Elezioni Europee 2024, Che Clima Che Fa in Azione, Zollino: “Il prossimo Green Deal dovrà convincere tutto il mondo che esiste una via”

In Italia per le europee si vota l’8 e il 9 giugno 2024. Insieme a Zollino abbiamo approfondito la visione di Azione su Green Deal e cambiamenti climatici.
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Rubrica a cura di Francesco Castagna
28 Maggio 2024

Se il clima alle porte di giugno si fa sempre più caldo, lo stesso avviene per il dibattito politico in vista delle elezioni europee. Oltre agli aspetti di carattere internazionale e di politica estera di indubbia importanza, queste elezioni servono anche a "dare un voto" al Green Deal, quel grande piano con cui l'Unione europea si proponeva di diventare il primo continente al mondo a emissioni zero.

In Italia l'8 e il 9 giugno si potrà andare al voto, ma per farlo non è importante capire se i politici parlino di ambiente, ma in che modo (come avevamo già fatto con "Che Ambiente votiamo?"). Con la rubrica "Che Clima Che Fa" vogliamo mettere alla prova i candidati, per capire qual è la loro preparazione e visione sul Green Deal e sulla transizione ecologica.

Abbiamo contattato Giuseppe Zollino, responsabile Ambiente ed Energia di Azione e candidato per la circoscrizione Italia Nord Occidentale.

Zollino, il Green Deal proposto finora dall'attuale Commissione UE ha previsto misure come la Direttiva Case Green. Calenda, il vostro leader, si era già detto contrario. Ci può spiegare la vostra posizione?

Mi sono sempre occupato di energia e ambiente nella mia carriera professionale. Sono un professore di Tecnica ed Economia dell'Energia all'Università di Padova. Questa materia la insegno da più di 20 anni, ma come me ci sarebbero 3000 studenti in grado di rispondere. L'efficienza energetica ha delle regole, la Direttiva sulle prestazioni energetiche degli edifici non nasce con Timmermans, era già preesistente, ma, come molti dei provvedimenti che sono stati presi dopo il varo del Green Deal, la nuova versione fissa degli obiettivi estremamente sfidanti in tempi brevissimi, con una logica che è la seguente: dare a tutti gli europei l'evidenza di una fortissima ambizione verso la transizione ecologica, a prescindere dalla reale fattibilità di quegli obiettivi.

Per noi questo è un approccio sbagliato, perché, com'è scritto nel Green Deal, la transizione dev'essere motore di crescita economica, a partire dalla nascita di nuove filiere industriali; da nessun passaggio del Green Deal trapela mai che la transizione ecologica possa essere raggiuta per decrescita, impoverendo il tessuto industriale europeo, a danno dell'occupazione e in definitiva della qualità della vita dei cittadini. Nello specifico, la nostra posizione sulla Direttiva cosiddetta Case Green è che qualunque intervento su un edificio debba essere impostato nel modo seguente: l'investimento dev'essere recuperato nella vita utile dell'edificio in termini di risparmio sulle bollette energetiche. E considerando l'attualizzazione dei risparmi, la vita utile è dell'ordine dei 20 anni. Non si può stabilire a priori, senza criterio, che tutte le case dell'Unione europea debbano diventare a emissioni zero. In realtà, l'articolo 1 della direttiva afferma che gli interventi di efficienza energetica debbano essere "cost effective", ovvero efficienti anche dal punto di vista dei costi. Ma dopo l'enunciato di partenza, la direttiva di fatto non ne tiene conto e fissa obiettivi di riduzione dei consumi energetici negli edifici, con precise scadenze temporali e uguali per tutti gli Stati Membri. Questo per noi è un errore tecnico evidente, direi quasi scolastico.

Noi abbiamo fatto un'analisi dell'impatto anche solo dell'obiettivo al 2030. La Direttiva impone agli Stati Membri di ridurre entro il 2030 i consumi negli edifici del 16% rispetto a quelli del 2020. Cosa questo significhi si può ricavare dai dati Eurostat e dalle analisi di impatto allegate al pacchetto cosiddetto Fit for 55, di cui Case Green fa parte. Se i parlamentari europei che hanno approvato questa Direttiva (Azione ha votato contro) avessero letto e capito quei numeri, avrebbero realizzato che per l'Italia quell'obiettivo corrisponde a più di 5 volte i risparmi conseguiti con il Superbonus 110%.

