciò che ha fatto la pandemia è stato evidenziare una fragilità molto più profonda della questione prettamente sanitaria. Il Covid ha messo in luce una crisi sociale ed economica senza eguali. Tant’è che ormai il progetto è diventato una struttura ben articolata di raccolta e distribuzione, anche se non riusciamo ad aiutare tutti quelli che ce lo chiedono. Al momento siamo in grado di prendere in carico in maniera costante 1500 nuclei familiari alla settimana, più quelli che serviamo noi autonomamente attraverso le collette alimentari, però abbiamo una lista d’attesa che supera le 5000 persone e continua ad allungarsi.”
Una domanda di gran lunga superiore all’offerta, anche perché alla lista delle persone bisognose si aggiungono sempre più spesso nuclei inaspettati.
“La realtà che vediamo ogni giorno è una realtà tragica. A chiedere il nostro servizio non sono più soltanto persone che si sono sempre trovate in una fascia di povertà estrema e assoluta, ma anche famiglie che fino a qualche mese fa non avrebbero mai chiesto aiuti alimentari. Ci sono persone che si sono trovate all’improvviso, da un giorno all’altro, senza più mezzi per vivere e senza una rete di supporto. Noi vogliamo cercare di ricostruire quella rete, quei legami di vicinanza e comunità che un tempo erano più naturali, anche a livello di quartiere, cercando di produrre dei moti di emancipazione e supporto.”
Una rete che oggi, soprattutto nelle grandi città, è spesso assente.
“Quello che noi registriamo ogni giorno è una frattura sempre più profonda che divide le città in due. A Milano, dove il progetto è nato e si è sviluppato per poi diffondersi in tante altre città su tutto il territorio nazionale, la differenza di accessibilità alla metropoli è diventata un fenomeno drastico. Ci sono intere categorie di famiglie, di lavoratori, di donne, di disoccupati, di precari che non sono minimamente in grado di potersi permettere di vivere in maniera dignitosa dentro Milano, che è ormai una città a due velocità. Da una parte ci sono le “week”, il centro della moda, la metropoli patinata che attrae capitali e investimenti, dall’altra c’è una popolazione sempre più vasta che necessita di beni primari per sopravvivere. Pensa che ultimamente ci arrivano sempre più richieste anche dal centro di Milano.”
Le Brigate raccolgono alimenti da donatori e fuori dai supermercati e oggi hanno superato le 600 tonnellate complessive di cibo raccolto, stoccato e distribuito.
“Parallelamente abbiamo iniziato anche a raccogliere beni per l’infanzia come i giocattoli ma anche articoli di cancelleria, matite, quaderni, giocattoli, vestiti e computer o tablet vecchi o rotti da ricondizionare e distribuire. Infatti se pensi alle famiglie che hanno un solo device o un solo computer da usare tutti, come pensi possano gestirsi ad esempio per la didattica a distanza?”
Ultima iniziativa delle Brigate volontarie è quella del “Tampone sospeso”, per garantire un diritto generalizzato alla salute e alla prevenzione.
“Sempre in partnership con Emergency abbiamo fatto partire un crowdfunding per acquistare tamponi antigenici e dispositivi di protezione individuale, ma anche per raccogliere volontari tra il personale sanitario. Fortunatamente abbiamo ricevuto diverse adesioni e quindi inizieremo a fare tamponi rapidi alle persone che ne hanno bisogno magari per poter andare a lavorare in sicurezza, così che non siano obbligate a scegliere se tutelare la propria salute e la salute di tutti mettendosi in quarantena oppure mangiare.”