Europee 2024, “Che Clima Che Fa” nel M5S, Biggeri: “La finanza abbia il coraggio di mettere disincentivi, spesso hanno portato innovazione”

In Italia le elezioni europee si terranno l’8 e il 9 giugno 2024. Insieme a Biggeri abbiamo approfondito la visione del Movimento 5 Stelle su Green Deal e cambiamenti climatici.
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Rubrica a cura di Francesco Castagna
3 Giugno 2024

In attesa di una collocazione in uno dei gruppi parlamentari europei, anche il Movimento 5 Stelle si prepara a questa tornata elettorale. In Italia si vota l'8 e il 9 giugno, il leader Giuseppe Conte ha dichiarato di non volersi candidare e, al contrario, ha condannato chi finora ha scelto di inserire il suo nome tra le liste. In più, di recente Conte ha affermato che il Movimento 5 Stelle si collocherà in UE in un gruppo progressista.

In attesa di capire quale sarà la famiglia del M5S, abbiamo intervistato Ugo Biggeri, tra i fondatori ed ex presidente di Banca Etica, ora in corsa con il Movimento 5 Stelle nella Circoscrizione Nord-Est.

Biggeri, proviamo a spiegare brevemente cos'è la finanza etica e perché è importante che l'Unione Europea acceleri su questo tipo di transizione.

La finanza etica è molto importante perché, che ci piaccia o no, i soldi governano le nostre vite. Le domande sui soldi sono proprio sulla nostra vita, su che lavoro vogliamo fare, come vogliamo vivere, comprare e che amici avere. I soldi però sono anche un elemento fondamentale per far girare l'economia a livello mondiale, se in questo campo diamo spazio solo all'avidità e alla massimizzazione del profitto e all'egoismo, poi l'economia si muoverà secondo questi criteri: non avendo nessuna attenzione per l'ambiente e per il sociale. Se invece poniamo come importanti le istanze ambientali e sociali abbiamo degli altri obiettivi strategici, oltre chiaramente al profitto che serve, allora possiamo veramente cambiare il mondo. Su queste cose l'Unione Europea ha cominciato a legiferare, ci sono delle definizioni di finanza sostenibile che vanno bene, ma per ora sono tiepide, perché riguardano solo i prodotti di finanza sostenibile. Noi abbiamo bisogno di cambiare paradigma del sistema economico.

Tipo? Un esempio?

Vuol dire che dobbiamo avere il coraggio di mettere dei disincentivi. Quest'ultima è una parola che fa sempre tanta paura, però prima o poi dovremo arrivare a dire che non si può investire sul petrolio, come che non si possono fare grandi profitti con l'industria degli armamenti, per motivi che riguardano da una parte la pace e dall'altra i cambiamenti climatici. Queste cose fanno paura, fa paura anche dirle, però dobbiamo arrivarci e nella storia dell'umanità tutte le volte che abbiamo messo dei disincentivi fatti bene in realtà si ha avuto innovazione. Quando abbiamo dato più diritti ai lavoratori in realtà è aumentata la produttività, oggi forse l'innovazione più importante è pensare ai diritti dell'ambiente e del nostro Pianeta. Se li tuteliamo, allora avremo innovazione.

Abbiamo ascoltato con piacere il suo discorso al TedX sulla finanza sostenibile. "Quanto basta" è la frase che lei ha ripetuto più volte sul palco per parlare di finanza. Il senso era quello di invitare le persone a raggiungere il giusto equilibrio nei soldi per arrivare a una "allegra sobrietà". Se dovesse spiegare a un cittadino cosa fanno i suoi soldi come farebbe?