Il Superbonus ci è costato 130 miliardi circa; vogliamo dire che, con una gestione più attenta, ne sarebbero bastati 100? Ecco, allora possiamo stimare che per gli obiettivi al 2030 di Case Green potrebbero servire 500 miliardi, a carico dei proprietari degli immobili o della finanza pubblica, o un po' e un po'. Ma sempre 500 miliardi sono: 83 miliardi all'anno che potrebbero essere destinati alla sanità, alla scuola, ai salari poveri. Questo non significa che efficientare gli edifici sia un errore. Si tratta di capire come. Nel programma di Azione sono indicate alcune soluzione: per gli edifici di nuova costruzione è ragionevole fissare standard obbligatori di efficienza; per gli edifici già esistenti, pensiamo sia preferibile incentivare i proprietari ad efficientare le proprie case al livello che sia anche economicamente efficiente, nel senso visto prima, attraverso un credito di imposta di misura ragionevoli (intorno al 50%) e con l'erogazione di mutui di lunga durata con garanzia pubblica, per i quali la rata sia confrontabile con i risparmi in bolletta; riteniamo inoltre ingiustificate alcune esenzioni oggi previste, che divengono inutili una volta che sia fatto valere il principio dell'efficienza dal punto di vista dei costi.

Parlando di un altro obiettivo che ha delle scadenze, andiamo sulla decarbonizzazione del settore automotive. Che ne pensa?

Intanto ci tengo a premettere che siamo convinti che il futuro dell'automobile sarà elettrico, tanto che nei nostri scenari a zero emissioni di lungo periodo una fetta significativa dei consumi elettrici è attribuita ai trasporti. Il punto anche qui è gestire la transizione passo passo. E anche in questo caso siamo in presenza di un approccio tecnicamente discutibile: il regolamento tiene infatti conto solamente delle emissioni durante la marcia e non di tutte quelle nel ciclo di vita. Così un veicolo elettrico prodotto interamente in Cina, o in Europa ma con batterie prodotte in Cina, e utilizzato in Polonia o in Germania, risulta identico a uno eventualmente prodotti in Francia, insieme con la sua batteria. Mentre, a causa del livello di emissioni del settore elettrico in Cina, Polonia e Germania, da una parte, e di quelle in Francia, dall'altra (circa 10 volte inferiori in Francia) la situazione è diversissima. E certamente nel primo caso (Cina, Polonia, Germania) le emissioni nel ciclo di vita sono molto superiori a quelle di una utilitaria europea con motore a combustione alimentato a biometano. E invece la direttiva vieta la vendita di una vettura con motore a combustione anche se alimentata a biometano.

E invece l'impiego di combustibili a bassa emissione aiuterebbe nella gestione del transitorio. Infatti, fissare a tavolino il 2035 come data ultima per passare dai veicoli a combustione, anche venissero alimentati a biogas, ai veicoli elettrici, non è detto sia compatibile con la conversione di tutta la filiera automotive.

Se vogliamo che il Green Deal sia davvero un'occasione di crescita economica, perché fissando nuovi obiettivi di ambientalizzazione promuoviamo la crescita di filiere industriali innovative, dedicate a quegli obiettivi, dobbiamo verificare, passo passo, che la filiera industriale stia effettivamente evolvendo nella giusta direzione. E per questo serve un approccio incrementale. Per formare una nuova generazione di ingegneri, tecnici, manutentori, ecc. specializzati nella filiera automotive elettrica, ci vuole tempo, altrimenti la transizione ecologica rischia di diventare una specie di tsunami che travolge filier eindustriali nelle quali siamo forti, senza che ne siano cresciute di nuove tutte.

Purtroppo questo è già avvenuto in altri settori, dove probabilmente la partita l'abbiamo già persa, o comunque è davvero molto difficile recuperare. Per esempio, l'anno passato il 95% dei pannelli fotovoltaici installati in Europa erano importati dalla Cina. Quasi tutte le batterie installate erano fabbricate in Cina o in Corea del Sud. Perchè abbiamo commesso l'errore si fissare obiettivi europei obbligatori di produzione di energia rinnovabile, cioè di installazione di impianti fotovoltaici e batterie, senza prima curarci dello sviluppo di filiere industriali in quel campo. Transizione sostenibile significa prima politica industriale, inclusi magari dazi ambientali sulle importazioni da Paesi che dell'ambiente si preoccupano assai meno dell'Unione Europea, poi sostegno alla diffusione dei nuovi prodotti idonei alla transizione.

