Guerre per l’acqua, Laura Silvia Battaglia: “In Italia è in corso una guerra da anni, quella tra lo Stato e la mafia”

Secondo l’ultimo report dell’UNESCO, la gestione dell’acqua a livello globale ha fatto dei passi avanti, ma siamo ancora molto lontani dal raggiungimento degli obiettivi previsti dall’Agenda 2030. Insieme a Laura Silvia Battaglia, Esperta di Medio Oriente e reporter in aree di crisi dal 2007, abbiamo parlato dei conflitti legati all’accesso alle risorse idriche in zone che già soffrono di questo fenomeno, come il Medio Oriente e l’Africa del Nord, e se esista un rischio effettivo che questa situazione possa verificarsi anche in Italia.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Francesco Castagna 22 Marzo 2023
Intervista a Laura Silvia Battaglia al-Jalal Esperta di Medio Oriente e reporter in aree di crisi dal 2007

La siccità che stiamo vivendo negli ultimi anni nel nostro Paese è un problema storico in altri Stati, che soffrono di questa situazione soprattuto per il clima e la posizione geografica. In passato ti avevamo già parlato delle guerre dell'acqua: una serie di conflitti presenti in diverse aree della Terra, legati alla difficoltà da parte di alcuni Paesi di garantire l'acqua per le attività quotidiane o commerciali.

Secondo il rapporto delle Nazioni Unite sullo sviluppo delle risorse idriche 2022, si stima che il numero di conflitti relativi all’inquinamento e all’esaurimento delle acque sotterranee, iniziati tra il 2000 e il 2019, sia più di quattro volte superiore a quello dei conflitti iniziati tra il 1980 e il 1999.

Questo spesso dipende per il più delle volte dalle decisioni prese nella gestione dell’acqua tra diversi utenti, ma anche dai conflitti relativi all’accesso alla terra. L'Unesco segnala che questo tipo di scelte ruotano attorno all’impatto delle attività riguardanti i minerali, l’estrazione di materiali da costruzione, i combustibili fossili, la giustizia climatica o i progetti energetici.

"Gli impatti dei cambiamenti climatici (ad esempio siccità e innalzamento del livello del mare), della produzione e del commercio di prodotti alimentari, dei conflitti e delle migrazioni sono solo alcuni esempi di processi e problemi che richiedono una politica coerente delle acque sotterranee a più livelli", si legge nel documento. In ogni caso, l'UNESCO non ha dubbi sul fatto che la prevenzione migliore per evitare dei conflitti per l'acqua sia una corretta gestione delle infrastrutture e delle risorse idriche. Tra le numerosi indicazioni contenute nel report per prevenire, contenere e cercare di risolvere le "water world", c'è l’applicazione dello standard internazionale di stewardship (gestione etica delle risorse) dell’acqua.

Secondo l'ultimo report, uscito in occasione della Giornata mondiale dell'acqua del 2023, "Ai ritmi attuali, l'Obiettivo di sviluppo sostenibile (SDG) 6 – acqua e servizi igienici per tutti – non sarà raggiunto entro il 2030".

"L'acqua è il nostro futuro comune e dobbiamo agire insieme per condividerla equamente e gestirla in modo sostenibile. Mentre il mondo si riunisce per la prima grande conferenza delle Nazioni Unite sull'acqua nell'ultimo mezzo secolo, abbiamo la responsabilità di tracciare un percorso collettivo che garantisca acqua e servizi igienici per tutti." – Audrey Azoulay, Direttrice generale UNESCO

Come ti avevo anticipato, il rapporto dell'UNESCO afferma che, ai ritmi attuali, i progressi verso tutti i punti dell'obiettivo 6 (acqua) dell'Agenda 2030 sono fuori strada e in alcune aree il tasso di attuazione deve essere quadruplicato, o anche di più. E perché è importante questo documento? Perché il 2023 è l'anno della prima grande conferenza delle Nazioni Unite sull'acqua dal 1977. Creazione di partenariati e il rafforzamento della cooperazione in tutte le dimensioni dello sviluppo sostenibile devono essere le parole chiave.

UN World Water Development Report 2023

Secondo l'analisi, crescita demografica, sviluppo socio-economico, cambiamento dei modelli di consumo hanno contribuito all'aumento del consumo di acqua: negli ultimi 40 anni infatti, a livello globale consumiamo l'1% d'acqua in più all'anno.

Ciò rende il fenomeno endemico, a causa dello stress idrico-fisico, e il report afferma che le regioni in cui questo problema sarà sempre peggiore sono: l'Africa centrale, l'Asia orientale e alcune parti del Sud America, il Medio Oriente e il Sahel in Africa. Tutte aree del mondo in cui la siccità è già grave"In media, il 10% della popolazione mondiale vive in Paesi con stress idrico elevato o critico", si legge nel documento.

In generale, il testo mostra come ci siano stati progressi su diversi fronti in materia di gestione dell'acqua, ma bisogna fare molto di più. Per esempio, il report dice che: "Mentre la maggior parte dei Paesi ha riportato alcuni progressi, il tasso globale di avanzamento nell'attuazione della gestione integrata delle risorse idriche deve raddoppiare per avvicinarsi all'obiettivo".