Tutte le volte che si prova a dare un limite ai soldi sembra di parlare di una cosa assurda. È chiaro che per le persone normali o per la maggior parte delle persone non ha molto senso parlare di limite, probabilmente anzi gliene servono di più. Il concetto che possa esistere un "quanto basta" nella finanza è fondamentale, perché dà l'idea di introdurre altre attenzioni rispetto al solo profitto: se la finanza è mossa dall'egoismo, produrrà un Pianeta sempre più disgraziato. Se invece accoglie elementi di solidarietà e di attenzione all'ambiente allora le cose cambiano. Oggi siamo pieni di soldi, non ce ne sono stati mai così tanti, solo che vanno in mercati finanziari speculativi, come quello dei derivati, e si sottraggono agli investimenti nell'economia reale. Non parlo solo di soldi che non vanno a finire nella sostenibilità, ma semplicemente nelle attività delle imprese. Perché? Per il semplice fatto che oggi tanti soldi non vanno a finire nei finanziamenti alle imprese, ma in mercati speculativi a livello internazionale.

La domanda quindi per le persone è: chiedetevi dove vanno a finire i vostri soldi la notte, finanziano il cambiamento climatico o l'economia locale? Stanno facendo danni nel mondo, magari proprio nei posti in cui voi fate beneficienza o volontariato?

Possiamo spiegare in che modo una gestione etica degli strumenti finanziari può aiutare al contrasto della crisi climatica?

Noi siamo quasi tutti analfabeti finanziari, non abbiamo ben chiaro come funziona la finanza, che ha delle funzioni sociali. Ne dico tre: la prima è l'allocazione delle risorse, ovvero far arrivare dei soldi laddove servono per degli investimenti, e questo non lo sta facendo come ho detto prima. La seconda è la capacità di gestire i rischi, perché la finanza è in grado di trasformare le scadenze e gestire i rischi connessi. Prendiamo il rischio legato ai cambiamenti climatici e alle migrazioni come esempio, in questo caso la finanza non è riuscita a fare ciò che doveva fare. La terza, che conosciamo ancora meno, è che tutte le volte che mettiamo i nostri soldi in una banca, quando fa un prestito in realtà anticipa i guadagni futuri di chi riceve il prestito. Letteralmente crea moneta commerciale, che pian piano che i soldi vengono restituiti si cancella. Questo cosa vuol dire? Che i nostri soldi sono la cosa più privata che abbiamo, ma in realtà è la cosa più social che abbiamo: li condividiamo con chiunque, con chi non conosciamo. I nostri soldi, condivisi con chiunque attraverso i prestiti, generano economia. È chiaro che possono generare un'ottima economia, se si impegnano per le rinnovabili o in fabbriche dove si rispettano i diritti dei lavoratori, oppure possono fare disastri se vanno a finanziare l'estrazione del petrolio.

Se non ci siamo fatti una domanda su cosa fanno i nostri soldi la notte, è molto probabile che siano investiti più o meno come tutti i soldi a livello internazionale. L'8% del PIL mondiale gira intorno all'estrazione del petrolio, quindi anche i nostri soldi stanno facendo questo se non ci facciamo domande.

Il 17 aprile si è tenuto a Washington il G7 Finance con tutti i ministri delle Finanze, secondo lei si è fatto abbastanza?

No, perché non si tiene abbastanza conto dell'urgenza dei cambiamenti climatici e di quello che poi portano di conseguenza. Le migrazioni che stanno avvenendo ora sono una sciocchezza rispetto a quello che succederà quando il Sud Est asiatico diventerà invivibile. Non si coglie l'urgenza di quello che c'è da fare e soprattutto non si mette ancora in discussione il pensiero finanziario per cui la leva è la massimizzazione del profitto, come se non ci fosse un "quanto basta" o spazio per altri tipi di attenzione. Questa cosa non la dico io, se guardiamo gli obiettivi dello Sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, vediamo come per la prima volta si parla di obiettivi che riguardano i Paesi ricchi. Erano obiettivi che riguardavano i Paesi che dovevano raggiungere i Paesi ricchi, ora si dice a quest'ultimi che produzioni sostenibili, riduzione dei cambiamenti climatici e attenzione al clima sono tutte cose che ci riguardano. Questa è la dimostrazione del fallimento del nostro sistema economico, lo dice l'ONU, il Papa con la "Laudato sii" eppure non abbiamo il coraggio di trarne le dovute conseguenze. Troviamo, invece, dei meccanismi come se il mondo dovesse cambiare per un atto volontario da parte di chi oggi sta facendo miliardi con i cambiamenti climatici. Faccio un paragone per capirci: la schiavitù non è finita perché gli schiavisti facevano la "corporate social responsability" trattando bene gli schiavi, ci sono stati degli imprenditori che ne parlavano, ma a un certo punto ci sono volute le guerre civili e le leggi. Dobbiamo avere il coraggio di prendere di petto questi problemi, invece siamo ancora nella fase in cui speriamo che il mercato decida di non fare soldi in maniera sporca perché è più bello farlo nella maniera pulita. Non funziona così l'economia.