…quindi non siete contro la spesa pubblica? 

Bisogna distinguere tra debito buono e cattivo, se ne è parlato tanto durante il Governo Draghi. Il debito buono serve a far crescere una filiera industriale, che poi ha i suoi frutti con la crescita economica; quindi è un investimento produttivo. Il pubblico deve intervenire dove ci sono dei fallimenti di mercato. Se voglio spostare la filiera automotive dai motori a combustione al motore elettrica, devo prima introdurre misure che agevolino gli investimenti in quel settore.

Quale sarebbe dunque, secondo voi, l'orizzonte temporale per la transizione energetica?

Questa domanda in realtà non può avere una risposta. Bisogna osservare attentamente e costantemente il processo di trasformazione. Transizioni tecnologiche ce ne sono state tante nella storia, ma mai è stata decisa a tavolino la data del passaggio dal vecchio al nuovo. Non sono in grado di darvi una data, posso solo spiegarvi cosa si deve fare: alimentiamo una filiera industriale; dopo due o tre anni valutiamo qual è stata l'evoluzione e se siamo pronti cominciamo a promuovere quote di penetrazione del nuovo prodotto; se invece l'evoluzione è ancora indietro, continuiamo a lavorare sulla filiera industriale.

Fissare date perentorie entro le quali ci deve essere il passaggio di consegne tra la vecchia tecnologia e la nuova non serve a nulla, neanche di fronte alla nobilissima motivazione della decarbonizzazione. Del resto, se anche solo l'Unione Europea arrivasse alla decarbonizzazione facendo tabula rasa della nostra industria, non salveremmo la Terra (visto che le nostre emissioni sono circa ‘8% del totale mondiale) e soprattutto non saremmo un esempio da seguire. Se invece riusciamo a ridurre le emissioni fino ad azzerarle, promuovendo un percorso virtuoso, anche se servissero 10 o 20 anni in più, allora c'è davvero la possibilità che altri ci imitino. L'ambizione dell'Unione Europea di essere leader di questo processo si scontra clamorosamente con i gravi errori di implementazione.

Ma non sto dicendo nulla di originate: è scritto sin dall'incipit del testo del Green Deal che la transizione ecologica dev'essere volano di crescita economica. Se invece essa desse luogo anche solo a un inizio di decrescita, allora sarebbe fortemente avversata -come purtroppo vediamo in questa campagna elettorale e non solo in Italia- da partiti che cavalcano le paure dei cittadini preoccupate da questa prospettiva e -ahimè- prenderanno un sacco di voti.

Zollino, sul nucleare cosa manca a livello italiano? Cosa possiamo fare di più a livello europeo? 

Premetto che, conoscendo bene tutta la filiera nucleare, non la temo. Un vecchio adagio recita:"quando una cosa ti spaventa, misurala. Potresti scoprire che avevi ragione a temerla, oppure capire che ti avevano spaventato per altre ragioni, in buona o malafede". Prima di parlare di nucleare, bisogna però capire perché, in un futuro senza emissioni, abbiamo bisogno di tanta energia elettrica. Oggi noi consumiamo poco più di 300 terawattora, ma secondo la strategia italiana per la decarbonizzazione nel lungo termine, pubblicata a inizio 2019 dal ministro Sergio Costa, secondo Governo Conte, nel 2050, data di di riferimento, che non sarebbe un dramma se diventasse 2060 o giù di lì, ci servirà molta più energia elettrica. Perché lo scenario a zero emissioni italiano, analogamente a quello degli altri Paesi sviluppati, prevede che l'energia elettrica sostituirà i combustibili fossili in tanti settori. Riguardo ai trasporti abbiamo già detto che nel lungo periodo saranno largamente elettrificati. Con quali infrastrutture lo vedremo: magari invece delle colonnine di ricarica, si potrebbe andare verso la sostituzione delle batterie, in stazioni di servizio simili agli attuali distributori di carburante. Sono trasformazioni che richiedono tempo, ma il futuro senza emissioni è quello. E quando la gran parte dei trasporti sarà elettrica, tutti i riscaldamenti saranno a pompa di calore, i gas necessari ai settori difficilmente elettrificabili (trasporti di lungo raggio, alcune filiere industriali) saranno derivati da idrogeno, a sua volta prodotto da energia elettrica, pur ipotizzando una consistente riduzione della domanda finale di energia, per effetto di un forte incremento dell'efficienza, la domanda elettrica sarà molto maggiore di oggi.

