Giornata internazionale delle foreste, ecco come (e perché) dobbiamo proteggerle

Le foreste custodiscono l’80% della biodiversità e sono sempre più in pericolo a causa del cambiamento climatico (e quindi dell’uomo). “Ridurre le emissioni di CO2 a monte è il migliore modo per contrastare il degrado delle foreste legato proprio agli effetti della crisi climatica”, spiega il ricercatore Giorgio Vacchiano.
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Federico Turrisi 21 Marzo 2020

"Troppo preziose per perderle". È questo lo slogan scelto dalle Nazioni Unite per l'edizione di quest'anno della Giornata internazionale delle foreste, che cade proprio oggi 21 marzo. Te lo abbiamo ripetuto in tutte le salse quanto sia fondamentale preservare i nostri boschi e le nostre foreste per mantenere in equilibrio non solo gli ecosistemi locali, ma l'intero pianeta.

È una notizia confortante che in Italia, come emerge dal rapporto annuale del Pefc Italia (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes), l'ente normatore della certificazione della corretta gestione del patrimonio forestale, la superficie di boschi e foreste gestita in maniera sostenibile è aumentata nel 2019 del 7,6%. Ma se provassimo ad avere un approccio globale della questione, noteremmo che i nostri polmoni verdi sono in sofferenza, a causa soprattutto delle attività umane.

Un recente studio, pubblicato sulla rivista Nature, ha messo in evidenza come le foreste pluviali abbiano perso mediamente negli ultimi 30 anni un terzo della loro capacità di assorbire CO2 dall'atmosfera. Una pessima notizia se consideriamo che gli alberi sono tra i nostri più validi alleati nella lotta contro il cambiamento climatico. Da questo elemento parte l'analisi di Giorgio Vacchiano, ricercatore in gestione e pianificazione forestale all'Università Statale di Milano.

"La prima sfida che dobbiamo affrontare è proprio quella della crisi climatica. Le foreste, non solo quelle nuove che possiamo piantare, ma prima di tutto quelle esistenti sono indispensabili per catturare parte di quella CO2 che purtroppo continuiamo a emettere in grandi quantità. Dobbiamo quindi proteggere le foreste esistenti, soprattutto in quelle aree del mondo dove sono fortemente minacciate".

È il caso delle foreste tropicali, da quella amazzonica a quella del Congo, passando per il Borneo. I danni della deforestazione sono impressionanti: secondo la Fao nel decennio 2000-2010, a livello mondiale, ogni anno circa 13 milioni di ettari di foreste sono stati convertiti ad altro uso (prevalente campi coltivati o pascoli per l'allevamento) o sono andati perduti per cause naturali. E pensare che in Italia la superficie forestale complessiva è di circa 11 milioni di ettari.

"C’è anche un secondo problema, che è quello del degrado. Significa che magari la foresta non scompare subito, come quando passano i taglialegna, ma lentamente perde in qualità, in efficacia nell’assorbimento di CO2 atmosferica, in biodiversità. Perché accade questo? Perché non solo parte della foresta scompare, ma viene anche indebolita dagli altri effetti del cambiamento climatico, per esempio da siccità prolungate. Se questa tendenza dovesse proseguire, la foresta amazzonica nel 2030 potrebbe non essere più in grado di assorbire carbonio dall’atmosfera e saranno più gli alberi che muoiono rispetto a quelli che crescono".

La soluzione è solo una: limitare il più possibile le emissioni di gas climalteranti. Se ci hai fatto caso, alcune compagnie aeree, quando prenoti un viaggio, ti dicono che provvederanno a compensare le emissioni causate dal volo piantando alberi. Il punto è che dovresti considerare delle possibili alternative all'aereo: posso prendere un mezzo più sostenibile come il treno per il mio viaggio? Posso evitare una trasferta di lavoro, optando per una teleconferenza? "La compensazione andrebbe considerato l'ultimo dei rimedi. La maggior parte del lavoro dovrebbe essere invece fatta riducendo a monte le emissioni di gas serra, perché non basterebbe tutta la superficie terrestre per compensarle", prosegue Vacchiano.

