Creare un villaggio ecologico: da dove partire, gli aspetti fondamentali e le principali difficoltà

Condivisione, autosufficienza, leadership condivisa. Questi, lo abbiamo capito, sono alcuni dei principi fondamentali che animano le realtà degli ecovillaggi. Ma quando bisogna partire dall’inizio, quando la comunità ecologica è ancora soltanto un’idea, come si equilibrano questi aspetti? E quali sono le sfide maggiori?
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Rubrica a cura di Sara Del Dot
1 Dicembre 2020

Hai ereditato un casale di campagna e finalmente hai deciso di recuperarlo e renderlo la sede di un progetto di vita condivisa basato su auto-produzione e agricoltura. Oppure siete un gruppo di amici che da tempo sognano uno stile di vita diverso, improntato sulla libertà di decidere per voi. O ancora, sono anni che coltivi il sogno di creare un villaggio ecologico in cui contribuire a costruire un mondo diverso, più sostenibile, in cui le persone possano riscoprire la bellezza e le sfide della condivisione. Bene, prima di iniziare questo percorso è importante che tu sia consapevole di ciò di cui hai bisogno per realizzare un progetto di villaggio ecologico. Per capire quale sia il modo migliore di muoversi mi sono rivolta a Francesca Guidotti, ex presidente della Rive, Rete italiana villaggi ecologici e collaboratrice di Terra Nuova edizioni.

“Per fondare una nuova comunità” racconta Francesca, “è imprescindibile averne viste e visitate personalmente diverse prima. Tante persone si lanciano senza sapere di cosa si tratti esattamente e questo non va bene perché è fondamentale, prima di imbarcarsi in un progetto, assumere consapevolezza attraverso le esperienze dirette di altre comunità. Questo permette a chi vuole iniziare di identificare cosa desidera e soprattutto cosa non desidera per il proprio progetto.”

Come per ogni progetto, poi, potrebbe rivelarsi utile, anzi fondamentale mettere a punto una bozza di progetto in cui inserire gli aspetti che non devono assolutamente mancare ed elencare poi quelli che invece potrebbero essere “negoziabili”. “Un breve testo in cui raccontare la propria idea è un buon biglietto da visita, soprattutto per coloro che non hanno ancora un gruppo con cui creare la comunità”, prosegue Francesca.

Tre punti di partenza

Analizzando le varie situazioni da cui un individuo interessato a fondare un ecovillaggio potrebbe partire, Francesca individua tre casistiche particolari, ciascuna con le proprie necessità.

Se hai già una casa, un immobile che desideri convertire in ecovillaggio, significa che ti serve soltanto il gruppo. In questo caso, avere a disposizione il documento di cui parlavamo prima potrebbe servire per attrarre un certo tipo di persone, simili a te o che comunque condividono le tue stesse idee. Un’altra possibilità è quella di avere già il gruppo, un gruppo caratterizzato da un sogno e un progetto condiviso, a cui manca soltanto un luogo, che può essere un terreno, un casale, un borgo da ricostruire. Naturalmente prima di imbarcarti nel progetto è giusto aver chiarito quale sia il luogo in cui vorreste abitare.

La terza casistica è quella in cui parti senza avere né un gruppo né un luogo a disposizione, e di conseguenza la stesura di un documento può esserti utile per chiarire con te stesso cosa desideri da questo progetto e poi per coinvolgere le persone attorno a te. Personalmente io propongo di cercare di contattare le persone che ritieni essere più vicine a un certo tipo di visione della vita, quindi ad esempio una persona da sola potrebbe contattare associazioni locali che si occupano di ecologia, partecipanti a gruppi di acquisto solidale, associazioni che si occupano di educazione ambientale.. Insomma, tutte le persone che potrebbero essere interessate a vivere in un luogo rurale e fare una vita in condivisione."

La parola “condivisione”

Un altro aspetto fondamentale su cui soffermarci è proprio il termine “condivisione”. Perché, sottolinea Francesca, “quando io presento il mio sogno, il mio progetto, devo essermi chiesto prima quanto io voglia condividere. All’interno di un ecovillaggio ci sono vari gradi di condivisione, sia essa economica, materiale, di visione generale. Io ho bisogno innanzitutto di decidere quanto io desideri condividere e quanto voglio che invece rimanga mio privato. C’è una bella differenza, infatti, tra decidere se voglio vivere in una casetta tra tante altre casette oppure in una stanza della stessa casa.”

Autosufficienza

Un’altra questione che, come sappiamo, rappresenta oltre alla condivisione un vero e proprio pilastro delle comunità ecologiche è l’autosufficienza, ovvero quanto quella comunità si renderà autonoma rispetto ad apporti energetici, alimentari ed economici dall’esterno.