Secondo la strategia italiana di cui sopra, per raggiungere la decarbonizzazione serviranno tra 650 e 700 terawattora di energia elettrica, quasi due volte e mezzo i fabbisogno attuale, tutti da generare senza emissioni di gas serra. Delle fonti rinnovabili modulabili (il cui funzionamento non dipende da madre natura ma può essere regolato secondo le esigenze) idroelettrico e geotermico sono difficilmente incrementabili e biomasse e biometano possono essere aumentate sino a un potenziale limitato. Pertanto, se volessimo utilizzare solo rinnovabili, dovremmo puntare prevalentemente sul solare e in misura minore sull'eolico, perché in Italia c'è molto meno vento che nel nord Europa. Ma solare ed eolico, sono tecnologie non solo variabili, ma anche simultanee. Cioè per quanto numerosi siano i pannelli solari a Milano, quando il cielo è coperto, o dopo il tramonto, l'energia generata è molto piccola o zero. D'altra parte, in una giornata limpida producano tutti insieme, e in una giornata di luglio anche 5-6 volte in più di una giornata di dicembre. Lo stesso vale per i generatori eolici, con l'eccezione a volte della Sardegna, che prende il vento dal Golfo del Leone, ma non possiamo immaginare di installare sulla Sardegna impianti eolici che suppliscano ai momenti di bonaccia nel resto d'Italia.

Questa forte variabilità giornaliera e stagionale richiederebbe di installare impianti fotovoltaici in sovrappiù per disporre di energia anche d'inverno, con la conseguenza che d'estate una gran parte di quell'energia non sarebbe utilizzabile in modo efficace, ma comunque andrebbe pagata ai produttori, che altrimenti non investirebbero negli impianti. Inoltre sarebbe necessario installare ingenti quantità di sistemi di accumulo giornalieri, per esempio batterie, e stagionali, per esempio a idrogeno, che comportano costi molto alti e una perdita di energia nel processo di carica e scarica, ancora più consistente nel processo di trasformazione da elettricità a idrogeno e poi di nuovo a elettricità, con due trasformazioni abbastanza inefficienti. Per di più, un sistema di accumulo stagionale verrebbe utilizzato solo una volta l'anno, da estate a inverno, e, per quanto ottimistica possa essere la sua previsione di vita, il suo impatto sui costi del sistema è molto alto.

Pertanto, se facciamo i confronti tra un sistema 100% rinnovabili in Italia e uno con un mix in cui la maggior parte è rinnovabile e una quota di nucleare, la seconda opzione è molto più sostenibile. Questo perché occupa meno superficie, impiega meno materiali, costa meno considerando i costi di tutto il sistema.

Tutto ciò lo spieghiamo nel programma di Azione, che, proprio perché ricerca le soluzioni migliori, mi sento di definire come un partito radicalmente ambientalista, che vuole davvero ridurre le emissioni fino ad azzerarle. Abbiamo spiegato quanto serve per ciascuna tecnologia in gioco: fotovoltaico, eolico, nucleare e sistemi di accumulo, nel caso si utilizzino solo rinnovabili e nel caso venga inclusa una quota nucleare. Altri partiti, che si dicono ambientalisti, non danno un numero che sia uno. Se qualcuno di questi ambientalisti fornisse dei dati, dei numeri, allora potremmo confrontare i nostri con i suoi, e se ha fatto considerazioni migliori delle nostre, saremmo pronti a riconoscerlo. Il nostro obiettivo è decarbonizzare, per questo lo affrontiamo in modo serio, ovvero guardano prima la meta di lungo periodo e poi individuando a ritroso le tappe intermedie. E le tappe devono tener conto della capacità della filiera e del sistema industriale di adeguarsi a quella trasformazione. La soluzione peggiore per la decarbonizzazione è "andiamo avanti così, facendo il possibile, e poi si vedrà". Dobbiamo invece decidere per bene dove vogliamo dirigere la nostra strategia, sin da ora.

