Cos’è il TAP (Trans Adriatic Pipeline) e qual è l’impatto ambientale del controverso gasdotto

Un gasdotto che porterà il gas metano in Italia direttamente dall’Azerbaigian. Il TAP rappresenta la conclusione del Corridoio Meridionale del Gas, lungo 4000 chilometri, di cui quest’opera ne copre oltre 800. Ma quali sono gli impatti che questa grande opera avrà sul territorio? Quali le implicazioni ambientali? Facciamo un po’ di chiarezza.
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Sara Del Dot 23 Settembre 2019

Negli ultimi anni ne hai sentito parlare spesso, ma forse anche tu (come molti altri) ancora non hai ben chiaro che cosa sia esattamente questa grande opera. Hai visto le immagini di persone incatenate a ulivi secolari o sedute nella polvere davanti ai cancelli di un cantiere, hai appreso notizie a intermittenza senza davvero comprendere la portata di una questione sociale, economica e ambientale che interessa non solo le piccole comunità locali pugliesi, ma anche l’Italia e l’Europa.

Si chiama TAP, ovvero Trans Adriatic Pipeline, ed è un enorme gasdotto che ha significato e tuttora significa molte cose: promessa di libertà energetica, violenza nei confronti di una comunità locale a difesa del territorio, rischio ambientale e sanitario, questione economica, cavallo di battaglia elettorale, strategia energetica internazionale. Centinaia di chilometri di tubi e tunnel che passeranno sotto i nostri piedi per trasportare il gas proveniente dall’Azerbaigian e che hanno fatto arrabbiare tantissime persone. In particolare, quelle che sopra quei tubi e quei tunnel hanno la loro vita, la loro casa e i loro mezzi di sostentamento.

Ma cos’è esattamente questo TAP, perché la sua costruzione è così controversa e qual è davvero il suo impatto ambientale? Può davvero rappresentare un pericolo oppure fa soltanto paura? Era davvero necessario oppure si poteva evitare? È davvero sicuro oppure semplicemente si spera che vada tutto bene? In questo articolo cercheremo di fare un po’ di chiarezza.

Cosa è la Trans Atlantic Pipeline

La Trans Atlantic Pipeline fa parte di un progetto più ampio chiamato Corridoio Meridionale del Gas (SGC) il cui scopo è, come ho già detto, garantire all’Europa una maggiore autonomia energetica rispetto alla Russia. Si tratta di un gasdotto lungo complessivamente quasi 4000 chilometri, che parte dall’Azerbaigian e arriva fino in Italia ed è suddiviso in tre progetti principali:

  1. Estensione del gasdotto del South Caucasus Pipeline per il trasporto del gas attraverso Azerbaigian e Georgia fino alla Turchia
  2. Trans Anatolian Pipeline (TANAP), che prosegue il trasporto dalla Turchia fino alla Grecia
  3. Trans Adriatic Pipeline (TAP), che rappresenta la parte europea del progetto e dovrebbe concludere il percorso da Kipoi (al confine tra Grecia e Turchia) fino in Italia, passando per Grecia, Albania e mare, approdando fino in Salento, precisamente sulla spiaggia di San Foca, nel Comune di Melendugno

Quest’ultimo è il tratto che interessa noi e di cui si è parlato (e tutt’ora si parla) moltissimo negli ultimi anni. La sua realizzazione, infatti, consentirà l’apertura del Corridoio Meridionale del Gas, aprendo un nuovo scenario sulla strategia energetica europea.

Cos'è il TAP (Trans Atlantic Pipeline)

Dei 4000 chilometri di gasdotto di cui è composto il Corridoio Meridionale del Gas, quello che interessa l’Italia, ovvero il TAP, copre circa 878 km, di cui 550 in Grecia, 215 in Albania, 105 nell’Adriatico e 8 in Italia. Ma che cos’è esattamente questo TAP? Acronimo di Trans Adriatic Pipeline, il TAP è una grande opera definita dalle istituzioni comunitarie “progetto di interesse comune” (PCI) il cui fine è di concludere questo enorme progetto di conquista di una maggiore autonomia energetica nei confronti della Russia. In pratica, importando il gas dall’Azerbaigian dovremmo essere meno dipendenti dalla Russia dal punto di vista della necessità energetica e questo è il motivo per cui il progetto è tenuto in enorme considerazione dalla comunità internazionale.

Concretamente, si parla di un grosso tubo lungo 878 km che parte dal confine tra Grecia e Turchia, dove è allacciato al TANAP, passa poi per l’Albania e arriva in Italia attraverso il mar Adriatico. Quest’ultima parte è ancora in fase di costruzione, quasi ultimata, ed è al centro di numerose polemiche interne tra chi di quest’opera non ne vuole sapere e chi invece la considera assolutamente indispensabile per l’economia del Paese. Una volta ultimato, il TAP trasporterà 10 miliardi di metri cubi di gas che in seguito potranno aumentare a 20. Il consorzio Tap ha sede a Baar, in Svizzera, e ha uffici operativi in tutti i paesi in cui opera quindi Grecia, Albania e Italia.

