Un lavoro antico, artigianale e necessario, la creazione di oggetti con materie prime certificate, la possibilità di acquisire competenze e imparare un mestiere per un re-inserimento nella società. A Roma esiste una realtà che rende possibile tutto questo e anche altro.
Qui, la cura del materiale come legno certificato o di recupero, l’inclusione e il rispetto dei diritti umani si riuniscono sotto un unico tetto per consentire a chiunque ne abbia bisogno di apprendere un lavoro manuale, realizzando oggetti pregiati grazie alla volontà di tornare a “fare parte”. Della città, della socialità, del mondo.
Si chiama K_Alma ed è una falegnameria e officina sociale che dal 2017 mette in pratica percorsi di inclusione sociale e integrazione concreti e a lungo termine. L’obiettivo è quello di non lasciare nessuno da solo, valorizzando il lavoro manuale che viene svolto e le competenze acquisite, ma anche trasmettendo la concezione di un’equa retribuzione. L’inclusione, naturalmente, avviene anche dall’esterno all’interno dello spazio, invitando le persone a conoscere questo mondo e anche a imparare qualcosa da chi ci lavora.
A raccontarci di questa realtà per la rubrica Bellezza Quotidiana è Gabriella Guido, presidentessa dell’associazione K_Alma e coordinatrice del progetto di falegnameria sociale.
“L’associazione è nata in seguito a diversi anni di campagne di sensibilizzazione sui diritti dei migranti, quando a un certo punto abbiamo capito che era necessario creare dei percorsi di inclusione concreti, che consentissero a queste persone di fare rete e inserirsi socialmente attraverso l’acquisizione di nuove competenze. Alle attività di sensibilizzazione sui diritti umani e ambientali, avevamo anche un grande amore per il legno come materiale. Quindi ci siamo recati in Germania per fare esperienza di un progetto analogo appena nato. E l’abbiamo portato a Roma.”
Una sfida coraggiosa promossa in una città grande, dispersiva e imprevedibile.
“La risposta della collettività è stata davvero positiva, abbiamo ricevuto un sacco di attenzioni e si sono messe in contatto con noi diverse realtà, da enti privati, cittadini e istituzioni. Quando abbiamo iniziato contavamo un falegname e cinque ragazzi migranti, oggi i falegnami sono 4 con 3 assistenti e le persone che seguono i nostri corsi 15. Ci siamo anche spostati in uno spazio più grande in cui è stato possibile creare reti e relazioni, che si sono rese utili anche nella pandemia, quando sono arrivati da noi diversi italiani rimasti senza lavoro che hanno deciso di dedicarsi all’auto-formazione.”
Formazione che, naturalmente, è gratuita e informale per tutti.
“I nostri percorsi di formazione sono intesi come lavoro di bottega, quindi quando entri non hai una scadenza, non esiste la “fine del corso”. Non sarebbe giusto, perché c’è sempre qualcosa da imparare, una nuova tecnica, un nuovo stile, una nuova modalità di lavoro. Quello che facciamo noi è un aggiornamento continuo delle competenze, in cui una persona può rimanere finché non sente di dover fare altro o ha la possibilità di lavorare altrove.”
E cosa si produce all’interno della falegnameria sociale?
“Noi facciamo due tipi di produzioni. Ci sono quelle commissionate da centri privati, scuole, associazioni oppure quelle realizzate in autonomia. In questo modo i ragazzi che raggiungono un certo livello di indipendenza realizzano da soli questi oggetti e poi li mettiamo in vendita sul sito Internet, dove possono essere acquistati e ricevuti per posta oppure visionati e comprati direttamente in falegnameria.”
Un’iniziativa, quella di K_Alma, che non si limita a creare connessioni tra le persone e fornire loro competenze manuali e lavorative, ma che vuole tracciare un confine netto tra lavoro vero e lo sfruttamento a cui queste persone potrebbero essere sottoposte in assenza di alternative.
“Qui ogni persona ha la propria specializzazione, il proprio reddito concreto che per quanto piccolo è comunque un valido sostegno in questo momento. La sfida più grande è forse proprio questa, puntare su un percorso di riqualificazione dell’essere umano a partire dai suoi bisogni e desideri, valorizzando allo stesso tempo un mestiere che sta scomparendo ma che allo stesso tempo ha ancora tanto da dare, dal momento che la lavorazione del legno appartiene alla storia dell’uomo. Fa tutto parte della nostra esistenza, dell’evolversi dell’umanità. Così in questo spazio ci si può riscattare, ricostruendo un percorso di vita che sia dignitoso, abituando questi ragazzi a essere pagati in modo equo e regolare, perché è ciò che meritano per il loro lavoro.”
Di vite e di storie passate tra le mura della falegnameria ce ne sono tante. Da chi nella lavorazione del legno trova un benessere quasi terapeutico a chi, come Rasheed, ha iniziato tempo fa a fare sgabelli-belli-belli e a maggio terrà il suo primo workshop come formatore, trasmettendo le basi di questa sua specializzazione.
Tutto questo, naturalmente, utilizzando materie prime certificate o di recupero dagli scarti delle lavorazioni.
“Per le lavorazioni utilizziamo legno proveniente da filiere certificate PEFC, così da poter offrire una garanzia per tutti della sostenibilità del nostro lavoro e dei nostri prodotti. Per realizzare giochi per bambini, invece, spesso utilizziamo il legno inutilizzato recuperato dalle altre lavorazioni. Così ci limitiamo ad adattare i pezzi scartati al gioco, rifinendoli. Nasce così un giocattolo in legno che può aiutare i bambini a lavorare con la fantasia, spronare i genitori a scegliere un’attività pedagogica di quelle che difficilmente trovi nei classici negozi.”
Un insieme di fattori in grado di portare l’individuo al centro, “augurandoci che attorno ci sia una collettività pronta ad accoglierlo, a supportarlo. Ecco l’importanza delle reti e delle relazioni” sottolinea Gabriella. “Perché noi viviamo in una collettività ed è giusto e necessario che tutti questi valori vengano condivisi con chi abbiamo attorno. Per questo spesso organizziamo dei workshop e degli incontri. Per fornire gli elementi per costruire qualcosa tutti insieme.”