Desertificazione: un pericolo anche per noi. L’agricoltura siciliana è in crisi, ma la colpa non è solo della siccità

Molto spesso pensiamo alla desertificazione come a qualcosa di molto lontano da noi, confinato in alcune regioni del Sud del mondo. La realtà è diversa: secondo l’Ispra, il 28% del territorio italiano è a rischio, e i cambiamenti climatici – insieme a pratiche agricole discutibili – stanno accelerando il peggioramento dei suoli. Nella Giornata Mondiale della lotta alla desertificazione ti porto nella Sicilia meridionale, dove la qualità dei terreni è sempre peggiore e dove ormai l’acqua è introvabile.
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Michele Mastandrea 17 Giugno 2022
In collaborazione con Massimo Gargano, direttore generale dell'Anbi, e Raffaele Migliore, presidente della Cia Centro Sicilia

Il deserto non ci appartiene. Quando pensiamo a smisurate distese senz'acqua, dove la vita è quasi inesistente, e i terreni quasi per nulla fertili, la nostra mente corre lontana, ad altre regioni del mondo. Eppure, sempre di più non è così: se ne accorge soprattutto chi lavora nei campi. "Ogni anno che passa è sempre più difficile. Si stanno asciugando i pozzi, le falde acquifere ormai si trovano molto in profondità, anche sotto i 350 metri. Una volta l'acqua si trovava a sessanta, ottanta metri". Raffaele Migliore è il presidente della sezione Centro Sicilia della Cia, Confederazione Italiana Agricoltori, che comprende il territorio di Caltanissetta e Agrigento. La siccità prolungata di cui soffre il suo territorio rischia di avere conseguenze gravissime. Fino alla desertificazione.

"Serve mettere in sicurezza le attività produttive", prosegue Migliore, spiegando come siano a rischio colture importantissime per l'economia del territorio. "Ci sono paesi che non hanno acqua per portare avanti culture come quelle delle albicocche, o delle uve per il Nero d'Avola, un'eccellenza delle nostre zone". Nel giorno in cui si celebra la Giornata Mondiale della lotta alla Desertificazione, è importante parlare del fatto che anche alle nostre latitudini questo è un problema ben presente.

Secondo un rapporto Ispra, infatti, anche il nostro Paese presenta evidenti segni di degrado, che si manifesta – seppur con caratteristiche diverse – in circa il 28% del territorio. Il fenomeno riguarda principalmente il Sud, dove il rischio desertificazione aumenta per via della perdita di qualità degli habitat, dell’erosione del suolo, della frammentazione del territorio, della densità delle coperture artificiali.

La Sicilia è una delle regioni più a rischio desertificazione. Ma non è da sola. "Il rischio è molto elevato, ci sono quattro regioni altamente vulnerabili alla desertificazione in chiave storica", spiega Massimo Gargano, direttore generale dell'Anbi, l'Associazione Nazionale delle Bonifiche, delle Irrigazioni e dei miglioramenti fondiari. "Si tratta di Molise, Puglia, Basilicata e ovviamente della Sicilia, che ha circa il 70% del suo territorio a rischio. Si tratta di percentuali elevate che chiedono un'inversione di rotta nei comportamenti", sottolinea Gargano.  Ma per l'Ispra ci sono significativi peggioramenti anche in aree del nord, come in Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna. Basti pensare all'allarme razionamenti e alla crisi idrica in corso in Piemonte e nel Bacino del Po.

Non è solo colpa della siccità

"Dieci anni fa la situazione climatica era diversa, mentre in questo momento è da dicembre che non piove, salvo piccole rapide pioggerelle", aggiunge Migliore. Le conseguenze si vedono a occhio nudo, per esempio nella minore resa della produzione di grano, coltivato da tanto tempo in tutta la provincia di Caltanissetta, da Riesi a Butera, fino a Mazzarino. Tutte località storicamente piene di campi, "ma quest'anno sta diventando difficile lavorare", spiega Migliore. "Se non piove è un problema grosso per tutti: da un pò di tempo le rese sono davvero inferiori". I numeri sono impietosi: "Si raccolgono tra i 10 e i 15 quintali di grano per ettaro nei terreni buoni, quelli meno buoni invece ne producono solo 6-7. Con una media che dovrebbe essere tra i 25 e i 35 quintali, fino ai quaranta", sottolinea Migliore.