Il percorso del gasdotto

La maggior parte dell’ultimo tratto del TAP sarà invisibile, perché il gasdotto attraversa il mare rimanendo quindi sott’acqua (nel territorio italiano 25 km) e una volta approdato sulla spiaggia di San Foca, nel Comune di Melendugno, si inoltra nel territorio salentino sempre sottoterra, a 900 metri dalla spiaggia, mantenendosi a una profondità mai inferiore a 1,5 metri e per circa 8 km. A quel punto, percorre altri 1.500 metri per raggiungere la periferia di Melendugno, in cui è in fase di costruzione una centrale, chiamata Terminale di Ricezione, che sarà poi collegata, per altri 55 km, al punto di connessione con la rete nazionale dei gasdotti, situato vicino a Brindisi. Secondo la newsletter pubblicata periodicamente dalla società, al momento il microtunnel in cui andrebbe posizionato il tubo che trasporta il gas è stato ultimato del 90% e molti dei terreni attraversati sono già stati ripristinati.

Dubbi e proteste

Sin da quando iniziarono a girare le voci sulla realizzazione dell’opera, nel 2010, è stato subito evidente che sulla costruzione del gasdotto non sarebbero mai stati tutti d’accordo. Soprattutto gli abitanti di Melendugno e, più in generale, della Puglia di cui una cospicua parte a inizio 2012, diede vita al Movimento No Tap. Cittadini salentini e persone sensibili alla difesa del territorio pugliese e dei suoi ecosistemi iniziarono ad attivarsi per capire meglio le conseguenze dell’opera, informare le persone sui rischi, sulle implicazioni e per impedire il trasferimento degli ulivi secolari, già a rischio a causa del virus Xylella, che sarebbero dovuti essere spostati per consentire la realizzazione del cantiere per costruire microtunnel e impianto. Ma non solo i cittadini. A prendere le difese della spiaggia di San Foca e del territorio pugliese sono scesi in campo anche Sindaci e Regione Puglia, che hanno cercato di avviare un dialogo con il Governo per dissuaderlo dal permettere la costruzione della grande opera da molti (troppi?) definita inutile e dannosa.

A questo proposito, il Comune di Melendugno ha voluto capirne di più e ha messo insieme un comitato tecnico di circa quaranta esperti studi hanno infine pubblicato un documento, chiamato Contro Rapporto, in cui venivano denunciati errori e incongruenze. Ma non è servito. Dopo varie vicende, anche giudiziarie, nel maggio del 2016 TAP ha iniziato i lavori. E lì sono cominciati anche i problemi. Le immagini dei sit in e degli scontri davanti ai cantieri hanno affollato i media soprattutto nella primavera del 2017, quando è iniziato l’espianto degli ulivi.

Come ho già detto, nell’agosto del 2019, l’azienda TAP ha comunicato tramite la sua newsletter periodica di aver completato la realizzazione del microtunnel che nasconderà il gasdotto per evitare interferenze con il paesaggio e di essere arrivata al 90% dei lavori. Situazione che dovrebbe consentirne l’operatività entro il 2020, come previsto.

Impatto ambientale del TAP

Ma fermiamoci un attimo a parlare di territorio. Perché è evidente che la costruzione di un gasdotto di questa portata non può non portare con sé dei rischi per il luogo in cui viene costruito, oltre a quelli conseguenti alla realizzazione della centrale di depressurizzazione nel bel mezzo delle campagne di Melendugno. Tuttavia una superperizia depositata nel novembre 2018 presso il Tribunale di Lecce ha fatto emergere la non necessità di applicare a quest’opera la direttiva Seveso, la norma comunitaria che disciplina i rischi industriali. Per capirci qualcosa in più, abbiamo parlato con l’ingegner Alessandro Manuelli, ingegnere chimico e co autore del Contro Rapporto presentato dal Comune di Melendugno al Ministero dell’Ambiente.

Il primo concetto cui l’ingegnere fa riferimento è quello quasi più scontato: la transizione energetica globale in corso in cui si auspica un progressivo abbandono delle fonti fossili, fonti fossili di cui però il gas metano portato in Europa dal gasdotto fa parte.

“In un momento in cui la transizione energetica è in pieno corso e si sta cominciando a puntare davvero sulle rinnovabili, continuare a fare affidamento sulle fonti fossili, seppur su quella meno inquinante come il metano, non è una buona mossa e non è nemmeno in linea con gli impegni presi con la firma dell’Accordo di Parigi. La scienza è stata piuttosto chiara nel dire che o si esce dalle fonti fossili oppure il futuro non sarà affatto roseo.”