Zollino, Azione si presenta per la prima volta da sola alle elezioni europee. Dal punto di vista ambientale, che cosa dobbiamo aspettarci se la vostra lista dovesse superare la soglia di sbarramento del 4%?

Intanto io penso che questa soglia noi la supereremo facilmente. Detto ciò, il tema è molto semplice: abbiamo presentato un programma di 10 punti, ciascuno di essi si declina su molti aspetti che riguardano le politiche ambientali. Io mi occupo del punto 5 del programma "Energia e Ambiente". Prima ancora di "cosa" ci proponiamo di fare, io penso che sia ancora più caratteristico nella proposta di Azione "con quali candidati" ci proponiamo di farlo. Io sono da due anni il responsabile di Energia e Ambiente di Azione, il mio curriculum e la mia attività testimoniano il mio lavoro. Sono quasi 40 anni che mi occupo di questi temi da un punto di vista scientifico e accademico. E in più sono stato 6 anni in Parlamento europeo come funzionario nel segretariato della Commissione Parlamentare Industria Ricerca ed Energia, e mi sono occupato tra il 2001 e il 2006 di molte direttive sull'energia: fonti rinnovabili, efficienza energetica, sicurezza degli impianti nucleari etc. Poi per 7 anni sono stato delegato italiano nel comitato energia del 7° programma quadro, dove, insieme alla Commissione europea mi sono occupati di sviluppo di tecnologie energetiche innovative.

La conoscenza approfondita dei temi e l’esperienza sul campo sono fondamentali per lavorare in modo efficace ed essere influenti in Parlamento Europeo, che è un organismo molto tecnico. È vero che i suoi membri sono eletti, ma non ci sono una maggioranza e un'opposizione ben definita, come in un parlamento nazionale. Perciò quando il Parlamento deve emendare una proposta della Commissione europea, deve formulare la sua posizione in modo autonomo, cambiando quella proposta anche radicalmente. Poi inizia la negoziazione tra Commissione, Parlamento e Consiglio dei capi di Stato e di Governo. Ci sono spesso situazioni di conflitto tra le tre entità che ho citato; ed è proprio in questi casi che pochi europarlamentari, di riconosciuta competenza e perciò autorevoli e influenti, insieme provano a elaborare, spesso in via informale, una via d'uscita. Quella decisione è spesso un ottimo assist per tutti, perché è la posizione raggiunta nell'unico organismo eletto, ovvero il Parlamento. Questo è un invito che noi di Azione ci sentiamo di fare: scegliete le persone in base al curriculum, perché un rispettabilissimo avvocato è difficile che riesca a entrare nel merito di questioni tecniche sull'energia nucleare o rinnovabile.

La scelta di Azione di candidare persone con un curriculum solidissimo sui temi su cui il partito vuole avere un peso è coraggiosa. Gli elettori vadano a cercare chi sono i vari candidati dei vari partiti, quale la loro competenza ed esperienza sui temi che stiamo trattando, e scelgano il meglio.

Zollino, abbiamo preparato un cartello che rappresenta il grano ucraino. In un contesto di conflitto a causa dell'invasione da parte della Russia di Putin, come si tutela la sicurezza alimentare e come si interviene sui corridoi del grano?

La politica agricola europea è un tema di competenza esclusivamente dell'Unione europea. Si chiama PAC, è la voce più consistente del bilancio europeo, proprio perchè i Paesi Membri hanno completamente delegato all'UE gli interventi anche economici sull'agricoltura e gli aiuti di Stato non sono consentiti. Su questo l'Unione europea non può essere accusata di defezione, come prima abbiamo detto per la politica industriale. Detto questo, quando parliamo di Ucraina e di sicurezza, credo sia necessario usare il termine soprattutto in un'accezione. L'Ucraina è sta invasa ed ha diritto di respingere l'invasione. Il primo punto del programma di Azione è pieno sostegno militare ed economico all'Ucraina. Poi ripristineremo tutti i corridoi del grano. Aiutiamo l'Ucraina perché vogliamo aiutare noi stessi, impedendo a Putin di avere la meglio. Anche per questo, un altro punto che noi pensiamo sia importante, è quello della difesa comune europea.