C'è poi una seconda sfida da fronteggiare, non meno importante di quella della crisi climatica: la crisi della biodiversità. Quest'anno il tema della Giornata internazionale delle foreste è proprio legato al rapporto tra boschi e biodiversità. "Le foreste ospitano circa l’80% di tutte le specie esistenti sulla terraferma. Vari studi confermano che più è ricca la biodiversità di una foresta, più questa è efficiente sotto tutti i punti di vista: assorbe più anidride carbonica, per esempio. Una recente ricerca pubblicata su Scientific Reports ha mostrato che le parti di foresta amazzonica che assorbono più carbonio sono quelle dove esistono anche delle liane nel sottobosco e tutti gli spazi possibili sono occupati da qualche tipo di pianta".

"Più è ricca la biodiversità di una foresta, più questa è efficiente sotto tutti i punti di vista"

"In un altro studio, pubblicato su Nature Ecology & Evolution, si è fatto un esperimento: sono state piantate delle «isole» comprendenti 400 alberi di 16 specie diverse, e poi è stata eliminata qualcuna di queste specie per capire fino a che punto la biodiversità poteva mantenere le funzioni della foresta. Ebbene, si è notato che già eliminando una o due specie la foresta assorbiva meno carbonio. Attenzione: non c’erano meno alberi, c’era lo stesso numero ma con meno specie. L’equilibrio si era alterato".

A questo punto sorge spontanea una domanda: è opportuno istituire nuove aree protette e ampliare quelle esistenti per tutelare la biodiversità? La risposta non è così scontata. "Ci sono due correnti di pensiero. La prima sostiene che bisognerebbe incrementare il numero di aree protette. Si basa su questa idea la proposta, denominata «Half Earth» (ossia metà della Terra), del grande biologo statunitense Edward Osborne Wilson, secondo cui, per mantenere un buona funzione di supporto alla vita, non dovremmo toccare metà della superficie terrestre. Un obiettivo molto ambizioso. La conseguenza, però, è che nell’altra metà dovremmo intensificare l’uso del territorio, producendo cibo in uno spazio più piccolo".

"L'altra corrente di pensiero è il cosiddetto land sharing, ossia la condivisione del territorio, che mira non tanto a creare molte aree protette ma a cercare il compromesso migliore in ogni zona del pianeta tra uso del territorio per attività umane e conservazione della biodiversità. Questo perché si ritiene che le due cose non siano affatto in conflitto tra loro. Per esempio, in un campo coltivato avremo un rendimento migliore se ci sono più insetti impollinatori, e quindi maggiore biodiversità".

La lezione è molto chiara. Le foreste che abbiamo vanno preservate il più possibile, specialmente quelle pluviali che costituiscono i principali serbatoi della biodiversità e del carbonio mondiali. Ma non meno importanti sono le foreste europee o le grandi foreste di conifere tipiche della taiga siberiana. "Per quanto riguarda l'Europa, abbiamo tutti gli strumenti a disposizione per una gestione sostenibile delle risorse forestali, che ci possono servire per ricavare il legno o le fibre di cellulosa per la carta. Il progetto di ricerca europeo LIFE GoProFor ha individuato 90 tecniche per migliorare la biodiversità nelle foreste".

"La taiga, anche se ha una biodiversità più limitata, ha un’importanza quasi superiore alle foreste tropicali per quanto riguarda il carbonio. Se quest'ultimo nelle foreste pluviali viene immagazzinato direttamente nei tessuti biologici delle piante, in Siberia viene stoccato nel suolo. Qui infatti tende ad accumularsi la sostanza organica, perché fa freddo e dunque la biodegradazione è più lenta. Gli incendi nelle regioni nordiche sono molto preoccupanti dal punto di vista climatico perché tendono a consumare anche questo strato organico e a liberare nell’atmosfera riserve di carbonio che si sono accumulate in centinaia di anni".