
Il 26 aprile 1986, l’esplosione del reattore n. 4 della Centrale Nucleare di Chernobyl liberò nell’atmosfera un'enorme quantità di materiale radioattivo. Le condizioni atmosferiche dei giorni successivi spinsero la nuvola tossica in giro per tutta l’Europa, ma le conseguenze peggiori si ebbero nella zona adiacente alla centrale.
Mentre gli abitanti delle città limitrofe vennero fatti evacuare, molti animali innocenti andarono incontro alla loro morte: una mandria di cavalli, rimasta su un’isola del fiume Pripyat, non potè ricevere alcun tipo di soccorso, e fu sterminata nel giro di appena qualche settimana; una foresta di pini, larga all’incirca 4 Km quadrati, fu investita in pieno dal cosiddetto fall-out radioattivo, ovvero dalla ricaduta delle scorie radioattive più pesanti. Gli alberi virarono dapprima verso un colore rosso, per poi morire, come prigionieri di un inverno senza fine. La pineta prese da quel momento il nome di "Foresta rossa", e ancora adesso rimane un’area interdetta agli esseri umani a causa dell’altissimo livello di radiazioni presente nel terreno.
Nel corso del tempo la Foresta rossa è diventata così un simbolo, l’esempio delle ripercussioni che le nostre azioni hanno sulla natura, vittima innocente di un “semplice errore” dell’essere umano.