Come dicevamo prima, "se i soldi non vengono messi in sistemi sostenibili e costruttivi alla fine provocano cambiamenti climatici che mettono in difficoltà intere aree del mondo", si è parlato di "Loss and Damage" alla Cop28 come fondo per intervenire sullo sviluppo e sulla prevenzione degli effetti dei cambiamenti climatici nei Paesi in difficoltà, eppure ci sono ormai tanti migranti climatici che arrivano in Europa ai quali non è ancora stato riconosciuto uno status. Secondo lei è realistico parlare del riconoscimento dello status di migrante climatico?

Ci arriveremo, perché gli studi più recenti dimostrano che ci sono aree del mondo che diventeranno inabitabili. Non solo quelle desertiche come pensiamo, ma l'India, il Bangladesh in cui vivono miliardi di persone e che potrebbero diventare posti invivibili non tra 100 anni, ma molti decenni prima. È chiaro che le definizioni arrivano sempre con ritardo, ma se siamo consapevoli di questi rischi allora è bene cominciare ad attrezzarsi per tempo e cominciare a pensare non solo a come si accolgono i rifugiati climatici, ma anche a come fermare i cambiamenti climatici. Possiamo fare ancora qualcosa, invece sembra che questo non sia possibile. Io mi sono sempre occupato di cooperazione allo sviluppo,  c'è un tema inesplorato dei cambiamenti climatici per cui, di fatto, abbiamo creato una nuova forma di colonialismo. L'attuale situazione dei cambiamenti climatici dipende dai Paesi industrializzati, l'UE e gli Stati Uniti in primis, la Cina è arrivata solo ora. Però, le conseguenze si pagano in tutto il mondo. Certo che ci vuole un fondo di Loss and Damage, ma non delle cifre di cui parliamo che sono centinaia di miliardi, ma di migliaia di miliardi. Questo lo stesso G7 lo ha detto.

Biggeri, in UE dove serve correggere la rotta per portare avanti la transizione ecologica?

Quando si parla di dove mettere i soldi è sempre facile dire dove spenderli. A me piace prima dove li possiamo trovare. I mercati dei derivati a livello mondiale valgono, secondo l'Unione europea, in termini di premi che si possono pagare 33 volte il prodotto interno lordo mondiale. Se guardiamo quanto effettivamente costa stipulare i derivati, questi sono vicini al prodotto interno lordo mondiale. Una quantità di soldi che è inferiore, ma comunque vicina, al PIL mondiale che finisce in un mercato a somma zero, ovvero non crea ricchezza come la moneta commerciale. Questo mercato ha la sua ragione di esistere, ma va ridotto. Negli anni '90 questo rapporto era 33 volte minimo e la gente viveva lo stesso e l'economia funzionava. Bisogna tassare questi enormi volumi finanziari, che sono i mercati dei derivati, con una tassa sulle transazioni finanziarie, in modo da far sì che si possano recuperare risorse per poter fare altro. La stessa cosa vale sul tema delle grandi multinazionali che mediamente pagano molte meno tasse di un qualunque cittadino e di una qualunque piccola impresa. Questo è importante perché i soldi ci sono, e anche tantissimi. Se ne recuperiamo una parte, facendo anche dei meccanismi che rallentano ciò che è speculativo, certamente poi abbiamo molto da spendere per favorire la transizione ecologica.

