Europee 2024, “Che Clima Che Fa” nel Partito Democratico, Evi: “Torniamo a rendere la conversione ecologica socialmente desiderabile”

In Italia le elezioni europee si terranno l’8 e il 9 giugno 2024. Insieme a Evi abbiamo approfondito la visione del Partito Democratico su Green Deal e cambiamenti climatici.
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Rubrica a cura di Francesco Castagna
15 Maggio 2024

Essere o non essere primi della lista dei candidati alle elezioni europee 2024? Questo è stato il tema più discusso, che ha messo i leader di ogni forza politica davanti a una domanda: contano più i temi, oppure i politici? Oltre agli aspetti di carattere internazionale e di politica estera di indubbia importanza, queste elezioni servono anche a "dare un voto" al Green Deal, quel grande piano con cui l'Unione europea si proponeva di diventare il primo continente al mondo a emissioni zero.

In Italia l'8 e il 9 giugno si potrà andare al voto, ma per farlo non è importante capire se i politici parlino di ambiente, ma in che modo (come avevamo già fatto con "Che Ambiente votiamo?"). Con la rubrica "Che Clima Che Fa" vogliamo mettere alla prova i candidati, per capire qual è la loro preparazione e visione sul Green Deal e sulla transizione ecologica.

Abbiamo contattato Eleonora Evi, in corsa con il Partito Democratico dopo che la segretaria Elly Schlein ha deciso di candidarla per la circoscrizione Nord-Ovest.

Evi, abbiamo preparato dei cartoncini in cui ci sono raffigurate le due proteste che, dal punto di vista ambientale, hanno caratterizzato quest'ultimo anno e che secondo noi di Ohga derivano da uno strappo tra la società civile e le istituzioni. Con quale delle due empatizza di più? Ci può dire un aspetto positivo e uno negativo di entrambi? 

Senza dubbio con le proteste dei ragazzi di Ultima Generazione. Credo che le loro manifestazioni di dissenso, sempre con modi non violenti e quindi assolutamente molto fermi, decisi e a volte chiaramente un po' sopra le righe, siano quello che serve in questo momento storico.

Abbiamo di fronte a noi una crisi climatica che è talmente grande, grave e  che si avvicina sempre di più, che continuare a non fare niente -come di fatto sta facendo questo Governo- è folle. Grazie a loro e alla loro azione -alcune cose io non le farei, l'ho detto anche a loro- sono stati realizzati atti di grande forza simbolica, che lanciano un grande messaggio.

Mi sembra assurdo che questo Governo abbia voluto punirli con leggi e reati ad hoc, definendoli eco-vandali per sminuire la portata della loro azione. Danneggiare le opere d'arte, anche se non c'è stato nessun danno né alcuna intenzione da parte loro- è un gesto che io personalmente non farei, ma che capisco, comprendo e che anzi penso sia di forte impatto.

Ritengo invece che la protesta degli agricoltori e dei trattori sia stata molto strumentalizzata, in particolare da questo governo e dalle associazioni di categoria, che hanno voluto  fare proprie alcune delle rivendicazioni delle proteste. Secondo me è stato sbagliato completamente il focus: qui il tema è senza dubbio garantire un giusto reddito agli agricoltori -e ci mancherebbe altro- ma non è accusando l'Europa e le politiche del Green Deal e della transizione ecologica che risolviamo il problema. Anzi, quelle sono parte della soluzione per garantire la sopravvivenza dello stesso settore agricolo. Gli agricoltori spesso sono soggiogati da un meccanismo che li vede sempre più ai margini, sfruttati e all'ultimo anello di una catena di una filiera commerciale a cui arriva pochissimo del guadagno e del prezzo di vendita di qualunque prodotto che compriamo al supermercato.

Comprendo certe ragioni, ma non è accusando l'Europa che si risolvono le cose. Anzi, molto male ha fatto la Commissione Europea a cambiare le regole in corsa in quest'ultima fase, prima della fine di questa legislatura, allentando certi vincoli.

Si tratta proprio di un grave errore di metodo che crea ulteriori divisioni, perché serve spostare l'agricoltura verso pratiche sostenibili, penso all'agricoltura biologica o alla riduzione dei pesticidi. Un altro grande errore fatto da questa Commissione, infatti, è stato quello di ritirare la proposta di regolamento per ridurre i pesticidi. Non è così che risolviamo il problema.

Evi, l'8 e il 9 giugno si vota per un'elezione che segna la chiusura di un ciclo, quello di Timmermans e del Green Deal europeo, con cui l'UE si proponeva di diventare il primo continente a emissioni zero. Quali sono i punti di forza e di debolezza di questa maggioranza in Italia?

