Hanno scoperto un nuovo crostaceo ma è già contaminato dalla plastica

I ricercatori dell’Università di Newcastle l’hanno ribattezzato Eurythenes plasticus proprio perché al suo interno hanno trovate tracce di Pet, nonostante viva nel buio della Fossa Della Marianne, uno dei luoghi più profondi e inaccessibili della Terra. La plastica è arrivata fin lì e per questo il WWF, che ha finanziato la ricerca, ha ribadito l’urgenza di un accordo globale per fermare l’inquinamento marina da plastiche.
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Kevin Ben Alì Zinati 10 Aprile 2020

Appena scoperto e già contaminato. L’Eurythenes plasticus non inizia benissimo la sua relazione con l’essere umano. I ricercatori dell'Università di Newcastle hanno pubblicato su Zootaxa la scoperta di questa nuova specie di anfipode, ritrovata nelle profondità della Fossa delle Marianne, uno dei luoghi più remoti presenti sul nostro Pianeta. Ma come puoi capire dal nome con cui l’hanno ribattezzato, all’interno del crostaceo sono state trovate tracce di plastica. E il Wwf, che ha parzialmente finanziato la ricerca, ha colto l’occasione per ribadire l’urgenza di un accordo globale contro l'inquinamento dei mari e degli oceani.

La scoperta

L’Eurythenes plasticus è un anfipodo, ovvero un crostaceo di piccole dimensioni (può arrivare fino ad un massimo di di 154 millimetri) con il corpo più compresso sui lati e con una fora quasi a semicerchio. I ricercatori l’hanno recuperato utilizzando delle trappole-esca ad una profondità compresa tra i 6010 e i 6949 metri nella fossa delle Marianne, nell’Oceano Pacifico nord-occidentale.

Quando l’hanno analizzato, i ricercatori inglesi al suo interno hanno trovato importanti tracce di plastica, all’83,74% simile al polietilene tereftalato (PET) che viene usato, per esempio, per le bottiglie d’acqua agli indumenti sportivi.

Per questo hanno abbandonato il soprannome informale “hopper” che durante le ricerche avevano affibbiato all'anfipodo e l’hanno chiamato Eurythenes plasticus: un nomen omen, un modo per sottolineare che la presenza di plastica in un animale letteralmente mai visto prima, che vive in uno dei luoghi più inaccessibili del Mondo, è una scoperta tanto shoccante quanto allarmante.

L’appello del WWF

“La specie appena scoperta ci mostra quanto siano gravi gli effetti della gestione inadeguata dei rifiuti di plastica. Specie che vivono nei luoghi più profondi e remoti della terra hanno già ingerito plastica prima ancora di essere conosciute dall'umanità. La plastica è nell'aria che respiriamo, nell'acqua che beviamo e ora anche negli animali che vivono lontano dalla civiltà umana”. Le parole con cui Isabella Pratesi, direttore Conservazione di WWF Italia, ha salutato la nuova scoperta hanno, di fatto, ribadito la necessita di un intervento urgente.

Anche perché ogni anno nelle acque dei nostri mari e degli oceani “piovono” quasi 8 milioni di tonnellate di plastica, mezzo milione di tonnellate nel piccolo Mediterraneo. E le microparticelle di plastica finiscono ingeriti negli animali marini che, una volta pescati, entrano nella nostra alimentazione. E per porre fine all'inquinamento marino da plastica "abbiamo bisogno di una soluzione globale” spiega il direttore del Conservazione di WWF Italia.

La plastica italiana

In quanto a produzione di rifiuti di plastica, l’Italia, purtroppo, indossa l'infausta maglia nera. Secondo i dati fornita dal WWF, infatti, il nostro è il più grande produttore di oggetti in plastica e il secondo più grande produttore di rifiuti di plastica nella zone mediterranea, con 4 milioni di tonnellate l’anno. E la dispersione in natura è di circa di mezzo milione di tonnellate di plastica.