Le guerre per l'oro blu incendiano da sempre un Medio Oriente assetato, ma anche il Nord Africa. Secondo l'Agenzia informazioni e sicurezza interna, si tratta di un "pericolo già presente in Medio Oriente, per il bacino del Tigri-Eufrate, a causa della disparità di impiego e di sfruttamento da parte della Turchia, rispetto a Siria e Iraq". Per approfondire il tema abbiamo sentito Laura Silvia Battaglia al-Jalal, esperta di Medio Oriente e reporter in aree di crisi dal 2007.

Quali sono le conseguenze dei flussi migratori legate alle guerre dell'acqua in Medio Oriente?

Le conseguenze dei flussi migratori legate ai conflitti in Medio Oriente sono effettivamente importanti. Se pensiamo che la fascia che riguarda la Palestina e Israele, la Siria, in parte l'Egitto, tutta l'area saheliana dell'Africa sub-occidentale (ovvero la fascia dell'Africa del nord che dal Nilo arriva fino in Etiopia) è interessata da una reale guerra dell'acqua e ha fenomeni di siccità che sono legati al cambiamento climatico.

Ciò che sta succedendo, sia nell'area del Sahel che in quella tropicale, è che le popolazioni che vivono prevalentemente di pastorizia sono costrette a spostarsi più frequentemente. Questo fenomeno, che riguarda soprattutto le aree prospicienti il Sudan e il sud Sudan, crea movimenti di tribù nel territorio.

Tali movimenti sono necessari per la sopravvivenza di queste comunità, che si sposta per andare a trovare l'acqua, affinché il proprio bestiame possa sopravvivere. Gli spostamenti causano delle ingerenze territoriali, che dalle altre popolazioni vengono percepite come degli attacchi, o comunque degli ingressi in zone che considerano proprie. Ciò genera un incremento dei gruppi armati, che poi spesso hanno assunto la forma di milizie affiliate allo Stato Islamico o a gruppi jihadisti.

Se pensiamo a quanto sia importante l'accesso all'acqua da parte di queste popolazioni, per rendere sostenibile tutta la loro filiera economica, ciò significa che sia il cambiamento climatico che la desertificazione dei corsi d'acqua sta portando questi gruppi ad agire in modo differente. Così facendo, aumenta i rischi e/o i conflitti in queste zone.

In Italia esiste uno scenario secondo cui si potrebbe verificare una situazione simile?

L'acqua in Italia, soprattutto nelle zone del Sud, è sempre stata un problema. Io sono siciliana, vengo da un'area del Paese che da sempre vive una guerra dell'acqua, quella tra lo Stato e la mafia. Non è un segreto per nessuno, per esempio, che la Sicilia ha degli invasi e una quantità notevole di acqua piovana, ma diventa privata e viene utilizzata sostanzialmente dalle mafie per rivenderla a peso d'oro nelle aree territoriali, sia per usi agricoli che per usi urbani. Questo è un problema che abbiamo sempre avuto.

C'è anche un altro discorso da fare, ovvero: l'acqua può anche cadere in quantità minore, i ghiacciai si possono sciogliere, oppure le acque possono essere utilizzate per dare gas a progetti come le dighe, ma la questione è che, dove manca l'acqua, spesso anche le strutture (dighe, acquedotti, invasi) che sono preposte a contenerla non sono adeguate e non vengono ristrutturate, oppure hanno delle perdite notevoli.

Quando non si riqualificano queste opere, spesso a metà tra pubblico e privato, allora lì entrano in azione altre dinamiche. Ci sono aree del Paese a mio parere più a rischio, perché sono a vecchia crisi idrica (come il caso della Sicilia) e sono progressivamente interessate a fenomeni di potenziale desertificazione. Se pensiamo che ormai nel sud del Mediterraneo riusciamo a coltivare i prodotti tropicali e vediamo che è cambiato totalmente il clima, allo stesso tempo dobbiamo tener conto che ci sono molte meno industrie e che proprio a causa di una bassa industrializzazione lo Stato si sposta verso aree più economicamente convenienti.

Quanta sensibilità c'è nei Paesi del Medio Oriente al tema della siccità?

C'è sempre stata una sensibilità a riguardo. Questo perché sono società a forte presenza e produzione agricola. Senza dubbio, la loro attenzione al tema è maggiore rispetto alla nostra. C'è un problema di sostanza: il fatto che, in questi Paesi, assistiamo da diversi anni a un fenomeno di urbanizzazione molto consistente. Significa che specialmente i giovani abbandonano le campagne per riversarsi nelle città. Questo fenomeno crea problemi nell'approvvigionamento idrico, nelle strutture idriche che mancano e, poiché sempre più persone si spostano verso le città, ovviamente le campagne hanno maggiori difficoltà.

Il punto è che in questi Paesi la ricchezza viene proprio dalle campagne, questo è un problema di governance.