Infatti, sottolinea l’ingegner Manuelli, un’opera del genere avrà impatti ambientali e sull’atmosfera per molto tempo dopo la sua costruzione.

“L’opera impatterà sul clima dell’intero Pianeta per almeno 150 anni. Il gas naturale, infatti, contribuisce all’effetto serra dalle 50 alle 70 volte la CO2 su dieci anni e quando brucia emette inquinanti, che escono dal gasdotto, dalle nostre caldaie, dalle nostre auto a metano e dai nostri fornelli. Inoltre, bisogna tenere presente che un gasdotto di questo genere perde dal 3 al 6% del prodotto che trasporta tra estrazione, stazioni di compressione e de-pressurizzazione."

Senza contare la presenza di coralli e delle praterie di cymodocea, a cui il progetto passa molto vicino, attraverso il microtunnel che è ormai quasi ultimato.

“Il microtunnel è un tunnel di tre metri di diametro che è chiuso, ma non sigillato. Alle spalle della duna costiera c’è un’area molto umida, un’ex palude bonificata di cui una parte è zona di interesse regionale. Nel momento in cui vado a modificare il deflusso delle acque inserendo questo tubo, non è ben chiaro cosa potrebbe accadere, perché metto in contatto le acque della palude con il mare, quindi aumento l’acqua dolce immessa in mare, diminuendo localmente la salinità e rischiando di svuotare la palude.”

“Poi c’è la questione geologica. Lì non c’è roccia, c’è sabbia compressa e acqua fino a quaranta metri di profondità. Noi mettiamo due falde acquifere che scorrono dall’entroterra verso il mare parallelamente a questo tunnel di tre metri di diametro. Il rischio è che l’acqua che sta attorno a questo manufatto di cemento scavi e mini la stabilità di tutta l’opera. Dentro infatti c’à un tubo di novanta centimetri pieno di gas a 140 bar, un gas naturale, infiammabile, di categoria 1 ed estremamente pericoloso.”

Passiamo poi all’impianto di ricezione.

“Qui ci sono 12 ettari di impianto industriale, che significa 12 ettari di cementificazione del territorio, il che rappresenta un paradosso se consideriamo che l’Italia è un paese in cui i livelli di cementificazione sono fuori da ogni ragionevole criterio. Inoltre, uno stabilimento che tratta gas naturale andrebbe soggetto alla normativa Seveso, cosa che accade in tutta Europa ma non in Italia, e questa altro non è che un’ulteriore violazione della normativa europea, in questo caso sulla prevenzione degli incidenti. Infatti, in caso di manutenzione o emergenza si prevede di depressurizzare parzialmente o totalmente lo stabilimento mediante degli sfiati freddi. Ci significa che il gas viene immesso in atmosfera così com’è senza essere bruciato, quindi senza la classica fiammella che puoi vedere in raffineria o sulle piattaforme petrolifere. Ci sono due grossi sfiati alti dieci metri dentro al PRT (Terminale di Ricezione), uno più piccolo all’altezza delle sonde che vengono inviate dentro al gasdotto per pulirlo e un altro alto 10 metri all’interno dell’area SNAM, che è un altro ettaro di impianti industriali di cui non è stato fatto nemmeno un progetto di presentazione in VIA (Valutazione di impatto ambientale). Nel 99% dei casi il gas naturale, essendo più leggero dell’aria, tende ad andare verso l’alto. Ma esistono anche particolari situazioni, considerate le condizioni di uscita del gas e della temperatura che raggiunge, dove questo è invece più pesante e di conseguenza dopo la fuoriuscita si dirige verso il basso. Questo è uno dei fenomeni più pericolosi che possono verificarsi in stabilimenti che trattano idrocarburi o solventi, perché si formano delle nubi dette “non confinate” che possono viaggiare per centinaia di metri mescolandosi con l’ossigeno dell’atmosfera fino a dissolversi oppure fino a che non trovano un innesco. Questa è la ragione per cui nelle raffinerie o sulle piattaforme petrolifere vedi sempre quella fiammella, per evitare questo fenomeno che nel caso del TAP, invece, sembra essere previsto.”

A questi pericoli più tecnici e complicati da capire si aggiungono quelli più intuitivi come le emissioni delle caldaie a gas per riscaldare il gas, che emettono CO2, ossidi di azoto e ossidi di zolfo, ma anche PM10 e tutte le sostanze che derivano dall’utilizzo delle fonti fossili. Ma possibili impatti possono ricadere anche sulle popolazioni locali.

“Melendugno è un luogo che ha scelto un certo percorso di sviluppo basato su turismo e valorizzazione del territorio, mentre ora si vede praticamente imporre un altro percorso, diverso, che prevede la presenza di un impianto industriale illuminato giorno a notte. Inoltre, l’opera non porterà neanche posti di lavoro perché di certo non prendono gente locale ma solo operai specializzati e la maggior parte del lavoro sarà svolto da macchine automatizzate.”

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