Io credo che un punto di forza, in questa competizione per l'Europa, sia una narrazione che guarda alla pancia, molto spicciola e che muove da una visione molto propagandistica in grado di semplificare al minimo i concetti, al limite della mistificazione. Mi è capitato spesso che esponenti di destra, durante i dibattiti, mi dicessero: "L'Europa ci vuole obbligare tutti domani a cambiare le auto e a comprarle elettriche. Chi le paga?". Le cose non stanno così, non è stato votato questo. Il Regolamento dice che dal 2035 si vieta la vendita di motori a scoppio e quindi si venderanno solo auto a emissioni zero.

Raccontare queste cose in maniera sbagliata, arriva alle persone che -chiaramente- si spaventano, si preoccupano e si chiedono come riusciranno a far fronte alle spese. Non è così, in realtà è molto più complesso di questo. Starebbe allo stato e al Governo l'azione di fare delle politiche più coraggiose e lungimiranti per incentivare l'acquisto di veicoli puliti. Noi dovremmo sostenere quella fascia di popolazione più fragile che oggi non è in grado di pagare con le proprie spese la transizione ecologica. Questo significa una transizione ecologica giusta, pagata soprattutto da chi può permetterselo oggi.

La Segretaria Elly Schlein, nella presentazione del programma del PD "L'Europa che vogliamo" ha chiesto -citandovi- "Un'Europa più solidale nell'approccio alla questione migratoria. Sappiamo che la gestione dei migranti è importante, sono diversi quelli che arrivano in Europa a causa dei cambiamenti climatici. Proviamo a immaginarci in quei luoghi, in Italia ci sono otto Centri per i Rifugiati, che cosa si sentirebbe di dire a un migrante climatico che arriva qui in Italia? Come rassicuriamo la comunità locale e, in ultimo, cosa facciamo a livello istituzionale? 

Intanto una premessa, i CPR sono dei luoghi disumani, sono dei veri e propri buchi neri. Io sono entrata più volte e ho visto con i miei occhi delle situazioni allucinanti. Quelli sono luoghi dove la stampa non può entrare, escono pochissime immagini e, di conseguenza, si sa molto poco. Le persone sono rinchiuse lì, solo perché non hanno i documenti. È una detenzione amministrativa, non hanno fatto alcun tipo di reato. Già questa è una roba folle.

A chi purtroppo si trova in questa condizione, e sfortunatamente è scappato per via di questioni legate al clima, vorrei dire che io mi auguro che presto possa esserci un riconoscimento dello status di rifugiato climatico, cosa che oggi purtroppo ancora non c'è. Su questo l'Unione europea dovrebbe lavorare molto, e anche il nostro Paese.

Dal mio punto di vista i CPR non dovrebbero proprio esistere, perché non assolvono nemmeno alla loro funzione. Sarebbero centri di permanenza e rimpatrio, ma il tema è: quale rimpatrio? Perché spesso queste persone vengono lasciate fuori dai cancelli, una volta finito il periodo di detenzione. Sono simboli, purtroppo, di un'Europa che cerca di chiudersi come una fortezza, invece di cambiare mentalità. Qui arrivo alla seconda domanda, io rassicurerei la popolazione affermando che non c'è nessun tipo di invasione.

Questa narrazione della sostituzione etnica sbandierata da questo Governo, tramite le parole del Ministro Lollobrigida, è una finzione. Lo dicono i numeri, che ci parlano di circa 5 milioni di presenze di migranti in Italia, tra regolari e irregolari. Anche quest'ultimi, bisogna dire che diversi studi mostrano come l'invasione non esista. Il tema è capire come lavorare davvero a delle politiche di accoglienza e integrazione. Fino a quando si investe in questi centri -che il Governo ha intenzione di aumentare, portandoli a una media di uno per regione- e con la decisione di coinvolgere l'Albania, non risolveremo questo fenomeno.

Costruiamo delle vie legali d'accesso e aboliamo la Bossi-Fini, che di fatto impedisce la ricerca di un lavoro e l'assunzione/ottenimento di un permesso di soggiorno per motivi lavorativi. Superiamo queste leggi vecchie e datate. Anche qui, ritengo sia ingiusto che una legge del genere aumenti l'irregolarità e non risolva il fenomeno dell'immigrazione.

Come convinciamo un possibile elettore, scettico sia sull'esistenza dei cambiamenti climatici che sull'Unione europea?