“È importante capire se si desidera una comunità basata sull’autosufficienza oppure se sarà sufficiente, ad esempio, la presenza di un orto parallelamente ad altre attività. Le domande che è possibile porsi in questo senso sono tante e riguardano il senso dell’ecovillaggio. Vogliamo fare più cultura e formazione e magari dedicarci all’accoglienza di migranti e parallelamente curare una parte agricola? Oppure vogliamo concentrarci sull’autoproduzione lasciando fuori il resto come attività collaterale? Questi sono sicuramente assetti che vanno ben specificati."

Il gruppo

Trovare il gruppo giusto per condividere un progetto di vita come quello di un villaggio ecologico non è mai semplice. C’è chi organizza incontri, presentazioni, chi si organizza attraverso i social network per cercare persone interessate o chi, più direttamente, si rivolge alla Rive dove è sicuro di trovare persone già predisposte alla vita comunitaria. La ricerca degli abitanti e dei partecipanti al progetto deve trovarsi poi in perfetto equilibrio con la ricerca delle competenze e delle esperienze adeguate.

“In comunità non è facile vivere, è un gioco di equilibri molto delicato.” Spiega Francesca. “Se scegli le persone solo perché hanno specifiche competenze, rischi di non instaurare la relazione necessaria per fare le cose insieme. Quello che veramente conta è il modo in cui stiamo insieme, il grado di impegno di ciascuno nella relazione con l’altro. Ad esempio, si tende a pensare che se sto con il mio gruppo di amici e vado a vivere insieme andrà tutto bene per forza. Non è detto però che funzioni nella vita comunitaria, dove tutte le dinamiche cambiano completamente. A volte è meglio stare con persone che si conoscono un po’ meno ma che hanno intento e visione vicina a quella che stiamo perseguendo noi. Competenze e relazioni pregresse, ma anche visioni comuni e situazioni condivise in passato sono tutti aspetti da tenere in considerazione che possono aiutare o influenzare la scelta delle persone. L’invito è guardare un po’ a 360 gradi le persone con cui ci si mette insieme, non dal punto di vista solo funzionale.”

E poi cosa succede?

Ok, hai trovato le persone, avete un’idea progettuale comune e idee di sviluppo condivise. A quel punto, inizia la scrematura spontanea. Nel senso che, mano a mano che progredirete negli step, le persone diventeranno sempre meno, soprattutto quando sarà il momento di assumere impegni concreti.

“Quello che io propongo e invito sempre a fare è, da un lato, visitare con tutto il gruppo realtà esistenti per confrontarsi con loro, sulla loro esperienza, ponendo loro domande, dubbi, idee. Dall’altra farsi seguire da qualcuno che possa aiutare il gruppo a mettere nero su bianco tutti gli aspetti su cui interrogarsi per compiere le scelte migliori. Questi aspetti sono i vari aspetti della vita: quale casa vogliamo, dove andremo a vivere, come vorremmo che fosse l’organizzazione nella comunità, cosa vorremmo condividere e cosa no, come prenderemo le decisioni, chi deciderà cosa, che tipo di cibo vogliamo, se lo acquisteremo insieme o ciascuno per conto suo, se condivideremo le auto oppure no… Queste, anche le più piccole, sono tutte questioni su cui è importante confrontarsi prima. Non bisogna prendere una decisione per sempre ma deve essere una decisione buona per adesso e il più sicura possibile.

Un’altra cosa fondamentale è portare avanti parallelamente il fare insieme e il confrontarsi. Spesso con i gruppi ci si sbilancia, si perde di vista cosa si sta facendo e si innestano conflitti difficili da trasformare. È quindi importante anche prendere accordi sulla gestione del conflitto, anche se è molto difficile dal momento che la nostra cultura non ci ha mai abituati a questo."

Tre grandi ostacoli

Considerata quindi la quantità infinita di aspetti e variabili da considerare, impossibile non chiedere quali siano le maggiori criticità a cui si può andare incontro nella realizzazione di un progetto come questo.

“La prima questione che si deve affrontare è imparare a fare un piccolo passo indietro per far sì che l’altro possa farne uno verso di noi. Poi c’è la cura delle relazioni, perché i luoghi, le tecniche e le sperimentazioni si possono fare in qualunque momento, in qualunque situazione, ma si possono fare nel momento in cui ho attorno un gruppo armonico. Il terzo è sicuramente la gestione del potere. Perché qui siamo in gruppi non verticistici, gruppi privi di una figura apicale, in cui la leadership è condivisa. Nel tempo ciascun abitante deve usare il proprio potere per partecipare come una persona integra, con tutte le sue capacità e caratteristiche ma in un paradigma in cui non c’è competizione ma collaborazione, facendo emergere il potere personale di ciascuno per il benessere della comunità.”

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Sono nata e cresciuta a Trento, a due passi dalle montagne. Tra mille altre cose, ho fatto lunghe passeggiate nel bosco altro…