La siccità è una spiegazione, ma non è l'unica. La desertificazione infatti è legata non solo alla mancanza di acqua, "ma va intesa anche come distruzione del potenziale biologico del suolo, della sua fertilità", spiega Gargano. Una distruzione che avanza silenziosamente, ma ininterrottamente. "La colpa è delle attività dell'uomo, dirette e indirette. L'uso di fertilizzanti chimici, proposto per anni come soluzione, ha pesato tantissimo. E pure la rinuncia ad alcune tecniche agronomiche, come ad esempio l'uso del letame, ha inciso in maniera negativa", aggiunge il direttore generale di Anbi.

La desertificazione in Italia va ancora intesa come pesante aridità. Nulla è compromesso, insomma, non ci sono deserti in formazione: anche se alcuni dati fanno riflettere. Nel 2022, la regione meno piovosa del nostro Paese è stata l'Emilia-Romagna, dove è piovuto addirittura meno che in Israele. La colpa è ovviamente dei cambiamenti climatici, un fenomeno ormai non emergenziale ma strutturale, dovuto come noto alle emissioni di gas serra.

"Ci sono periodi lunghissimi di siccità, dove non piove, in alternanza a periodi brevi e molto piovosi, quasi equatoriali come tipologia di precipitazioni", spiega Gargano. Di fatto, cade la stessa quantità di acqua, ma in pochissimo tempo. E non è la stessa cosa per i terreni. "Le precipitazioni avvengono su terreni troppo asciutti, incapaci di raccogliere acqua", prosegue il direttore generale dell'Anbi.

In questo contesto, la capacità produttiva dei terreni è messa a repentaglio. "I suoli si compattano, diventando difficili da ossigenare. L'uso di mezzi pesanti e di fertilizzanti, unito alla mancanza d'acqua, sta creando grandi problemi", aggiunge Gargano. Che ricorda come uno degli elementi capaci di mantenere l'acqua nei terreni sia "banalmente la sostanza organica, il letame ad esempio. In sua assenza, si spende più per coltivare i terreni e si perde reddito". Per combattere la desertificazione progressiva, una soluzione è dunque riadottare pratiche agronomiche virtuose del passato, più in armonia con i cicli naturali.

Ma esistono possibili soluzioni

Inoltre, se le falde acquifere si abbassano sempre di più, come spiegato da Migliore, spesso le acque del mare riescono a penetrare queste falde, cambiandone la composizione chimica e rendendole meno adatte all'uso agricolo. "Basti pensare a quanto sta succedendo nel Po, dove l'acqua del mare sta invadendo il letto del fiume. Stessa cosa accade ad esempio al lago di Bracciano". Si tratta del fenomeno del cuneo salino, altro grande problema che può aumentare l'avanzata della desertificazione.

Per Gargano e Migliore la soluzione comunque è a portata di mano. "Abbiamo bisogno di costruire numerosi bacini d'accumulo, un sistema diffuso per raccogliere l'acqua", spiega Gargano. Quello dell'Anbi è un piano per costruire "laghetti artificiali", capaci di raccogliere l'acqua in più che il terreno non è in grado di assorbire. "Ma su questi specchi d'acqua si potrebbe anche produrre energia, tramite fotovoltaico galleggiante, trasformando questi laghetti anche in piccole batterie energetiche". Unendo dunque il risanamento dei terreni alla produzione di energia, e offrendo dunque una risposta complessiva alle esigenze di territori in pericolo sotto il profilo biologico.

Altrimenti, il rischio è che alla desertificazione come fenomeno fisico si accompagni una desertificazione sociale. "Prima quando si facevano i pozzi si trovava l'acqua, chiunque poteva trovarla. Oggi invece non si trova acqua quasi da nessuna parte. Tanti si sono indebitati per sostenere le proprie attività, ma ora non hanno acqua per irrigare", sottolinea il presidente della Cia locale. E in Sicilia centrale, dove una buona fetta della popolazione vive di agricoltura, questo porta al fatto che sono sempre meno le persone impiegate nel settore primario. "I figli vivono con le pensioni dei padri, a volte dei nonni, ma questo un giorno finirà. Come faremo allora?", si chiede Migliore.