Sono stati presi dei provvedimenti in passato? Di che tipo?

Nel Medio Oriente e nell'Africa sub-sahariana, dove ci sono problemi consistenti legati a dei corsi d'acqua, in realtà sono stati presi dei provvedimenti. Queste scelte sono sottoposte ai contrasti tra gli Stati: il conflitto Israelo-palestinese, il passaggio del Tigri dalla Turchia, che attraverso la Siria arriva in Iraq e sfocia nello Shatt al-Arab evidenzia una contesa tra tre Stati principali. La Turchia utilizza la fonte per sfruttare la forza dell'acqua, creando una diga che consente di ottenere energia. Così facendo però, indebolisce tutto il percorso del corso d'acqua (Tigri), che passando dalla Siria depaupera quel terreno di acqua, e infatti la Siria è un Paese in guerra.

In alcuni di questi Paesi il problema principale è che i corsi d'acqua storici, per esempio il Tigri e l'Eufrate, nell'area tra Turchia-Siria-Iraq, oppure il Nilo nell'area tre l'Egitto-il Sudan e l'Etiopia, sono sottoposti a problemi di governance tra gli Stati che sono di fatto tre in entrambi i conflitti. La Turchia da tantissimi anni non fa altro che prendere l'acqua del Tigri, che nasce proprio ai confini con la Siria e creare una diga.

La diga serve alla Turchia per produrre energia elettrica, che sostiene l'industria che negli ultimi anni è abbastanza fiorente. Ciò ha fatto in modo che il Tigri sia diventato nel tempo molto povero. La Siria ne soffre da anni, immaginate non avere nemmeno un corso d'acqua pulito nel proprio Paese, questa situazione non consente alla popolazione di accedere all'acqua. Poi c'è l'Iraq, un Paese che era la Mesopotamia dell'antichità, dove comunque le zone sono sempre più prosciugate.

Questo scenario non è in atto da ieri, ma da almeno 13-14 anni. La prima volta che ho sentito parlare di questa situazione era nel 2011, già allora i Paesi in questione litigavano per questo motivo, e non era assolutamente facile farli dialogare. Per di più, non era per niente semplice convincere un ministro della necessità di lottare su questo punto, perché il problema non era percepito come grave.

Questo è solo un esempio per dire che la sensibilità c'è, soprattutto da parte degli agricoltori, ma c'è anche grande difficoltà da parte loro e degli attivisti nel farsi ascoltare dalle istituzioni. L'acqua è poca e in questi posti ogni Paese la vuole per sé.

È mai successo che gli agricoltori dovessero cambiare le loro coltivazioni a causa della siccità?

La siccità ovviamente crea problemi di migrazione, per esempio nell'Africa sub-sahariana il fenomeno riguarda il Burkina Faso. Stiamo parlando di 300mila persone che, di fatto, si spostano, e a volte periscono. Naturalmente lo fanno, oltre al problema di creare un ambiente in cui il proprio bestiame possa trovare un naturale ristoro, c'è il problema delle coltivazioni in Etiopia, in Somalia e nell'aree più interne. Sono Paesi dove, al posto del frumento, si coltiva il miglio e altre colture molto economiche che danno sostegno alle popolazioni.

E per lo Yemen? Perché non si può parlare di siccità?

Lo Yemen è un Paese interessato dalla guerra da 8 anni. È l'unico territorio della penisola arabica ricco d'acqua e lo è anche di petrolio. Petrolio e acqua, il primo poco estratto, la seconda nasce dai cosiddetti "wadi", ovvero luoghi dove l'acqua piovana va sotto nel terreno e poi riemerge in forma di torrenti.

Il problema dello Yemen è il fatto che, mentre prima quest'acqua con degli invasi anche rudimentali veniva utilizzata per coltivazioni storiche di grandissimo valore e qualità (caffè, alberi da frutto), a un certo punto, vent'anni fa, si pensò che sarebbe potuto essere molto utile piantare nel Paese un tipo di arbusto: il qāt.

Il qāt è una pianta della famiglia dell'alloro ed è presente in quest'area tropicale. Produce delle foglie che, se masticate, creano dipendenza. È come la coca, con la differenza che il qāt è un eccitante a lungo rilascio: bisogna masticarne tanto per avere lo stesso effetto della coca. Il problema è che questa pianta, per crescere in maniera rigogliosa, ha bisogno di grandissima quantità d'acqua.

Questo tipo di coltivazioni, in Yemen, sono volute fortemente anche dai signori della guerra, che hanno interesse ad avere dei combattenti sempre svegli ed eccitati. Il problema è che tutta l'acqua disponibile viene utilizzata per la produzione di questa coltura.

L'assurdità della situazione è che un Paese che ha l'oro in mano, il caffè, oggi produce una quantità esagerata di qāt, consumato come placebo della popolazione. È un mercato chiuso, lo Yemen non può nemmeno esportarlo come l'Afghanistan fa con l'oppio. Serve soltanto al Paese, ma allo stesso tempo distrugge l'ambiente.