Immagina di effettuare un’ordinazione e di sapere che la persona che sta inforcando la bici per portarti ciò che desideri potrà fare la strada con calma senza rischiare di farsi del male. Immagina che quella stessa persona abbia un contratto di lavoro equo e che sulle spalle non trasporti soltanto cibo fast food, ma anche alimenti a km0, oggetti di artigianato locale e produzioni di cui altrimenti non conosceresti nemmeno l’esistenza. Immagina che quel rider venga pagato in modo giusto, anzi, immagina di poter essere direttamente tu a dargli il denaro che gli spetta, perché per una volta finalmente ti viene segnalato il vero costo del suo lavoro. E tu puoi scegliere di dare a quella consegna il valore che merita e non quello che fino ad oggi ci hanno abituati a considerare.
Dei rider, negli ultimi anni, si è parlato tanto. E sebbene per la maggior parte delle persone siano come fantasmi, lavoratori invisibili che sfrecciano a tutta velocità per le strade in sella alla loro bici che ci sia il sole, la pioggia o la neve, durante il lockdown hanno rappresentato la tela su cui è stato possibile scarabocchiare un pezzetto della nostra quotidianità.
Per questo un gruppo di ragazzi, nell’ambito di un progetto di solidarietà di quartiere in periferia di Milano, ha deciso di provare a dare vita a un’iniziativa che vede il rider come lavoratore, come pilastro di un momento storico in cui “la casa” è il centro di tutto e ogni cosa deve essere in grado di raggiungerla. Tutto questo in modo etico e rispettoso dei diritti umani, dei diritti del lavoratore ma anche dei venditori. Una realtà a cui forse non eri abituato, riassumibile in un acronimo che calza a pennello: So.De, il Social Delivery.
“L’idea è nata da un gruppo di progettazione informale che fa capo a Rob de Matt, il ristorante e bistrot sociale e realtà di inclusione che si occupa di inserimento lavorativo di persone con fragilità, come persone con disagi psichici, ex detenuti, richiedenti asilo o vittime di tratta.” Racconta Elia Cipelletti, uno dei ragazzi promotori del delivery etico.
“Durante il primo lockdown anche il ristorante di Rob de Matt ha dovuto chiudere e si è quindi trasformato in un hub di distribuzione pasti per i quartieri Dergano e Bovisa in collaborazione con le Brigate Volontarie e la Croce Rossa. Ci siamo subito interfacciati con questioni logistiche molto complesse riguardo la distribuzione del cibo. E in quell’occasione abbiamo iniziato a ragionare sul fatto che la figura del rider ci stava permettendo di vivere una vita più o meno normale. Ci siamo chiesti ‘a che prezzo?’.”
Le condizioni di lavoro dei rider, ricorda Elia, sono ormai tristemente note a tutti. Per questo, i ragazzi di Rob de Matt iniziano a chiedersi come implementare un servizio di delivery che non metta nessuno in secondo piano.
“Abbiamo approfondito l’ambito e ci siamo resi conto che c’era bisogno di intervenire, proponendo un’alternativa che fosse etica, che tutelasse i lavoratori dando loro la giusta considerazione. Oggi, infatti, la figura del rider nel circuito della consegna è praticamente invisibile, nessuno si chiede quale sia il suo percorso, da dove arrivi e quanto venga effettivamente pagato. A ciò abbiamo aggiunto una componente sociale e di quartiere, includendo le piccole realtà artigiane del quartiere Dergano, che tra l’altro erano quelle che il lockdown aveva danneggiato di più non avendo una vera e propria vetrina online diffusa.”
L’idea di base di So.De è molto semplice: creare un marketplace che sia fruibile senza grosse spese da parte dei piccoli-medi commercianti, artigiani e produttori locali e che abbia un occhio di riguardo all’etica del lavoro.
“Stiamo pensando di far firmare a chi aderirà all’iniziativa un codice etico che possa aiutare le realtà con cui lavoreremo a rintracciare e raggiungere i nostri valori. Questo in riferimento soprattutto alla transizione ecologica, un’evoluzione che abbiamo in mente, che dovrà essere agevolata. Ad esempio la rinuncia al packaging in plastica a favore di quello biodegradabile o in carta e in generale azioni che rendano la consegna più vicina possibile all’impatto zero.”
So.De non punta soltanto all’eticità e all’ecologia, ma anche alla consapevolezza. L’idea di base è che il consumatore diventi parte attiva in questa transizione, conoscendo esattamente il costo di ciò che sta richiedendo.
“Quando la piattaforma sarà attiva, creeremo un algoritmo che mostrerà al consumatore il costo effettivo del suo ordine. Così avrai l’occasione di vedere il costo di consegna minimo ma allo stesso tempo anche quello effettivo, ovvero cosa dovresti pagare per dare al fattorino lo stipendio “reale” per il range di minuti che stai utilizzando. Non è obbligatorio, la lasciamo come possibilità per mostrare alla gente quanto costano in realtà i servizi del genere. Siamo abituati a vedere un costo di 50 centesimi, ma questo non è sostenibile in un mercato equo. C’è una percezione completamente sbagliata.”
Come avrai capito, So.De non è ancora attivo, ma è sulla buona strada. Il progetto ha appena terminato la fase di crowdfunding, in cui sono stati raccolti 25.000 euro, che ha consentito di ottenere anche un finanziamento del 60% del budget da parte del Comune di Milano. Pian piano che il progetto cresceva, i ragazzi hanno capito che dovevano procedere step by step per poter raggiungere poi una scala più grande di quella di quartiere pensata inizialmente.
“Inizialmente volevamo mettere in pratica un servizio limitato al quartiere, una sperimentazione. Durante il crowdfunding siamo stati contattati da tante realtà interessate a usufruire del nostro servizio. E questo ci ha fatto capire che la cosa migliore per noi sarebbe iniziare da una scala cittadina. Così abbiamo deciso di non iniziare subito con un nostro marketplace ma lavorando utilizzando i marketplace delle realtà stesse (naturalmente che condividono i nostri valori etici) che useranno il nostro servizio di delivery attraverso la propria piattaforma. In pratica, noi offriremo i nostri fattorini per l’ultimo miglio e per la distribuzione porta a porta.”
Una volta avviata questa parte, So.De inizierà a diventare sempre più autonoma, fino a mettere a disposizione una propria piattaforma. Su cui sarà possibile ordinare cibo, oggetti, beni di consumo, beni di prima necessità.
“Noi vogliamo lavorare all’educazione al consumo critico delle persone, perché crediamo che la differenza possiamo e dobbiamo farla noi nelle nostre scelte quotidiane, soprattutto dal momento che siamo in grado di proporre alternative adeguate. I rider sono gli schiavi 2.0, a tutti gli effetti paragonabili ai braccianti nei campi di pomodori. È vero e proprio caporalato. E, come nell’industria alimentare, le grandi piattaforme sono svantaggiose per il lavoratore. Il nostro obiettivo è riportare dignità a questo lavoro, che non è più un lavoretto come lo si definiva all’inizio, offrendo un contratto e tutela legale ma anche proponendo un’alternativa per le persone sensibili a queste tematiche, cercando di sensibilizzare sempre di più chi entrerà in contatto con il progetto.”