Convincere qualcuno dell'esistenza dei cambiamenti climatici,  e che questi siano un grande problema per l'umanità, credo che sia un po' complicato. Con tutta la mole di informazioni, evidenze scientifiche e studi presenti, significa chiudersi su convinzioni personali. Il negazionismo climatico oggi credo sia assurdo, qualcosa di inconcepibile.

Non c'è nessun complotto, gli eventi catastrofici sono visibili a tutti e avvengono sempre con maggiore frequenza, nel nostro Paese in particolare. L'Italia è nel bel mezzo del Mediterraneo, un hotspot climatico, un punto che si sta riscaldando più velocemente. Questo processo lo capiscono i nostri agricoltori, che vedono maggiori periodi di siccità, alternati a grandinate o alluvioni. Tutto questo è reale e non è motivato o dovuto a un complotto da parte di chissà chi.

…che ruolo hanno avuto le istituzioni nel diffondersi del negazionismo climatico?

Credo di sì, a tutti i livelli, sia europeo che internazionale, ma anche e soprattutto regionale. Io sono lombarda e vivo in una regione che fa di tutto per negare degli enormi problemi, penso al tema dell'inquinamento atmosferico su tutti. Lo smog nella Pianura Padana è un dato di fatto, ma continuiamo a sacrificare la vita delle persone senza mettere in campo diverse azioni in grado di tutelare la comunità locale. Molto spesso le azioni istituzionali sono state un'amplificatore di una certa narrazione che strizzava l'occhio al negazionismo, sia climatico, sia in generale di inquinamento ambientale che è molto forte e che si continua a sminuire.

…e come lo convinciamo a credere nell'Europa? 

L'Europa ha già oggi avviato un percorso, quello del Green Deal, anche se ha avuto delle battute d'arresto. È un percorso fondamentale per cercare di risolvere queste crisi. Non è proprio vero che noi europei inquiniamo poco rispetto al resto del mondo. Se consideriamo le emissioni del Continente sì, è vero. Se però pensiamo ai nostri con sumi e all'impatto delle nostre azioni quotidiane, fa parte tutto della nostra responsabilità. Bisogna cominciare a essere più consapevoli del nostro impatto sul nostro Pianeta e di quanto -come europei- possiamo fare.

L'Unione europea ha già messo in campo delle politiche ambientali, ma sono state comunicate molto male e, di conseguenza, le destre le hanno strumentalizzate. Mi auguro che la prossima Commissione europea abbia più coraggio, applicando un principio che uno dei fondatori del movimento verde -Alexander Lanner– in Italia ha sempre ribadito, ovvero "rendere la conversione ecologica socialmente desiderabile". Auspico un cambiamento che sia compreso e voluto da tutti e da tutte, bisogna rendere la transizione più accattivante e con dei bonifici per tutta la società.

Evi, secondo lei cosa manca in questo Green Deal?

Diverse cose, prima di tutto la legge sul clima, che ci diceva che avremmo dovuto stabilire una road map per ridurre le emissioni di CO2. Gli studi scientifici ci dicono che l'Unione europea dovrebbe ridurre entro il 2030 l'inquinamento da CO2 e di gas effetto serra di almeno il 65%. Il compromesso politico è arrivato a una riduzione del 55%, molto meno di quello che la scienza raccomanda.

Questo per me è un segnale di allarme, vuol dire che non stiamo facendo le cose in modo giusto, per garantirci un ritorno di competitività. Sento spesso dire che se la transizione ecologica non è economicamente sostenibile non conviene. Credo che non si pensi a un aspetto importante: se non investiamo subito in tecnologie verdi, non avremo quella competitività per trainare la transizione, invece di subirla.

Lei è entrata in politica con forti posizioni No Tav, partendo dal m5s, passando per Alleanza Verdi/Sinistra Italiana fino al Partito Democratico, che è storicamente a favore di quest'opera. Come facciamo coincidere la posizione personale con quella del partito?

Si è vero, il PD è storicamente a favore della TAV. Credo però che ci troviamo in una fase in cui il partito ha una segreteria che vuole imprimere un profondo cambiamento. Confido molto in questo, ed è anche il motivo per cui Schlein ha proposto la mia candidatura sulla base delle battaglie che ho fatto fino ad oggi sul fronte ecologista, femminista, animalista e antispecista.

Per alcuni versi questi temi non sono stati abbracciati dal Partito Democratico finora, ma Schlein mi ha scelto per dare un segnale di cambiamento forte, per spostare il baricentro di un grande partito verso posizioni più coraggiose su questi temi.