Zollino, questi cartelli invece rappresentano le due principali proteste che hanno caratterizzato l'ultimo anno. Da una parte quella degli agricoltori, dall'altra quella degli attivisti di Ultima Generazione. Noi di Ohga crediamo che siano entrambe frutto di un vuoto comunicativo che si è venuto a creare tra le istituzioni e la società civile. Con quale delle due empatizza di più? Ci può dire un aspetto positivo e negativo di entrambe?

Senza dubbio derivano da un'incapacità di comunicare e di capirsi, ma le origini a mio parere sono un po' diverse tra loro. Partendo da quella dei trattori, abbiamo detto precedentemente che la Politica Agricola Comune è il capitolo più corposo dell'Unione Europea. Bisogna distinguere le legittime preoccupazioni, quando si fissano target che gli agricoltori trovano difficili da raggiungere, e si mescolano con l'insostenibilità della filiera lunga, per cui un prodotto che al supermercato ci costa tre euro al kilo ai produttori viene pagato 30 centesimi. E paradossalmente l'aiuto comunitario si aggiunge ai quei 30 centesimi, finendo per preservare l'anomalia, invece di razionalizzarla. Credo che le proteste rispecchino una giusta paura che poteva e può essere risolta con un dialogo e il negoziato. Invece c'è purtroppo chi ha cavalcato questa rabbia per guadagnare un voto e si trovava in Place du Luxembourg a tirare giù la statua che campeggia al centro della piazza. Azione non supporterà mai gesti del genere, ma è pronta da dare il suo contributo per una soluzione razionale.

Riguardo la protesta dei giovani attivisti di Ultima Generazione, che vorrebbero risolvere immediatamente la crisi climatica, spenderò qualche parola in più. Ho pubblicato di recente un libro, "Te lo dò io il Green Deal", in cui critico diversi aspetti dell'implementazione del Green Deal. Qualcuno è riuscito a far credere a questi giovani che hanno a cuore il futuro del pianeta, che la transizione climatica sia una questione risolvibile in pochi anni.

Stiamo parlando di fenomeni globali, l'Europa rappresenta il 7,5% delle emissioni di CO2 mondiali, l'Italia lo 0,8%; l'Unione Europea, da almeno 25 anni, pur consapevole del suo modesto impatto, ambisce a individuare soluzioni che poi il mondo intero adotti. In caso contrario, qualunque cosa facessimo sarebbe del tutto irrilevante. Perciò la cosa giusta da fare è individuare una via sostenibile e indicarla agli altri. Un po' come Annibale dobbiamo "trovare una via, e se non la troveremo la costruiremo". Costruire la via per arrivare alla decarbonizzazione è un lavoro che richiede competenza, studio, trasparenza, realismo e anche coinvolgimento di tutti quelli, in primis questi ragazzi, genuinamente interessati alla soluzione. Scienza e società insieme in un percorso virtuoso verso la decarbonizzazione che coinvolga il mondo intero. Non sono incline a considerare "normale" che un ragazzo di 16 anni getti un secchio di vernice su un quadro o su una statua, per attirare l'attenzione. Per questo invoco il dialoghi. Ma considero particolarmente odioso che adulti, in buona o malafede, cavalchino questa protesta, insinuando che deliberatamente non si voglia fare ciò che invece è alla portata. E quando lo insinuano -fateci caso- non aggiungono mai la misura di quanto serve, qual è l'impatto, quanto costa, chi paga, per arrivare all'obiettivo per sostengono essere dietro l'angolo. In questo modo costoro oltre ad alimentare la frustrazione dei giovani attivisti, mancano loro di rispetto più di quanto, a prima vista, può sembrare faccia io, quando dico che ci vuole tempo o programmazione, scelta accurata di obiettivi, tecnologie e tabelle di marcia. Noi vogliamo arrivare realmente a decarbonizzare, non puntiamo ad avere solo il voto di questi ragazzi, illudendoli con obiettivi e tabelle di marcia irrealizzabili.