Si può fare, come dicevo prima, con i disincentivi, ovvero spostare le tasse dal lavoro ai consumi ambientali. Si possono utilizzare questi soldi per tutelare le fasce deboli, che altrimenti sono quelle più colpite dai cambiamenti dei costi dell'energia. E poi ovviamente c'è la parte di investimenti nei sistemi di accumulo delle energie rinnovabili e in modelli di mobilità pubblica sostenibile.

Qual è la proposta del M5S su mobilità dolce e infrastrutture a livello europeo? 

Sicuramente serve una mobilità che si sposti sempre di più verso l'elettrico, serve però al tempo stesso ridurre i mezzi privati, soprattutto nei centri urbani. Sulle grandi infrastrutture, bisogna pensare che tutte le volte che noi raddoppiamo una struttura privata in realtà quello che succede è che aumenta il traffico e non diminuisce. Questi sono studi che ormai esistono da decenni, bisogna quindi pensarci bene prima di realizzare le infrastrutture: se servono effettivamente ad aumentare la mobilità delle merci in modo sostenibile o ad aumentare quella delle persone, ovviamente sono investimenti da fare. Se non servono, come ad esempio il ponte sullo stretto, forse ci sono tanti altri modi per investire meglio i nostri soldi.

Lei ha più volte citato Don Milani con la frase "Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l'avarizia". Quale sarebbe la prima cosa che porterebbe in Parlamento UE qualora dovesse essere eletto? 

In questo momento la cosa più urgente è arrivare a delle trattative di pace sull'Ucraina e sul conflitto in Palestina. Questa mi sembra la cosa principale, ovvero cercare di trovare delle alleanze in Parlamento UE per riuscire a convincere tutti quanti che continuare con l'escalation militare è semplicemente un disastro. Subito dopo i temi riguardano ovviamente la transizione ecologica. Io penso che dobbiamo ascoltarli i giovani, noi continuiamo a non ascoltare un grido che viene da tutte le giovani generazioni che hanno meno fiducia nel futuro perché vedono la mancanza di attività nel contrastare i cambiamenti climatici. Serve quindi una regolamentazione nella finanza, di cui ovviamente ho tanta esperienza a livello internazionale, fino ad arrivare a come si gestiscono le imprese, in modo da aiutare la transizione ecologica.

A proposito di proteste, abbiamo preparato dei cartelli in cui sono raffigurate le principali proteste di quest'anno. La prima è dei trattori, la seconda è quella dei ragazzi di Ultima Generazione. Con quale empatizza di più? Può dirci un fattore positivo e uno negativo di entrambe? 

Trovo più empatia immediata con le proteste di Ultima Generazione perché non si tratta di capire se si è d'accordo o meno con le azioni, ma si tratta di capire cosa c'è dietro. È veramente un grido di attenzione che viene dai giovani e che noi invece non vogliamo ascoltare, anzi lo banalizziamo come se fosse vandalismo, quando i vandalismi contro la natura e i monumenti li facciamo già con le grandi opere in continuazione. Quindi, credo che sia assolutamente fondamentale ascoltarli e capire che questa passione che spinge agli atti dimostrativi che fanno ci dice che dobbiamo occuparci seriamente di quello che chiedono. Se al contrario la ignoriamo o la soffochiamo faremo solo peggio, spingeremmo le persone a essere ancora più radicali e critiche, magari in modi che non saranno più non violenti. Secondo me è proprio un errore clamoroso quello della gestione che stiamo facendo delle proteste di Ultima Generazione, perché hanno ragione loro. Non è che si può girare intorno.

Sulle proteste degli agricoltori io penso che lì capiamo come un certo approccio alla transizione ecologica non tiene conto dei processi di accompagnamento a questa transizione, che sono la cosa più complicata e più complessa su cui possiamo lavorare. Noi abbiamo un sacco di terre che non vengono utilizzate, penso a tutte le aree interne in Italia e in Europa, in cui potenzialmente i giovani sono interessati ad andare, e però la PAC fa ben poco su questo. Al contrario, finanzia cose che sono ancora totalmente insostenibili, come gli allevamenti intensivi.

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