È un percorso non facile, non mi illudo che sia una cosa immediata, ma ritengo che avere posizioni più coraggiose in un partito così grande possa essere più efficace, rispetto a forze politiche con meno consenso. Peraltro, mi risulta che anche la Segretaria in passato abbia espresso posizioni contrarie su quest'opera.

Evi, quello che vede è un fascio di grano che viene dall'Ucraina. Come spieghiamo a un cittadino europeo che questo tema lo coinvolge in prima persona, e come interveniamo a livello di sicurezza alimentare?

La prima cosa da dire è che di questo grano noi ne abbiamo un bisogno enorme, perché come italiani siamo amanti della pasta, e ne importiamo tantissimo, in barba a quanto dice il Ministro Lollobrigida sulla sovranità alimentare. Molto spesso questo grano viene coltivato utilizzando pesticidi vietati in Unione europea, penso a quello Canadese che con l'accordo con il CETA tra UE e Canada consente di utilizzare pesticidi anche in fasi di pre-raccolto, quindi come disseccante. Il tema del grano in Ucraina è legato al sostegno di un Paese che, in questo momento, sta vivendo un attacco vergognoso da parte della Russia.

Le esportazioni di grano dall'Ucraina a prezzi più bassi di quelli europei hanno fatto sì che a livello nazionale si generassero polemiche e difficoltà per i nostri agricoltori. In questo caso però ritengo che dovremmo continuare a dare d'aiuto a un Paese che sta subendo un attacco di questo genere con misure che non contemplano l'invio di armi. Questa per me è da sempre una posizione chiara, su cui non intendo assolutamente retrocedere. Ritengo che -in generale- un mondo che continua a investire in spesa militare ha perso la sua bussola di umanità.

Tutto ciò ha avuto un impatto sulla produzione dell'agricoltura nazionale? Sì, è però fondamentale riuscire a fare un altro tipo di ragionamento, ovvero: quanto grano viene utilizzato per l'essere umano e quanto va -e qui mi lego a un tema a me molto caro- a sfamare gli animali negli allevamenti intensivi. Se consideriamo che circa il 70% dei terreni agricoli è destinato alla produzione di mangimi per animali, questo dà l'idea di quanto l'agricoltura oggi sia fortemente basata sul tenere in piedi un sistema iperproduttivo. Dobbiamo spingere fortemente verso un sistema che non trasformi il cibo in merce da geopolitica, solo così ritroveremo un equilibrio che abbiamo perso.

Evi, mi dice una cosa di cui ha avuto rimorsi, durante il suo mandato da europarlamentare, e una di cui invece è orgogliosa? 

Forse all'epoca quando abbiamo votato a livello europeo sulle politiche migratorie con il Movimento 5 stelle, tenemmo una posizione di netta contrarietà, quando invece quell'accordo poteva in qualche misura non essere contestato così fortemente. Una cosa invece di cui vado fiera, per esempio, è il fatto di essere stata scelta come madrina per lanciare l'iniziativa dei cittadini europei, la ICE (End the Cage Age), per chiedere lo stop all'uso delle gabbie negli allevamenti.

Lì è stato molto bello, perché la più grande coalizione di associazioni a livello europeo mi ha chiesto di lanciare quest'iniziativa al Parlamento europeo, dove abbiamo fatto l'evento di lancio. Si tratta di un'azione che ha coinvolto il maggior numero di firme, e da lì la Commissione europea si era presa un'impegno. Purtroppo non lo ha fatto, anche questo è un punto negativo della Commissione uscente, che ha deciso di abdicare a delle promesse fatte. Mi auguro che la prossima faccia meglio.

Chiudiamo con un tema a lei caro, ovvero quello degli extra-profitti. Se lei avesse in mano ora 50 miliardi di euro, come li spenderebbe? Mi faccia tre esempi. 

Prima di tutto, a monte, smetterei di investire in tuto ciò che è fonti fossili e inquinante. Serve poi spostare le risorse pubbliche verso fonti rinnovabili per dare un segnale, e poi, se avessi la possibilità di scegliere, farei un grandissimo investimento sul trasporto pubblico, rendendolo gratuito.

Vorrei poter avere nelle nostre città la possibilità di spostarsi gratuitamente con un mezzo efficiente e pulito, invece che con quello privato. Questa è la prima cosa che farei, impiegherebbe già tutti i 50 miliardi di euro di cui abbiamo parlato, forse, perché mettere a posto tutta la rete nazionale impiegherebbe molte risorse.

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