All'estremo opposto, è ugualmente errata la reazione di chi sostiene che "i cicli climatici sono naturali e non dipendono dall'uomo e dunque non serve abbandonare i fossili"; e vi spiego il perché. Oggi la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera è di 420 parti per milione; nell'ultimo milione di anni in cui si sono susseguite glaciazioni e inter-glaciazioni, essa è sempre oscillata tra i 200 e i 280 parti per milione. Solo negli ultimi cento anni, in coincidenza con il sempre più massiccio impiego di combustibili fossili, è schizzata 420, il 50% in più del massimo mai misurato nei carotaggi di ghiaccio relativamente all'ultimo milione di anni. Se qualcuno pensa che ciò non sia la causa del riscaldamento globale, ma l'effetto, bisognerebbe chiedergli come mai in un milione di anni non c'è mai stato questo risultato. Tuttavia, se anche ci fosse una sola persona che ha fatto dei conti, in grado di dimostrare che non è la causa, ma l'effetto, e che la causa sia naturale, io penso che quella persona non vada denigrata, e che non vada tacciata di negazionismo. Io vengo da una università dove lavorava Galileo Galilei, che ebbe modo di scrivere di aver trascorso a Padova i migliori 18 anni della sua vita, perché sotto la protezione della serenissima repubblica di Venezia, piuttosto laica, non aveva avuto problemi con la sua teoria eliocentrista. Appena rientrò a Pisa venne processato e costretto ad abiurare. Detto ciò, siccome l'anidride carbonica in atmosfera ha una persistenza lunghissima, se stanotte per miracolo le emissioni mondiali fossero azzerate per sempre, per tornare alla concentrazione pre-industriale ci vorrebbero tra i 200 e i 1000 anni; così dicono Nasa e IPCC. Cioè, in una situazione ideale, con zero emissioni, ci vorrebbero non meno 200 anni per tornare indietro. Da qui si capisce intanto che i cambiamenti climatici già in atto dureranno molto a lungo e ad essi dobbiamo adattarci, investendo in tutte le infrastrutture necessarie per gestirne le conseguenze, che si tratti di nuovi bacini di laminazione idonei ai diversi regimi delle piene dei corsi d'acqua o di impianti di dissalazione, dove manca l'acqua. E dobbiamo farlo anche se non ci fosse la prova empirica che ciò dipende dall'uomo, perché essa ce l'avremmo da un centinaio d'anni, e sarebbe a quel punto troppo tardi per porvi rimedio. Un po' come Pascal per l'esistenza di Dio, ci conviene scommettere che sia colpa dell'uomo, perché non ci possiamo prendere il lusso di aspettare la prova empirica galileiana della responsabilità antropica. Dunque, a me pare che abbiamo tutte le informazioni necessarie a ricavarne indirizzi di policy: dobbiamo adattarci e insieme procedere verso la decarbonizzazione. E per la decarbonizzazione c'è un'unica strada per farlo: individuare percorsi che siano sostenibili, cioè compatibili con i tempi necessari alle necessarie sostituzioni tecnologiche, con tutte le implicazioni economiche e sociali, e privi di pregiudizi tecnologici. Percorsi che, non compromettendo la crescita economica, potrebbero essere imitati nel resto del mondo. A tal proposito, se guardiamo coi numeri l'effetto dell'inclusione del nucleare nel mix energetico, rispetto all'impiego di sole rinnovabili, la differenza balza chiara agli occhi.

Per concludere, io vorrei incontrare questi ragazzi per discutere con loro di questi temi, perché credo che siano strumentalizzati da chi vuole invece usare la loro indignazione per coltivare i suoi interessi di parte. Io e tutta Azione ci consideriamo "ambientalisti reali" e ci teniamo a differenziarci dagli "ambientalisti immaginari", che vorrebbero lottare contro i cambiamenti climatici rinunciando, per scelta ideologica, all'arma più efficace e più efficiente, l'energia nucleare, che insieme con le fonti rinnovabili, ciascuna nella giusta quota, porterebbe più in fretta e in modo più sostenibile alla decarbonizzazione.

Chi vuole veramente azzerare le emissioni non può che essere a favore di tutte le tecnologie a basse emissioni. Proprio come siamo noi di Azione.

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